Dettaglio Legge Regionale

Modifiche ed integrazioni all’art. 2 della L.R. 28 aprile 2014, n. 26, all’art. 14 della L.R. 25 ottobre 1996, n. 96, alla L.R. 10 marzo 2008, n. 2 e ulteriori norme in materia di edilizia residenziale pubblica. (12-11-2014)
Abruzzo
Legge n.40 del 12-11-2014
n.47 del 26-11-2014
Politiche infrastrutturali
20-1-2015 / Impugnata
La legge della Regione Abruzzo n. 40 del 12 novembre 2014 presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento agli articoli 3 e 4, per i motivi di seguito specificati, e deve pertanto essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

1) L’articolo 3 presenta profili di illegittimità costituzionale per contrasto con l’articolo 81, comma 3, della Costituzione. La disposizione dispone una riduzione dei canoni delle locazioni relative al patrimonio di edilizia residenziale pubblica in regime di canone concordato con contratto non ancora stipulato alla data del 30 settembre 2014. In particolare, per i canoni superiori a 250 euro, è prevista una riduzione percentuale pari al cinquanta per cento sull’importo eccedente detto limite.
Tale previsione, determinando una riduzione delle entrate delle ATER, comporta minori entrate a carico del bilancio regionale, non quantificate e a fronte delle quali non è indicata la relativa fonte di finanziamento.

2) L’articolo 4 presenta profili di illegittimità costituzionale per contrasto con l’articolo 117, comma 3, della Costituzione (con riferimento alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»), con l’art. 118, comma 1 della Costituzione, e con l’articolo 97 della Costituzione, per i motivi di seguito specificati.

La disposizione impugnata introduce l’articolo 1.1 alla legge regionale 10 marzo 2008, n. 2 (recante “Provvedimenti urgenti a tutela del territorio regionale”), prevedendo che “sulle opere per le quali è stata negata l’intesa, la soluzione per la quale è stata data la negazione sarà valutata e comparata entro sei mesi, di concerto con gli organi statali competenti e in ottemperanza al principio di leale collaborazione, con le soluzioni alternative elaborate dalla Regione al fine di scegliere la proposta che accolga nel modo più completo possibile le ragioni alla base della negazione e che abbia minore impatto ambientale e il più basso impatto sismico”.

Preliminarmente, occorre osservare che il generico riferimento alle “opere per le quali è stata negata l’intesa” potrebbe apparire come il seguito di quanto disposto nell’articolo 1 della medesima legge regionale n. 2/2008, il quale detta disposizioni programmatiche per il rilascio dell’intesa prevista dall’articolo 1, comma 7, lettera n) della legge 23 agosto 2004, n. 239 (attribuzioni allo Stato delle funzioni amministrative relative alle determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate, per la terraferma, di intesa con le amministrazioni interessate). Il suddetto riferimento, tuttavia, potrebbe anche essere interpretato in senso ampio, in modo da considerare la norma come volta a disciplinare, in via generale, le modalità di risoluzione del dissenso tra Regione e amministrazioni statali, in tutti quei procedimenti nei quali l’amministrazione regionale è chiamata ad esprimere la propria intesa “forte”, la cui negazione impone l’avvio di idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze. Questa seconda interpretazione pare avvalorata, oltre che dall’ampiezza della dizione utilizzata dal legislatore regionale, della collocazione sistematica della norma in un articolo a sé stante e dell’assenza di riferimento alle opere di coltivazione e ricerca di idrocarburi disciplinate all’articolo 1 della l.r. n. 2/2008. In questo caso, nell’ambito delle “opere per cui è stata negata l’intesa” dovrebbero annoverarsi tutte le opere energetiche soggette ad intesa regionale, ovunque localizzate, tra cui i gasdotti, le centrali di spinta e quant’altro.

Orbene, non vi è dubbio che le intese disciplinate dalla disposizione censurata, in entrambe le interpretazioni offerte, ineriscano a materia di competenza statale.

