Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni in materia di finanze, risorse agroalimentari e forestali, biodiversità, funghi, gestione venatoria, pesca sportiva, attività produttive, turismo, autonomie locali, sicurezza, corre- gionali all’estero, funzione pubblica, lavoro, professioni, formazione, istruzione, ricerca, famiglia, patrimonio, demanio, sistemi informativi, infrastrutture, territorio, viabilità, ambiente, energia, cultura, sport, protezione civile, salute, politiche sociali e Terzo settore (Legge regionale multisettoriale 2021). (14-5-2021)
Friuli Venezia Giulia
Legge n.6 del 14-5-2021
n.20 del 19-5-2021
Politiche economiche e finanziarie
15-7-2021 / Impugnata
La legge regionale in parola, che detta disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale, eccede, con riferimento all’art. 73, dalle competenze attribuite alla Regione Friuli Venezia Giulia dallo Statuto speciale di autonomia (approvato con legge costituzionale n. 1/1963) e viola la Costituzione per i motivi che seguono.



Va premesso che sul punto la Corte Costituzionale si è già espressa: l'art. 88 della legge regionale FVG n. 9/2019 conteneva modifiche all'art. 77 della legge regionale FVG n. 18/2005 (Norme comuni per la concessione degli incentivi). Tra le modifiche previste vi era l'introduzione di un comma 3-quinquies all'art. 77, il quale disponeva che "al fine di favorire il riassorbimento delle eccedenze occupazionali determinatesi sul territorio regionale in conseguenza di situazioni di crisi aziendale, gli incentivi di cui al comma 3 bis possono essere concessi esclusivamente a fronte di assunzioni, inserimenti o stabilizzazioni occupazionali riguardanti soggetti che, alla data della presentazione della domanda di incentivo, risultino residenti continuativamente sul territorio regionale da almeno cinque anni".



La Corte Costituzionale, con sentenza n. 281/2020 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 3-quinquies dell'art. 77 della legge regionale FVG n. 18/2005, come introdotto dall'art. 88 della legge regionale FVG n. 9/2019.



In materia di accesso ai servizi sociali, la giurisprudenza costituzionale è intervenuta in più occasioni con riferimento al requisito della residenza, ammettendolo soltanto a determinate condizioni, quando sussista un ragionevole collegamento con la funzione del servizio (sentenze n. 44/2020, n. 141/2014 e n. 168/2014, n. 133/2013 e n. 222/2013). "Così, ad esempio – ad avviso dei giudici - se la residenza costituisce un requisito ragionevole al fine di identificare l'ente pubblico competente a erogare una certa prestazione, non è possibile che l'accesso alle prestazioni pubbliche sia escluso solo per il fatto di aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza (sentenze n. 44/2020 e n. 107/2018)".



Con particolare riferimento al requisito della residenza ultraquinquennale, oltre a precisare che lo stesso non costituisce di per sé un indice di elevata probabilità di permanenza in un determinato ambito territoriale, la Corte ha sottolineato come il radicamento territoriale non possa assumere un'importanza tale da escludere qualsiasi rilievo dello stato di bisogno ed essendo più appropriato utilizzarlo solo per formare graduatorie e altri criteri preferenziali (sentenza n. 44/2020).



"Tra l'altro - evidenzia la Corte - l'introduzione di requisiti basati sulla residenza, specie se prolungata, finisce per costituire una limitazione, seppure meramente fattuale, alla circolazione tra le regioni, violando così il divieto di cui all'art. 120, primo comma, Cost., in particolare nel suo collegamento con l'art. 3, secondo comma, Cost. (sentenza n. 107/2018)."



In conclusione, con riferimento alla norma censurata, la Corte ha affermato che "sebbene sia condivisibile che gli incentivi occupazionali possono ben essere rivolti solo alle assunzioni di particolari categorie di lavoratori, risulta irragionevole il collegamento tra il riconoscimento di un incentivo al datore di lavoro e il requisito della residenza del lavoratore, non solo ove protratta nel tempo. Sotto un primo profilo, infatti, non può sostenersi che il criterio della residenza sia necessario a identificare l'ente pubblico competente a erogare una certa prestazione, tenuto conto che, nel caso di specie, i beneficiari diretti dell'erogazione sono le imprese, che devono ovviamente avere una sede nel territorio regionale. Sotto un secondo profilo, la limitazione introdotta dalla disposizione impugnata risulta in contrasto con la ratio dalla stessa indicata, ossia il riassorbimento delle eccedenze occupazionali determinatesi sul territorio regionale in conseguenza di situazioni di crisi aziendale.



Verrebbero infatti esclusi, ad esempio, coloro che, sebbene non residenti, abbiano svolto un periodo di attività lavorativa più consistente rispetto ai soggetti semplicemente residenti, dando così un maggiore contributo a quel progresso della comunità regionale asserito anche dalla difesa della Regione quale motivo ispiratore dell'incentivo. Il che finirebbe per penalizzare la stessa mobilità inter-regionale dei lavoratori".



L’art. 73 della nuova legge regionale FVG n. 6/2021, per recepire nell'ordinamento regionale gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 281/2020 sopra citata, ha inserito dopo il comma 3-quater dell'art. 77 della legge regionale FVG n. 18/2005, un comma 3-quater 1, ai sensi del quale "Fermi restando i requisiti di accesso agli incentivi di cui al Titolo III Capo I, il regolamento regionale attuativo delle disposizioni medesime può prevedere che l'ammontare degli incentivi sia modulato avuto riguardo al periodo di possesso continuativo del domicilio fiscale sul territorio regionale da parte delle lavoratrici e dei lavoratori di cui viene sostenuta l'assunzione o la stabilizzazione”.



