Dettaglio Legge Regionale

Evoluzione del Sistema Socio-Sanitario Lombardo: modifiche al Titolo III «Disciplina dei rapporti tra la Regione e le Università della Lombardia con facoltà di medicina e chirurgia per lo svolgimento di attività assistenziali, formative e di ricerca» della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità). (12-12-2017)
Lombardia
Legge n.33 del 12-12-2017
n.50 del 15-12-2017
Politiche socio sanitarie e culturali
8-2-2018 / Impugnata
La legge della Regione Lombardia del 12/12/2017, n. 33, recante ““Evoluzione del Sistema Socio-Sanitario Lombardo: modifiche al Titolo III ‘Disciplina dei rapporti tra la Regione e le Università della Lombardia con facoltà di medicina e chirurgia per lo svolgimento di attività assistenziali, formative e di ricerca’ della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità)” presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale.

1) L’art. 1, comma 1, lett. b), nella parte in cui sostituisce l’art. 33 della l.r. n. 33 del 2009, che disciplina le strutture della formazione specialistica dei medici, prevede, al comma 3 del nuovo art. 33, che “qualora particolari esigenze formative connesse a specialità diverse da quella oggetto della scuola non possono essere soddisfatte nell'ambito delle strutture di sede e delle strutture collegate della rete formativa della stessa scuola, è consentito coinvolgere ulteriori strutture di supporto, purché in coerenza con il modello di rete di cui al presente Titolo”.
Tale disposizione regionale nella parte in cui prevede, con formulazione generica e poco chiara, che le strutture universitarie formative, al fine di soddisfare esigenze formative specialistiche dell’area sanitaria non connesse a quelle della struttura di sede, possano avvalersi di non meglio identificate “ulteriori strutture di supporto”, contrasta con quanto previsto dal Decreto interministeriale n. 402 del 13 giugno 2017, recante “gli standard, i requisiti e gli indicatori di attività formativa e assistenziale delle Scuole di specializzazione di area sanitaria”. Detto decreto, nel dare attuazione all’art. 20, comma 3-bis del d.lgs. 17 agosto 1999, n. 368, riguardante la formazione dei medici, prevede, nell’Allegato 1, che “Nell’ipotesi in cui la Scuola di specializzazione debba utilizzare servizi, attività, laboratori o altro che possano non essere presenti nella struttura di sede o nelle strutture collegate, l’Ateneo presso cui insiste la Scuola può avvalersi di strutture di supporto pubbliche o private, dette ‘strutture complementari’, di specialità diversa da quella della struttura di sede, con le quali devono essere stipulate specifiche convenzioni. […]. In ogni caso dette strutture, al pari delle strutture di sede e delle strutture collegate, devono essere obbligatoriamente accreditate e contrattualizzate con il Servizio sanitario nazionale”.
Considerato il disposto della descritta norma statale, la disposizione regionale in esame, omettendo di prevedere per la formazione specialistica in oggetto la stipula di specifiche convenzioni con “strutture di supporto pubbliche o private, dette ‘strutture complementari’, obbligatoriamente accreditate e contrattualizzate con il Servizio sanitario regionale, non garantisce lo standard formativo richiesto dalla menzionata norma statale per l’area sanitaria, contrastando in tal modo con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

2) L’art. 1, comma 1, lett. b), nel sostituire l’art. 34 della l.r. n. 33 del 2009, detta disposizioni in merito alle attività assistenziali effettuabili dal medico in formazione specialistica che non sono in linea con la normativa nazionale di riferimento. In particolare il comma 2 del nuovo art. 34 prevede che “le attività assistenziali svolte dal medico in formazione specialistica sono individuate e tracciate in relazione al progressivo grado di autonomia operativa e decisionale”; la stessa norma individua inoltre diversi livelli di autonomia dello specializzando, attribuendogli, alla lett. c), la facoltà di svolgere “attività autonoma” che consiste nello svolgere “autonomamente specifici compiti che gli sono stati affidati, fermo restando che il tutor deve essere sempre disponibile per la consultazione e l’eventuale tempestivo intervento”.
La norma regionale in esame, che consente al medico in formazione specialistica di svolgere la propria attività autonomamente, limitando l’intervento del tutor ad una eventuale consultazione o ad un tempestivo intervento, contrasta con del d.lgs. n. 368 del 1999, riguardante la formazione specifica in medicina, che, all’art. 38, comma 3, stabilisce che “la formazione del medico specialista implica la partecipazione guidata alla totalità delle attività mediche dell'unità operativa presso la quale è assegnato dal Consiglio della scuola, nonché la graduale assunzione di compiti assistenziali e l’esecuzione di interventi con autonomia vincolate alle direttive ricevute dal tutor, di intesa con la direzione sanitaria e con dirigenti responsabili delle strutture delle aziende sanitarie presso cui si svolge la formazione. In nessun caso l'attività del medico in formazione specialistica è sostitutiva del personale di ruolo”.
La disposizione regionale in esame, pertanto, nel prevedere che il medico in formazione specialistica possa svolgere un’attività autonoma senza essere vincolato alle direttive ricevute dal tutor, per un verso non garantisce lo standard formativo richiesto dalla menzionata norma statale e, per altro verso, rischia di incidere sulla qualità dell’assistenza sanitaria, ponendosi in tal modo in contrasto anche con la previsione contenuta nell’art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 502 del 1992, secondo il quale il Servizio sanitario nazionale assicura i livelli essenziali e uniformi di assistenza nel rispetto, tra l’altro, del principio della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze. Essa contrasta pertanto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di “professioni” e di “tutela della salute” e viola l’art. 117, terzo comma, Cost.
Anche la Corte Costituzionale (cfr. per tutte la sent. n. 126/2014) ha ritenuto che la formazione dei medici specializzandi possa essere ricondotta a materie diverse, ossia quella della “professioni”, ovvero della “tutela della salute”, in ragione della stretta inerenza che la stessa presenta con la formazione del medico specializzando, dalla quale dipendono tanto l’esercizio della professione medica specialistica, quanto la qualità delle prestazioni rese all’utenza.

3) L’art. 2 della legge in esame prevede che “la disciplina dettata dagli articoli 29, 31, 33 e 34 di cui al Titolo III della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità), introdotta dalla presente legge, avviene in via sperimentale per un periodo di cinque anni, al termine del quale la Regione, in collaborazione con il Ministero della Salute e il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, valuta i risultati della sperimentazione. La Regione, in collaborazione con il Ministero della Salute, effettua una prima verifica al termine del primo triennio di sperimentazione al fine di individuare eventuali interventi correttivi”.
La disposizione regionale in esame, nel prevedere il coinvolgimento del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca soltanto nella valutazione finale del quinquennio di sperimentazione, e non anche al termine del primo triennio di sperimentazione per la valutazione dei risultati, contrasta con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, nonché con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost. Entrambi i Ministeri sono infatti responsabili della qualità della formazione degli specializzandi.

Per i motivi esposti le norme regionali sopra indicate debbono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell'art. 127 Cost.

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