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Riconoscimento della legittimità del debito fuori bilancio di euro 3.606,56 per le prestazioni professionali svolte nell’ambito dei “Lavori di realizzazione dei pennelli e risagomatura scogliere esistenti nella zona sud e centro del litorale del Comune di Silvi (TE)” ed ulteriori disposizioni. (18-5-2021)
Abruzzo
Legge n.10 del 18-5-2021
n.103 del 19-5-2021
Politiche economiche e finanziarie
13-7-2021 / Impugnata
La legge della regione Abruzzo n. 10/2021, recante “Riconoscimento della legittimità del debito fuori bilancio di euro 3.606,56 per le prestazioni professionali svolte nell’ambito dei “Lavori di realizzazione dei pennelli e risagomatura scogliere esistenti nella zona sud e centro del litorale del Comune di Silvi (TE)” ed ulteriori disposizioni.” presenta aspetti illegittimi in relazione agli articoli 5 e 21 per le motivazioni di seguito indicate .

L’articolo 5 della legge regionale n. 10 del 2021 interviene a modificare l’articolo 45 della legge regionale n. 45 del 2007, recante “Norme per la gestione integrata dei rifiuti”, introducendo il seguente comma 13-bis: “Per gli impianti autorizzati con esclusione di assoggettabilità a V.I.A., la comunicazione di variazione non sostanziale non è soggetta ad alcuna nuova autorizzazione regionale, né può essere subordinata ad ulteriori pareri. La comunicazione deve comunque essere corredata di relazione tecnica specialistica in ordine alla non sostanzialità della variante secondo i criteri di cui al comma 10”.

Una norma siffatta configura l’esclusione di assoggettabilità a VIA quale procedura autorizzativa a sé stante, tale da assorbire e da precludere, anche in caso di eventuali comunicazioni di variazione non sostanziale, ogni successiva fase di valutazione e di espressione di pareri da parte degli enti competenti.

Al contrario, si deve rilevare che la procedura di assoggettabilità a VIA è finalizzata unicamente a verificare se gli eventuali impatti negativi dell’intervento siano tali da avviare o meno la procedura di valutazione di impatto ambientale, facendo comunque salva l’acquisizione di eventuali ulteriori pareri e nulla osta che si appalesino come necessari.

La richiamata disposizione, che impedisce di acquisire qualsivoglia autorizzazione o parere, ivi inclusi quelli previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, sulla base di una mera comunicazione corredata di relazione tecnica si pone in contrasto con le norme a tutela dei beni culturali e del paesaggio.

Occorre, infatti, evidenziare che l’esclusione di assoggettabilità a VIA non esclude altresì la valutazione paesaggistica, non potendo le Regioni introdurre casi di esonero dall’autorizzazione paesaggistica che non siano previsti dalla legge statale.

La norma de qua introduce nuove ipotesi di interventi non soggetti all’autorizzazione paesaggistica, diverse e ulteriori rispetto a quelle indicate all’articolo 149 del Codice di settore e nell’allegato A del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31, recante “Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”.

Le previsioni di cui al citato articolo 149 sono state puntualmente declinate nel d.P.R. n. 31 del 2017, il quale – in attuazione dell’articolo 12, comma 2, del decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 – ha disposto all’articolo 2 che “Non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all'Allegato «A»” e ha poi individuato nel predetto allegato una casistica di interventi esonerati dall’autorizzazione paesaggistica.

Spetta soltanto allo Stato individuare tali esclusioni, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), Cost., nonché della potestà regolamentare riservata allo Stato nella medesima materia, ai sensi dell’articolo 117, sesto comma, Cost.

