Dettaglio Legge Regionale

Modifica della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio" e successive modificazioni. (12-4-2016)
Veneto
Legge n.12 del 12-4-2016
n.35 del 15-4-2016
Politiche infrastrutturali
31-5-2016 / Impugnata
La legge della Regione Veneto n. 12/2016 presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento all’articolo 2, che inserisce nella legge regionale n. 11/2014 (Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio) gli articoli 31-bis (Edifici e attrezzature di interesse comune per servizi religiosi) e 31-ter (Realizzazione e pianificazione delle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi).

L’articolo 31-bis prevede che la Regione e i comuni del Veneto individuano i criteri e le modalità per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi da effettuarsi da parte degli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica, delle confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione, e delle altre confessioni religiose.
L’articolo 31-ter prevede che lo strumento urbanistico comunale, per le aree e per gli immobili da destinarsi alla realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, garantisce: “a) la presenza di strade di collegamento adeguatamente dimensionate o, se assenti o inadeguate, ne prevede l'esecuzione o l'adeguamento con onere a carico dei richiedenti; b) la presenza di opere di urbanizzazione primaria o, se assenti o inadeguate, ne prevede l'esecuzione o l'adeguamento con onere a carico dei richiedenti; c) la presenza di distanze adeguate tra le aree o gli edifici da destinare alle diverse confessioni religiose; d) spazi adeguati da destinare a parcheggio pubblico; e) la realizzazione di adeguati servizi igienici, nonché l'accessibilità alle strutture da parte di disabili; f) la conformità e la congruità con le previsioni degli strumenti territoriali sovraordinati ed in particolare con riferimento al loro inserimento nel contesto urbano e paesaggistico”. Il comma 2 estende tale disciplina anche alle aree scoperte destinate o utilizzate per il culto, ancorché saltuario. Il comma 3 prevede che per la realizzazione delle attrezzature suddette, nonché per l'attuazione degli impegni assunti, il richiedente sottoscrive con il comune una convenzione contenente un impegno fideiussorio. Nella convenzione può essere previsto l'impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto.

Le disposizioni ora richiamate presentano i seguenti profili di incostituzionalità:

1) L’art. 31-bis della l.r. n. 11/2004, come introdotto dall’articolo 2 della legge regionale n. 12/2016, contrasta con gli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione nella parte in cui riconosce alle Regioni e ai comuni del Veneto la potestà amministrativa di individuare i criteri e le modalità per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi.
La disposizione è incostituzionale in quanto richiamando con formula generica e ambigua «i criteri e le modalità» da individuare per la realizzazione delle attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi, si presta ad applicazioni ampiamente discrezionali, potenzialmente discriminatorie nei confronti di alcuni enti religiosi. Sotto un altro profilo, l’incostituzionalità sussiste in quanto la norma consente che la Regione e i comuni effettuino una valutazione differenziata dei criteri e delle modalità di realizzazione delle suddette attrezzature per le diverse confessioni religiose. Ciò in contrasto con la giurisprudenza costituzionale, secondo cui “il legislatore non può operare discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o meno regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese” (sentenza n. 63/2016).

2) L’art. 31-ter della l.r. n. 11/2004, come introdotto dall’articolo 2 della legge in esame, contrasta con gli artt. 2, 3, 8, 19 e 117, comma 2, lett. c) ed h) della Costituzione.
Il comma 3 dell’art. 31-ter prevede una convenzione tra il comune e il soggetto richiedente la realizzazione di attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi e stabilisce che nelle convenzioni può essere previsto “l’impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto”.
Al riguardo, si osserva che le convenzioni dovrebbero rispondere alla finalità, tipicamente urbanistica, di assicurare lo sviluppo equilibrato e armonico dei centri abitati, pertanto, le stesse dovrebbero unicamente consentire la previsione in forma concordata e negoziale degli impegni strettamente connessi all’ottenimento da parte dell’ente interessato del rilascio delle necessarie autorizzazioni urbanistiche per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi. In questa prospettiva, appare irragionevole la previsione che consente di inserire, nel contesto pattizio della convenzione, l’impegno ad utilizzare la lingua italiana.
La norma così formulata appare travalicare gli ambiti rimessi alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose, ai sensi dell'art. 117, 2 comma, lett. c), della Costituzione. Si rileva, al riguardo, che spetta allo Stato il compito di garantire, sia ai singoli, sia alle formazioni sociali, il godimento effettivo e sostanziale del diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, adottando le pertinenti misure per favorirne l'esercizio nel senso più ampio possibile, cioè non strettamente legato al solo svolgimento delle pratiche rituali di culto, bensì fino a ricomprendere anche le attività collaterali, come quelle ricreative, aggregative, culturali, sociali, educative, nell'ambito delle quali la libertà religiosa trova la sua pienezza di espressione.
Il contrasto con gli articoli 2 e 3 della Costituzione deriva dal fatto che si tratta di attività inserite nell’ambito del principio di libertà di religione, che siano espressione diretta di fede, ivi compresa la realizzazione di luoghi diretti al culto e alla discussione degli interessi sociali e culturali della comunità. Peraltro, si osserva che la necessaria interferenza con la suddetta liberà di religione appare porre la norma in contrasto con la previsione di cui all’art. 19 Cost.
La norma regionale, inoltre, nella parte in cui persegue una finalità di controllo delle modalità con cui in concreto è esercitata l’attività sociale e culturale svolta nelle attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi, per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, invade la potestà legislativa esclusiva statale e viola l’art. 117, comma 2, lettera h) della Costituzione (cfr la sentenza n. 55/2001). La giurisprudenza costituzionale, infatti, è consolidata nel ritenere che, se tra gli interessi costituzionali da considerare “nel modulare la tutela della libertà di culto” rientrano anche “quelli relativi alla sicurezza, all’ordine pubblico e alla pacifica convivenza”, il perseguimento di tali interessi spetta in via esclusiva allo Stato, in base all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., mentre alle Regioni è riservato un ruolo di cooperazione in tema di contrasto dell’illegalità, ordine pubblico e sicurezza (si vedano le sentenze n. 35 del 2012 e n. 63 del 2016).

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