Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni urgenti per l’applicazione dell’articolo 14 della legge 30 ottobre 2014, n. 161. (26-11-2015)
Basilicata
Legge n.53 del 26-11-2015
n.49 del 26-11-2015
Politiche socio sanitarie e culturali
15-1-2016 / Impugnata
La legge della regione Basilicata 26 novembre 2015, n. 53, recante “Disposizioni urgenti per l’applicazione dell’articolo 14 della legge 30 ottobre 2014, n. 161.”, presenta profili d’illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 2, comma 1, lettere a) e c), e all’art. 3.
1) l’art. 2, comma 1, lett. a), che reca la disciplina transitoria dell’orario di lavoro del personale sanitario del Servizio sanitario nazionale, stabilisce che “per il calcolo della durata massima settimanale di 48 ore dell'orario di lavoro di cui all'art. 4 del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, il periodo di riferimento è di mesi dodici in linea con quanto previsto dal comma 4 del predetto articolo”. Tale previsione si pone in contrasto proprio con l’art. 4, comma 2, del menzionato d.lgs. n. 66/2003, il quale, nel dare attuazione a varie Direttive europee (tra le quali le Direttive 93/104/CE, 2000/34/CE, e 2003/88/CE), prevede che la durata media dell'orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario, e che tale durata media dell'orario di lavoro deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi. Il medesimo articolo prevede inoltre, al comma 4, che i contratti collettivi di lavoro possono in ogni caso elevare tale limite fino a sei mesi ovvero fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti collettivi. La disposizione regionale in esame pertanto viola l’art. 117, primo comma, e secondo comma, lett. l), Cost., in quanto non rispetta i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, e invade la materia dell’ordinamento civile riservata alla competenza statale.
2) l’art. 2, comma 1, lett. c), che reca la disciplina transitoria del riposo giornaliero del personale sanitario del Servizio sanitario nazionale, prevede che “i riposi giornalieri inferiori ad undici ore sono possibili in presenza di eventi eccezionali e non prevedibili o assenze improvvise che non consentano di garantire la continuità dell'assistenza come accertati dai responsabili dei servizi sanitari interessati”. Tale previsione si pone in contrasto con l’articolo 7 del d.lgs. n. 66/2003, il quale, nel dare attuazione alle menzionate Direttive europee, prevede che “Ferma restando la durata normale dell'orario settimanale, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità”. La disposizione regionale in esame pertanto viola l’art. 117, primo comma, e secondo comma, lett. l), Cost., in quanto non rispetta i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, e invade la materia dell’ordinamento civile riservata alla competenza statale.
Al riguardo appare opportuno segnalare che le norme statali sopra menzionate erano state dichiarate ‘non applicabili’ al personale sanitario del Servizio sanitario nazionale dall’art. 41, comma 13, del decreto-legge n. 112/2008 e dall’art. 17, comma 6-bis, del decreto legislativo n. 66/2003 (introdotto dall’art. 3, comma 85 della legge n. 244/2007).
Tuttavia le deroghe così introdotte hanno determinato l’apertura di una apposita procedura di infrazione, da parte della Commissione europea, contro l’Italia in quanto le disposizioni rispetto alle quali si poneva la deroga (art. 4 e 7 del più volte citato d.lgs. n. 66/2003), erano, come sopra evidenziato, attuative delle menzionate direttive europee vigenti in materia, ed in particolare degli articoli 6 e 3 della direttiva 2003/88/CE.
Segnatamente, l’articolo 4 del d.lgs. n. 66/2003, attuativo dell’articolo 6 della direttiva 2003/88/CE, nel disciplinare la durata massima dell’orario di lavoro, fissa in quarantotto ore la durata media dello stesso, per ogni periodo di sette giorni (comma 2). Il comma 3 del medesimo articolo prevede che tale durata media settimanale deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi; periodo che, a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, può essere aumentato a sei o a dodici mesi, ma solo dai contratti collettivi di lavoro (secondo quanto previsto dal comma 4). Sono, infatti, i contratti collettivi di lavoro a dover stabilire, nel rispetto dei limiti indicati, la durata massima settimanale dell’orario di lavoro (comma 1 del citato articolo 4 del d.lgs. n. 66/2003).
L’articolo 7 del richiamato d.lgs. n. 66/2003, attuativo dell’articolo 3 della direttiva 2003/88/CE, stabilisce invece che il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni 24 ore.
