Dettaglio Legge Regionale

Legge di stabilità provinciale 2020. (23-12-2019)
Trento
Legge n.13 del 23-12-2019
n.51 del 24-12-2019
Politiche economiche e finanziarie
21-2-2020 / Impugnata
Legge Trento n. 13 pubblicata sul B.U.R n. 51 del 24/12/2019 recante: “Legge di stabilità provinciale 2020” presenta profili di non conformità alla Carta costituzionale e va pertanto impugnata per i motivi che di seguito si illustrano.

L’articolo 10 modifica i limiti per la spesa relativa al personale appartenente al comparto autonomie locali e al comparto ricerca (comma 1) nonché al comparto scuola (comma 2), fissati dall'articolo 6 della legge provinciale n. 5 del 2019 per gli esercizi finanziari 2020 e 2021 e introduce i limiti di spesa per l'esercizio 2022.
Al riguardo, gli stanziamenti definiti con l'articolo 10 della legge in oggetto, riferiti al triennio 2020 - 2022, aggiornano sostanzialmente i valori spesa complessiva dì personale previsti dall'articolo 6 della legge provinciale n. 5 del 2019 per il triennio 2019-2021, includendo gli oneri già autorizzati per la contrattazione del triennio 2016 - 2018, senza fornire elementi per l'individuazione dei criteri utilizzati a tal fine. Tale spesa può essere influenzata, anche se solo in parte, da eventuali incrementi per rinnovi contrattuali del triennio in parola che comunque non sono evidenziati distintamente, circostanza quest'ultima che preclude la possibilità di conoscere i criteri di determinazione degli incrementi contrattuali eventualmente ricompresi nella spesa.
I commi, nella loro generica formulazione, non consentono di valutare i criteri adottati per la definizione dell'importo ivi previsto ad integrazione di altri importi già definiti a titolo di incremento contrattuale da una precedente legge provinciale.
In termini generali, laddove le leggi regionali dispongono, come nel caso di specie, incrementi contrattuali senza l'indicazione di alcun criterio di calcolo, risulta impossibile una valutazione in termini di coerenza con gli incrementi previsti in ambito nazionale per il restante personale pubblico.
La disposizione viola l'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in materia di ordinamento civile.

L’articolo 11, comma 1 determina in 20 milioni di euro per l'anno 2020 e 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022 gli oneri per l'avvio della contrattazione collettiva provinciale per il triennio 2019-2021 relativa al personale degli enti a cui si applica la contrattazione collettiva provinciale in base all'articolo 54 della legge sul personale della Provincia 1997, n. 7, nonché al personale delle scuole dell’infanzia equiparate e dei centri di formazione professionale. Il comma 4, inoltre, autorizza uno stanziamento di 500.000 euro sui bilanci degli esercizi finanziari 2020, 2021 e 2022 per coprire il 50 per cento della quota di adesione a fondi sanitari integrativi per i familiari di età inferiore a diciotto anni del personale di cui al periodo precedente.
Al riguardo, le medesime considerazioni effettuate sull'articolo 10 della legge in oggetto valgono anche con riferimento agli incrementi relativi alla contrattazione collettiva provinciale per il triennio 2019-2021, autorizzati con Il citato articolo 11 della legge in esame, tenuto conto che in assenza di elementi per la determinazione degli importi previsti, risulta impossibile una valutazione in termini di coerenza con gli incrementi definiti in ambito nazionale per il restante personale pubblico.
In tale quadro, la legge n. 160/2019 (Legge di bilancio per il 2020) ha integrato per il settore Stato le risorse da destinare alla contrattazione collettiva e ai miglioramenti economici del personale in regime di diritto pubblico, con conseguente riconoscimento di incrementi cumulati delle retribuzioni medie pari all'1,3% per il 2019, al 2,01% per il 2020 e al 3,72% a decorrere dai 2021.
La disposizione non consente una compiuta valutazione, violando l'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.