Lo Stato ha, peraltro, già assicurato la dovuta considerazione alle esigenze di partecipazione delle Regioni e delle autonomie locali nella definizione degli interventi sottratti all’autorizzazione paesaggistica, atteso che il Regolamento approvato con il d.P.R. n. 31 del 2017 è stato concertato previamente mediante l’acquisizione dell’intesa della Conferenza unificata, come attestato nelle premesse del medesimo atto.
La disposizione regionale censurata ha, quindi, l’effetto di intervenire in una materia nella quale la Regione è sfornita di qualsivoglia potestà legislativa, individuando, in aggiunta alle fattispecie già tipizzate a livello nazionale, ulteriori interventi sottratti a qualsivoglia autorizzazione o parere e dunque suscettibili di essere realizzati in assenza anche dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’articolo 146 del Codice.
Da ciò l’invasione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), Cost., nonché degli ambiti riservati alla potestà regolamentare dello Stato, ai sensi del sesto comma del medesimo articolo 117.

La Corte costituzionale ha, infatti, statuito che: “La procedura di autorizzazione paesaggistica disciplinata dalla normativa statale, non derogabile da parte delle Regione, è volta a stabilire proprio se un determinato intervento abbia o meno un impatto paesaggistico significativo” e che la qualificazione, da parte della Regione, di taluni interventi come paesaggisticamente irrilevanti “si pone, dunque, in contrasto con il richiamato art. 146, oltre che con l’art. 149 del medesimo Codice dei beni culturali e del paesaggio - che individua tassativamente le tipologie di interventi in aree vincolate realizzabili anche in assenza di autorizzazione paesaggistica” (Corte cost. n. 189 del 2016).

Come la Corte costituzionale ha già più volte affermato, ribadendolo da ultimo nella sentenza n. 138 del 26 maggio 2021, «la legislazione regionale non può prevedere una procedura per l’autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perché alle Regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica» (sentenza n. 189 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 238 del 2013, n. 235 del 2011, n. 101 del 2010 e n. 232 del 2008), in quanto la competenza esclusiva statale risponde ad «ineludibili esigenze di tutela e sarebbe vanificata dall’intervento di una normativa regionale che sancisse in via indiscriminata […] l’irrilevanza paesaggistica di determinate opere, così sostituendosi all’apprezzamento che compete alla legislazione statale» (sentenza n. 246 del 2017).

L’articolo 146 del Codice di settore è stato, con una recentissima pronuncia della Corte costituzione, definito quale “norma centrale in materia di controllo e gestione dei beni soggetti a tutela paesaggistica. […] La disamina delle disposizioni contenute nell’art. 146 cod. beni culturali consente di dedurre che il sistema elaborato dal legislatore statale si basa sulla centralità dell’esame, singulatim svolto, dei progetti relativi a interventi su immobili e aree di interesse paesaggistico. Si coglie così il senso della tutela assicurata dal codice dei beni culturali e del paesaggio, fondata su una prospettiva unitaria in cui le specificità dei singoli progetti non sfumano in una indeterminata visione d’insieme ma danno concretezza a un quadro che non può non essere unico. Per le anzidette ragioni e in considerazione della giurisprudenza di questa Corte indicata supra al punto 4, si deve concludere nel senso che la norma impugnata, prevedendo l’esonero dalle autorizzazioni sui singoli interventi, reca una deroga alle previsioni dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.” (sentenza n. 141 del 12 maggio 2021).

La Corte ha, infatti, recentemente ribadito che «[i]l principio di prevalenza della tutela paesaggistica deve essere declinato nel senso che al legislatore regionale è impedito […] adottare normative che deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso stretto» (sentenza n. 74 del 2021; nello stesso senso, anche sentenze n. 101, n. 54 e n. 29 del 2021).
Anche a voler ammettere astrattamente una qualche possibilità della Regione di intervenire nella materia riservata allo Stato, tale intervento dovrebbe limitarsi a recepire fedelmente le disposizioni statali vigenti, peraltro già concertate con le Regioni, come sopra detto. Ad avviso della Corte costituzionale, infatti, solo le disposizioni regionali che rispecchiano il contenuto della disciplina statale possono considerarsi non affette da illegittimità costituzionale poiché spetta esclusivamente al legislatore statale individuare quegli interventi che, pur incidendo su beni vincolati, sono esonerati dall’autorizzazione paesaggistica, in quanto si configurano come attività di gestione e manutenzione ordinaria, prevista e autorizzata dalla normativa vigente in materia (Corte cost. n. 201 del 2018).