Ebbene, proprio al fine di risolvere positivamente la citata procedura di infrazione, il legislatore è intervenuto con il richiamato art. 14 della legge n. 161/2014 (non a caso intitolata “disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013-bis.”), abrogando le citate norme di deroga.
Tuttavia, in considerazione del fatto che il ripristino automatico dei diritti in materia di orario di lavoro, di cui alla predetta direttiva europea, avrebbe potuto determinare, ove l’abrogazione delle norme derogatorie fosse stata di immediata efficacia – e tenuto conto dei limiti normativi all’assunzione del personale – talune criticità in ordine alla garanzia della continuità nell’erogazione dei servizi sanitari e dei livelli essenziali delle prestazioni, il comma 1 dell’art. 14 della legge n. 161/2014 ha disposto che l’abrogazione delle norme derogatorie di cui si è detto avvenisse decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore della legge medesima; tale termine è scaduto il 25 novembre 2015. Detta norma transitoria era finalizzata a consentire alle regioni, come disposto al comma 2, di realizzare, entro tale termine, appositi processi di riorganizzazione finalizzati ad una più efficiente allocazione delle risorse umane, disponibili a legislazione vigente, tenendo anche conto di quanto previsto dell’articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, cui è stata data attuazione con il decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70 (“Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera”).
Il comma 3 del menzionato art. 14 della legge n. 161/2014 , inoltre, ha previsto, conformemente a quanto consentito dall’articolo 17, paragrafo 3, lettera c), della richiamata direttiva 2003/88/CE, che, al fine di garantire la continuità nell’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, i contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto sanità disciplinano le deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero del personale del Servizio sanitario nazionale preposto ai servizi relativi all'accettazione, al trattamento e/o alle cure, prevedendo altresì equivalenti periodi di riposo compensativo, immediatamente successivi al periodo di lavoro da compensare, ovvero, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, adeguate misure di protezione del personale stesso. Il medesimo comma ha previsto, infine, che nelle more del rinnovo dei contratti collettivi vigenti, le disposizioni contrattuali in materia di riposo giornaliero e di durata massima settimanale dell’orario di lavoro, attuative delle norme abrogate, sono disapplicate a decorrere dalla data di abrogazione.
Va, peraltro, segnalato che, a seguito della pubblicazione della citata legge n. 161/2014, la predetta procedura di infrazione è stata archiviata.
Tanto premesso in ordine alla normativa statale ed europea di riferimento, si ribadisce pertanto che la legge regionale in esame reca alcune disposizioni che, intervenendo in materia di orario di lavoro, e prevedendo talune deroghe alle richiamata normativa, attengono alla materia dell’ordinamento civile, che, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, è riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato e, dunque, non può essere disciplinata con legge regionale.
In particolare, mentre l’articolo 1 della citata legge regionale, come detto, enuncia che la finalità della legge è quella di dare attuazione al più volte richiamato articolo 14 della legge n. 161/2014 – il quale, tuttavia, prevedeva che i processi di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture e dei servizi dovessero concludersi, da parte delle regioni, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge stessa – peraltro rinviando a successivi e non meglio specificati provvedimenti di Giunta regionale, l’articolo 2 detta una disciplina transitoria che presenta i citati profili di illegittimità costituzionale.
In particolare, tale articolo 2 dispone, al comma 1, lettera a), che, nelle more della definizione della nuova disciplina contrattuale nazionale, in relazione alle disposizione contenute nel d.lgs. n. 66/2003, “per il calcolo della durata massima settimanale di 48 ore dell’orario di lavoro di cui all’articolo 4 del d.lgs. n. 66/2003 il periodo di riferimento è di mesi dodici, in linea con quanto previsto dal comma 4 del predetto articolo”.
In tal modo, la citata norma regionale pone una palese deroga a quanto previsto dal richiamato articolo 4, comma 2, del d.lgs. n. 66/2003, ai sensi del quale, come visto, la durata media dell’orario di lavoro settimanale, fissata in 48 ore, deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi.
Deve, peraltro, essere contestata la dichiarata conformità al comma 4 del d.lgs. n. 66/2003, cui fa riferimento la norma regionale in argomento, in quanto tale articolo, ancorché preveda che il predetto periodo di quattro mesi possa, a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, essere elevato a sei mesi o a dodici mesi, riserva la possibilità di prevedere tale innalzamento esclusivamente ai contratti collettivi di lavoro, che peraltro devono dar conto delle predette ragioni giustificatrici. Non è dunque legittima una legge regionale che intervenga in tale materia.