La Corte costituzionale ha in più occasioni affermato che la disciplina di riordino del settore energetico contenuta nella l. n. 239/2004 e, in particolare, le disposizioni contenute all’articolo 1, comma 7, lettera n) (che attribuisce allo Stato “le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate”); e comma 8, lettera b), numero 2 (che attribuisce allo Stato “l’individuazione, di intesa con la Conferenza unificata, della rete nazionale di gasdotti”), costituiscono principi fondamentali nella materia di potestà legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (C. cost. nn. 124/2010; 282/2009; 383/2005). Analogamente, afferiscono alla materia di potestà legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» l’articolo 29, comma 2, lettera g) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che riserva allo Stato funzioni amministrative e autorizzatorie in materia di impianti costituenti parte della rete energetica nazionale (sentenze n. 313/2010 e n. 383/2005) e la disciplina relativa ai procedimenti di autorizzazione di infrastrutture lineari energetiche contenuta nella legge n. 330/2004, modificativa del D.P.R. 327/2001.
Tali disposizioni hanno ridefinito in modo unitario i procedimenti di autorizzazione delle maggiori infrastrutture lineari energetiche, posta la necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell'esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative (sul punto, C. cost., sentenza n. 6/2004, Considerato in diritto, punti 6 ss). La competenza legislativa statale in questi casi è effetto della c.d. “chiamate in sussidiarietà” (cfr. C. cost. n. 303/2003), e la previsione di forme di collaborazione e coordinamento con le autonomie ne è conseguenza fondamentale. La Corte costituzionale al riguardo ha riconosciuto che “È oramai princìpio acquisito nel rapporto tra legislazione statale e legislazione regionale che quest’ultima possa venire spogliata della propria capacità di disciplinare la funzione amministrativa attratta in sussidiarietà, a condizione che ciò si accompagni alla previsione di un’intesa in sede di esercizio della funzione, con cui poter recuperare un’adeguata autonomia…(sentenze n. 383 e n. 62 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003)” (C. cost. n. 278/2010).
Al riguardo, la giurisprudenza costituzionale ha anche chiarito che la disciplina di detta intesa rientra nei principi fondamentali di competenza dello Stato. Con la sentenza n. 121 del 2010, in particolare, la Corte costituzionale ha chiarito che la disciplina dell’intesa, caratterizzata dalla paritaria codeterminazione dell’atto, “non deve attribuire ad alcuna delle parti «un ruolo preminente, incompatibile con il regime dell’intesa »; non è legittima infatti «la drastica previsione, in caso di mancata intesa, della decisività della volontà di una sola delle parti, la quale riduce all’espressione di un parere il ruolo dell’altra» (sentenza n. 24 del 2007). Il superamento delle eventuali situazioni di stallo deve essere realizzato attraverso la previsione di idonee procedure perché possano aver luogo «reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo» (sentenza n. 339 del 2005). Se queste cautele sono valide per tutti casi in cui sia prevista un’intesa, esse acquistano una pregnanza particolare nel sistema dei rapporti tra Stato e Regioni, in cui sono da integrare la potestà unificatrice del primo e le autonomie costituzionalmente tutelate delle seconde”.
La Corte costituzionale ha inoltre chiarito che “forme di collaborazione e coordinamento – pure auspicabili – tra apparati statali, regionali e di enti locali, che coinvolgano compiti e attribuzioni dello Stato non possano essere disciplinati unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa, ma debbono trovare il loro fondamento o presupposto in leggi statali che le prevedano o consentano, o in accordi tra gli enti interessati” (sentenze n. 322/2006; n. 104/2010). Sul punto, la Corte costituzionale ha ulteriormente specificato, con la sentenza n. 331 del 2010, che, ferma restando la necessità di garantire forme di collaborazione tra Stato e Regioni per l’esercizio delle relative funzioni amministrative da rinvenire, per il grado più elevato, nell’intesa tra Stato e Regione interessata “la disciplina normativa di queste forme collaborative e dell’intesa stessa spetta, di conseguenza, al legislatore che sia titolare della competenza legislativa in materia, sia laddove questi sia chiamato a dettare una disciplina esaustiva con riferimento alla tutela dell’ambiente, sia laddove la legge nazionale si debba limitare ai principi fondamentali, con riferimento all’energia. Anche in quest’ultimo caso determinare le forme e i modi della collaborazione, nonché le vie per superare l’eventuale stallo ingenerato dal perdurante dissenso tra le parti, caratterizza, quale principio fondamentale, l’assetto normativo vigente e le stesse opportunità di efficace conseguimento degli obiettivi prioritari, affidati dalla Costituzione alla cura del legislatore statale”.
In altre parole, è pacifico che il compito di garantire adeguate forme di collaborazione tra i diversi apparati dello Stato e di disciplinare tali forme di collaborazione, tra le quali la stessa intesa, spetta, come principio fondamentale caratterizzante l’assetto normativo vigente, al legislatore statale, sia nelle materie di competenza legislativa esclusiva che nelle materie di legislazione concorrente, escludendo quindi possibili interventi in tal senso da parte del legislatore regionale. Questa conclusione è da ritenersi valida anche nel caso in cui nella normativa statale manchino i principi fondamentali volti a guidare il legislatore regionale per superare il dissenso della Regione nella conclusione dell’intesa. Anche quando questo si verifichi, la procedura per il raggiungimento dell’intesa non può essere determinata unilateralmente dal legislatore regionale, senza violare i principi di sussidiarietà e leale collaborazione. Se infatti ciò fosse possibile, si potrebbe giungere a una procedura di superamento del dissenso diversa per ogni regione italiana, con conseguente vulnus non solo del principio di buon andamento dell’azione amministrativa sancito dall’articolo 97, comma 1, della Costituzione, ma anche dell’esigenza di unitarietà che, in quanto espressione dell’articolo 118, comma 1, della Costituzione, è fondamento della “chiamata in sussidiarietà” e, conseguentemente, dell’intesa stessa.

Alla luce di quanto osservato, è evidente che entrambe le interpretazioni della disposizione regionale impugnata sono da considerarsi affette dai denunciati profili di illegittimità costituzionale in quanto, interferendo indebitamente con la competenza legislativa statale, disciplinano in modo unilaterale forme di collaborazione e coordinamento che coinvolgono anche attribuzioni e compiti dello Stato in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.

Infine, occorre precisare che, se si accoglie la seconda delle interpretazioni offerte, la disposizione impugnata viola altresì, l’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Il procedimento unico di autorizzazione di infrastrutture lineari energetiche disciplinato dalla legge n. 330/2004, infatti, prevede la convocazione della conferenza dei servizi ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241. La norma regionale, prevedendo un meccanismo alternativo, contrasta con l'art. 14­quater, comma 3, della legge 8 agosto 1990, n. 241, che disciplina un apposito procedimento di composizione d'interessi confliggenti da seguire nelle ipotesi di diniego dell'intesa e che costituisce, ai sensi dell'art. 29, comma 2-ter, l. n. 241/1990, norma afferente ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117, secondo comma, lett. m) della Costituzione.

Per questi motivi, si richiede l'impugnativa degli articoli 3 e 4 della legge della Regione Abruzzo n. 40/2014 dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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