L'articolo 12, comma 1 modifica l'art. 21 comma 7 della legge provinciale 7 del 1997 prevedendo, da un lato, la riduzione della percentuale degli incarichi dirigenziali conferibili con contratto a tempo determinato al personale non di ruolo ed introducendo, dall'altro, una riserva di almeno cinque posti in favore del personale in possesso della qualifica di direttore.
L'articolo in questione era stato di recente novellato dall'art. 7, comma 5, lett. b) della L.P. n. 5/2019.
Già rispetto alla precedente formulazione dell'art. 21 comma 7 L.P. 7/97 (peraltro non incisa significativamente dalla sopravvenienza normativa rispetto ai profili di incostituzionalità già denunciati), pende ricorso dinanzi alla Corte Costituzionale (Reg. ric. n. 104 del 2019 n° parte 1 pubbl. su G.U. del 06/11/2019 n. 45).
La difesa statale, in sede di ricorso, ha sottolineato il contrasto della disposizione provinciale con l'articolo 19 comma 6 decreto legislativo n. 165/2001, ai sensi del quale gli incarichi a soggetti esterni all'amministrazione possono essere conferiti "entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all'art. 23 e dell'8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia".
Detta censura, che in sede di ricorso è stata formulata per violazione della materia dell'"ordinamento civile" (avendo la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 324 del 2010, chiarito che "Si tratta di una normativa riconducibile alla materia dell'ordinamento civile di cui all'art. 117, secondo comma, lett. I), Costituzione, poiché il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato. Conseguentemente, la disciplina della fase costitutiva ditale contratto, così come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla materia dell'ordinamento civile"), è ora replicabile anche rispetto al nuovo testo in esame.
Anche l'odierna modifica legislativa, nel fissare nel 18% il contingente massimo di incarichi conferibili a dirigenti non di ruolo, viola l'art. 19 comma 6 D.Lgs. 165/2001, che lo fissa nel 10 per cento della dotazione organica per i dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all'art. 23 e nell'8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia.
La disposizione esaminata, a parere dello scrivente, oltre a costituire una violazione delle competenze statali in materia di ordinamento civile, confligge anche con gli ulteriori parametri costituzionali del buon andamento della pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 97 Cost.
Si segnalano sul punto alcune pronunce in cui la Corte Costituzionale ha affermato l'irragionevolezza e la non conformità al principio di buon andamento della pubblica amministrazione di disposizioni regionali che aumentano "indebitamente il limite percentuale per il conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti non appartenenti ai ruoli dirigenziali dell'amministrazione in difformità con quanto previsto dai principi fondamentali che disciplinano l'organizzazione degli uffici e il rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni stabiliti dal decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165". Il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, infatti, "richiede che le funzioni di direzione delle strutture fondamentali dell'apparato burocratico (appunto, quelle di livello dirigenziale) siano attribuite a soggetti muniti di adeguate competenze; il che è assicurato essenzialmente dal fatto che i soggetti cui quegli incarichi sono affidati rivestano la corrispondente qualifica alla quale abbiano avuto accesso a seguito di apposita selezione comparativa" (Corte Cost., sent. n. 105/2013).

L'articolo 15, comma 1, lettera b), introduce un titolo di preferenza per i residenti in provincia di Trento per l'accesso ai corsi universitari, nel limite di una riserva di posti non inferiore al 10 per cento.
La disposizione comporta ingiustificatamente una discriminazione ed una lesione del principio di eguaglianza laddove introduce un titolo di preferenza per l'accesso all'università in ragione di un criterio che non appare strettamente legato al merito scolastico o, più in generale, alla mission dell'istituzione universitaria stessa, ma al requisito della mera residenza anagrafica.
Infatti l'articolo 3 comma 2 della Carta costituzionale affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Le disposizioni di cui sopra eccedono, peraltro, dalle competenze provinciali previste dallo Statuto speciale di autonomia della regione Trentino Alto Adige.

Per quanto detto, la legge regionale in esame, limitatamente alle norme indicate, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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