La lettera c) del citato articolo 2 della legge regionale in esame, inoltre, prevede che i riposi giornalieri inferiori ad undici ore sono possibili in presenza di eventi eccezionali e non prevedibili o assenze improvvise che non consentano di garantire la continuità dell’assistenza, come accertati dai responsabili dei servizi sanitari interessati. Tale previsione, come sopra evidenziato, si pone in contrasto con l’articolo 7 del d.lgs. n. 66/2003, che prevede il diritto del lavoratore ad undici ore di riposo consecutivo, ogni ventiquattro ore. L’articolo 17, comma 1, del medesimo decreto legislativo, inoltre, prevede che eventuali deroghe a tale previsione possano essere disposte, anche in tal caso, esclusivamente dai contratti collettivi stipulati a livello nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative (ovvero, in mancanza di disciplina collettiva, mediante una procedura speciale di livello nazionale, regolamentata al comma 2), specificando, inoltre, al comma 4, che tale deroga è ammessa solo a condizione che “ai prestatori di lavoro siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo o, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per motivi oggettivi, a condizione che ai lavoratori interessati sia accordata una protezione appropriata”.
Si tratta di riserve (alla contrattazione collettiva) e di limiti espressamente ribaditi, tra l’altro, anche dallo stesso articolo 14 della legge n. 161/2014, di cui pure la legge regionale in esame si dichiara attuativa. Come anticipato, infatti, il comma 3 di tale articolo 14 prevede che “ al fine di garantire la continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, i contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto sanità disciplinano le deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero del personale del Servizio sanitario nazionale preposto ai servizi relativi all'accettazione, al trattamento e alle cure, prevedendo altresì equivalenti periodi di riposo compensativo, immediatamente successivi al periodo di lavoro da compensare, ovvero, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, adeguate misure di protezione del personale stesso.”.
Per quanto sopra esposto, si ribadisce che l’articolo 2, comma 1, lettere a) e c) della legge regionale in esame si configura costituzionalmente illegittimo, in quanto attinente alla materia dell’ordinamento civile e in quanto contrastante con la normativa europea di riferimento. Risultano, conseguentemente, violati l’articolo 117, primo e secondo comma, lettera l), della Costituzione.

3) L’art. 3, comma 1, della legge regionale in esame stabilisce che “Le Aziende Sanitarie regionali sono autorizzate, fino al 31 luglio 2016, all'acquisizione di personale sanitario a tempo determinato, anche nella forma di lavoro in somministrazione, fino ad una spesa massima complessiva pari al costo sostenuto nell'anno 2015 per il periodo di assenza del personale dipendente in caso di maternità, malattia, aspettative, fruizione di altri benefici, distacchi, comandi e permessi previsti dalla normativa. Tale costo non viene computato agli effetti del rispetto di tutti i vincoli di spesa complessiva del personale stabiliti dalla normativa nazionale e regionale.”
La disposizione regionale in esame, che non rispetta i vincoli recati dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa di personale, contrasta con la disciplina statale di riferimento e in particolare con l’articolo 2, commi 71 e 72, della legge n. 191/2009, nonché con l’articolo 9, comma 28, del D.L. n. 78/2010, secondo il quale “A decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, gli enti pubblici non economici, le università e gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni e integrazioni, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura fermo quanto previsto dagli articoli 7, comma 6, e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio di cui all'articolo 70, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni ed integrazioni, non può essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per le rispettive finalità nell'anno 2009. I limiti di cui al primo e al secondo periodo non si applicano, anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di pubblica utilità e ai cantieri di lavoro, nel caso in cui il costo del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell'Unione europea; nell'ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla sola quota finanziata da altri soggetti. Le disposizioni di cui al presente comma costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale…” L’art. 3, derogando ai principi di coordinamento della finanza pubblica recati dalle suddette norme statali, viola pertanto l’art. 117, terzo comma, Cost.
Inoltre il medesimo art. 3, omettendo di indicare la copertura economica delle spese derivanti dall’assunzione del predetto personale, viola l’articolo 81 della Costituzione.
Per tali motivi la legge regionale in esame deve essere impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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