Il predetto articolo rinvia dunque ad un regolamento regionale la possibilità di modulare in aumento l’ammontare dell’incentivo occupazionale spettante ai datori in base al possesso continuativo del domicilio fiscale sul territorio regionale da parte dei lavoratori assunti o stabilizzati. Il domicilio fiscale preso in considerazione dalla legge regionale coincide sostanzialmente con la residenza anagrafica, in quanto ai sensi dell’art. 58 del DPR n. 600/1973 “le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte”.



E questo già di per sé integra un’elusione del dictum della Corte costituzionale contenuto nella sentenza n, 281/2020 sopra citata e una corrispondente violazione dell’art. 137, terzo comma, della Costituzione. La nuova disposizione, infatti, riserva l’assunzione o la stabilizzazione a coloro i quali hanno un periodo continuativo di possesso del domicilio fiscale nella regione, dando rilievo, come la disposizione dichiarata illegittima, alla durata della domiciliazione che si pone, dunque, in contrasto con le molteplici iniziative statali volte a facilitare l’ingresso nel mondo lavorativo di tutti i lavoratori. La norma quindi, discriminando irragionevolmente quanto alla misura dell’incentivo, viola indirettamente il diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost., riconosciuto a tutti indistintamente, di fatto privilegiando la categoria dei domiciliati di lungo periodo.



Per garantire livelli essenziali di prestazioni attraverso meccanismi coordinati di gestione amministrativa, l’art. 11, comma 1, lett. c) del D.L.gs. n. 150/2015 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive) prevede la disponibilità di servizi e di misure di politica attiva del lavoro, in condizioni di parità e non discriminazione, a tutti i residenti sul territorio italiano, a prescindere dalla Regione o Provincia autonoma di residenza. Pertanto, gli incentivi occupazionali riconosciuti ai datori per assumere particolari categorie di lavoratori sono, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera c), del D.lgs. n. 150/2015, servizi che vanno riconosciuti a tutti i residenti sul territorio italiano, a prescindere dalla residenza.



Invero, modulare gli incentivi all'occupazione, che spettano al datore, in misura crescente nel loro importo in base all'anzianità continuativa di "domicilio fiscale" del lavoratore sul territorio regionale, svantaggia il lavoratore che di fatto ha esercitato, nel corso della vita, il diritto alla libera circolazione all'interno del territorio nazionale o in un Paese membro UE, con conseguente interruzione del "domicilio fiscale" continuativo sul territorio regionale, rispetto al lavoratore rimasto stabilmente su quest’ultimo. Tra l'altro, come sopra riportato, la Corte ha ritenuto in generale irragionevole il collegamento tra un incentivo al datore e il requisito della residenza del lavoratore, non solo ove protratta nel tempo.



In questi termini, non varrebbe a salvare la norma dal vizio denunciato il rinvio della stessa a fonti secondarie regionali per la disciplina della misura dell’incentivazione. Al contrario, da un lato l’indefinitezza della norma primaria quanto al margine entro il quale contenere la discriminazione soggettiva fra lavoratori lascia aperto l’adito alla più radicale e “sproporzionata” delle sperequazioni; dall’altro, la fonte regolamentare regionale non è autorizzata a derogare alla legislazione statale sopra ricordata, espressione di competenza legislativa esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lett. m).



La nuova disposizione normativa presenta ugualmente profili di illegittimità costituzionale in quanto confligge anche con l’art. 117, primo comma Cost., rispetto ai vincoli imposti dall’ordinamento dell’UE. In particolare, l’art. 45 del TFUE assicura la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’UE ed afferma l’esigenza che a tal fine sia assicurata “l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro”. Inoltre, l’art. 7 del Regolamento (UE) n. 492/2011 include, tra gli ambiti ricompresi nel principio di parità di trattamento e non-discriminazione, la ricollocazione professionale e il ricollocamento, inclusa la materia degli incentivi occupazionali a favore dei datori che intendano assumere lavoratori disoccupati.



La norma in contestazione viola infine anche la normativa statale a tutela dei lavoratori migranti di paesi terzi non membri dell’UE. L’art. 2, comma 3, del D.lgs. n. 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) prevede che “la Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell’OIL n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con legge n. 151/1981 garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani”.



In relazione alle considerazioni che precedono, si ritiene conclusivamente di dover impugnare, ai sensi dell’art. 127 Cost., la disposizione regionale in esame in quanto essa eccede dalle competenze attribuite alla Regione Friuli Venezia Giulia dallo Statuto speciale di autonomia (approvato con legge costituzionale n. 1/1963) e viola i seguenti art. della Costituzione: l'art. 3 (con riferimento al principio di eguaglianza), l’art. 4 (che dispone che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che lo rendono effettivo), l’art. 117, primo comma (rispetto dei vincoli imposti dall’ordinamento dell’UE) e secondo comma lettera m) (livelli essenziali delle prestazioni in cui rientrano le misure di politica attiva del lavoro), l’art. 120, primo comma, che vieta alle Regioni di “adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale”, in particolare nel suo collegamento con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 già citato e infine l’art. 137, terzo comma, per elusione del giudicato costituzionale consolidatosi con la citata sentenza n. 281/2020.

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