La Corte ha inoltre evidenziato che, anche nel caso in cui le competenze regionali in materia di difesa del suolo possono rendere opportuni taluni esoneri, gli stessi devono essere realizzati sulla base della normativa statale, ribadendo l’illegittimità di norme regionali che ampliano la portata della disciplina nazionale, sia quanto al tipo di interventi esonerati, sia quanto alle condizioni che devono sussistere per l’esonero (sentenza n. 88 del 2018).

L’articolo 5 della legge regionale Abruzzo n. 10 del 2021 è censurabile anche in quanto incide sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, materia riservata allo Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.

Come già evidenziato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 207 del 2012 e n. 238 del 2013, le esigenze di uniformità della disciplina in tema di autorizzazione paesaggistica su tutto il territorio nazionale si impongono sull’autonomia legislativa delle Regioni, alle quali non è pertanto consentito individuare altre tipologie di interventi realizzabili in assenza di autorizzazione paesaggistica, al di fuori di quelli tassativamente determinati ai sensi della normativa sopra richiamata.

La Corte costituzionale ha infatti chiarito che la Regione, nell’esercitare la propria potestà normativa anche per altre finalità, non può comunque mai derogare al principio di cui al citato art. 146: “Ciò, se non esclude la possibilità che leggi regionali, emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., o di quella residuale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., possano assumere tra i propri scopi anche indirette finalità di tutela ambientale (sentenza n. 232 del 2005), non consente, tuttavia, che le stesse introducano deroghe agli istituti di protezione ambientale uniformi, validi in tutto il territorio nazionale, nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica.” (sentenza n. 232 del 2008).

La previsione censurata incide anche sull’ordinamento penale, che punisce chiunque esegua lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici “in assenza della prescritta autorizzazione” (art. 181 del Codice) e ammette l’accertamento di compatibilità paesaggistica ex post in limitatissimi casi da considerare eccezionali e derogatori al principio generale di divieto di sanatoria ex post (art. 167, comma 4, del Codice).
La disposizione regionale, pertanto, ampliando le fattispecie per le quali non sarebbe previsto, all’interno della sola Regione, il titolo paesaggistico, e ciò diversamente rispetto al resto del territorio italiano, invade la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento penale di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. L), della Costituzione.

È violato, infine, anche l’art. 9 della Costituzione, in base al quale il paesaggio costituisce valore costituzionale primario e assoluto (Corte cost. n. 378 del 2007) poiché la Regione, ampliando gli interventi sottratti all’autorizzazione paesaggistica, ha determinato l’abbassamento dei livelli di tutela posti a presidio dei beni paesaggistici.

Conclusivamente, si impugna innanzi alla Corte costituzionale l’articolo 5 della legge regionale in esame per violazione degli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. L), s) e m), e sesto comma Cost., stante il contrasto della disposizione censurata con gli articoli 146, 149, 167 e 181 del Codice di settore, nonché con le previsioni dell’articolo 2 e dell’Allegato A del d.P.R. n. 31 del 2017.

§§§

L'art. 21 prevede che per sopperire alle carenze di organico e far fronte alle esigenze determinate dall'attuale fase emergenziale, le ASL possono assegnare gli incarichi di emergenza sanitaria territoriale a tempo indeterminato ai medici convenzionati a tempo determinato da almeno tre anni presso la stessa ASL.

La norma sostanzialmente consente di assegnare incarichi di emergenza sanitaria territoriale a tempo indeterminato ai medici convenzionati a tempo determinato, con anzianità di servizio almeno triennale maturata presso le ASL assegnatarie medesime, per sopperire al fabbisogno di personale nel settore dell’emergenza sanitaria, aggravato dall’attuale situazione epidemiologica.

Così formulata, la disposizione si pone in contrasto con la legislazione statale e le fonti contrattuali vigenti in materia che richiedono specifici requisiti di accesso alle procedure di assegnazione degli incarichi convenzionali a tempo indeterminato.

Giova premettere che l’attività di medicina generale si esplica nelle quattro aree seguenti:
- assistenza primaria;
- continuità assistenziale;
- medicina dei servizi territoriali;
- emergenza sanitaria territoriale (che qui interessa).

La sopra descritta attività di medicina generale è disciplinata da un sistema di fonti integrato (legislativa e contrattuale-collettiva) come disposto dall’art. 8 (disciplina dei rapporti per l'erogazione delle prestazioni assistenziali) del D.lgs. N. 502/1992 (riordino della disciplina in materia sanitaria), espressione di principi fondamentali della legislazione statale in materia di “tutela della salute” che condizionano, pertanto, l’esercizio della potestà legislativa regionale in forza del riparto di competenze di cui all’art. 117, terzo comma Cost.

Con le previsioni di cui all'art. 21, la legge regionale si ingerisce nell'ambito della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. L), Cost. La disposizione regionale si pone, infatti, in contrasto con il sistema delle fonti sopracitato, ed in particolare con il combinato disposto:
- dell’art. 21 del D.lgs n. 368/1999, come recepito dall’art. 15 dell'accordo collettivo nazionale (ACN) del 23 marzo 2005.
- dell’art. 66 del DPR n. 270/2000 di esecuzione dell’ACN per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale (MMG) del 9 marzo 2000.
- dell'art. 92 dell’ACN del 23 marzo 2005 - come modificato ed integrato dall’art. 7 dell’ACN del 21 giugno 2018 e dall'art. 11 dell'ACN del 18 giugno 2020.

Sebbene la condizione dei medici convenzionati a tempo determinato che operano nel settore dell’emergenza e urgenza territoriale costituisca un tema di rilevante importanza, dal quadro normativo vigente non emerge la possibilità per le Regioni di stabilizzare, né ex lege né per effetto di sanatorie in via amministrativa, i medici destinatari di incarichi convenzionali a tempo determinato attraverso procedure agevolate di accesso agli incarichi a tempo indeterminato.

In più, quando - come nel caso in esame - in attuazione dell'art. 8 del D.lgs. N. 502/1992 un ACN determina puntualmente la disciplina di un determinato aspetto del rapporto di lavoro, non è consentito ad una legge regionale stabilire deroghe (cfr. sulla sfera di competenza dei contratti collettivi, Corte cost., sentenza n. 10/2019).

Sull’argomento si rammenta, infine, il recente intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 38/2020, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., dell’art. 135 della legge regionale Piemonte n. 19/2018 che consentiva al personale medico, in servizio presso le strutture del sistema di emergenza-urgenza territoriale 118 delle aziende sanitarie regionali e con un'anzianità lavorativa di almeno tre anni, ma privo dell'attestato di formazione in medicina generale, di accedere alle procedure di assegnazione degli incarichi convenzionali a tempo indeterminato nell’emergenza sanitaria territoriale.

La Corte ha messo in evidenza che “la norma impugnata dal Governo, sebbene si presti ad incidere su una pluralità di materie, va ascritta, per la sua stretta inerenza con l’organizzazione del Servizio sanitario regionale, con prevalenza a quella della tutela della salute, in cui spetta allo Stato la fissazione dei principi fondamentali, mentre alle Regioni compete dettare la disciplina attuativa di tali principi. In tale prospettiva, l'art. 21 del D.lgs. N. 368/1999 - in base al quale per l'esercizio dell'attività di medico chirurgo di medicina generale nell'ambito del Servizio sanitario nazionale (SSN) è necessario il possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale - viene in rilievo quale principio fondamentale della legislazione statale in materia, considerata l'importanza che la formazione del medico assume ai fini dello svolgimento delle relative funzioni”.

Si ravvisano, pertanto, le condizioni per sollevare questione di legittimità costituzionale ex art. 127 Cost. per l'art. 21 della legge regionale in esame, per violazione della competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo comma 2, lettera l, Cost.) e per violazione dell'esigenza connessa al precetto costituzionale di eguaglianza (art. 3, Cost.), di garantire l'uniformità, sul territorio nazionale, delle fondamentali regole giuridiche che disciplinano i rapporti in questione.

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