Dettaglio Legge Regionale

Disciplina della portualità di competenza regionale. (31-5-2012)
Friuli Venezia Giulia
Legge n.12 del 31-5-2012
n.23 del 6-6-2012
Politiche infrastrutturali
/ Rinuncia impugnativa
RINUNCIA IMPUGNATIVA

Il Governo , con delibera del Consiglio dei Ministri del 27 luglio 2012, ha impugnato la legge regionale in oggetto, che dispone la disciplina della portualità di competenza regionale, rilevando che essa presentasse aspetti di illegittimità costituzionale con riferimento a quanto previsto all’art. 13, comma 1, in materia di partenariato pubblico/privato e finanza di progetto, apparse in contrasto con le norme statali di riferimento.
La citata disposizione regionale, infatti, prevedeva «l’Amministrazione regionale può stipulare convenzioni che, utilizzando lo strumento della concessione demaniale marittima di cui agli articoli 36 e seguenti del codice della navigazione, attuino modelli di partenariato pubblico/privato o di finanza di progetto al fine di consentire la realizzazione di opere e/o infrastrutture non altrimenti conseguibile. Tali convenzioni, ai sensi dell’art. 17 della legge regionale 20 marzo 2000, n. 7 (Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso), e dell’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, individuando le modalità di esercizio della concessione, anche in deroga alla disciplina in materia d’uso dei beni pubblici». Nella sostanza,si attribuiva dunque alle convenzioni stipulate tra l’Amministrazione e i privati al fine di regolare le modalità di esercizio della concessione, il potere di derogare alla disciplina statale in materia d’uso dei beni pubblici.
Tale deroga generalizzata alla disciplina in materia d’uso dei beni pubblici è apparsa porsi contrasto con i dettami costituzionali di cui all’art. 117, co. 2, lett. s), e con i principi generali in materia di governo del territorio.
Successivamente, la Regione Friuli Venezia Giulia, con l'articolo 67 della legge regionale n. 16 del 9/8/2012, impugnata per altre criticità nel Consiglio dei Ministri del 9 ottobre scorso, è intervenuta sulla norma impugnata della l.r. n. 12/2012, , eliminando la possibilità di derogare alla disciplina in materia d’uso dei beni pubblici.
Si ritiene quindi, su conforme parere del competente Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato , che siano venuti meno i motivi oggetto del ricorso avanti la Corte Costituzionale e che, pertanto, ricorrano i presupposti per rinunciare all'impugnativa.
27-7-2012 / Impugnata
La legge regionale n. 12/2012, recante «Disciplina della portualità di competenza regionale» presenta aspetti di illegittimità costituzionale con riferimento a quanto previsto all’art. 13, comma 1, in materia di partenariato pubblico/privato e finanza di progetto.

La citata norma regionale, infatti, prevede che «l’Amministrazione regionale può stipulare convenzioni che, utilizzando lo strumento della concessione demaniale marittima di cui agli articoli 36 e seguenti del codice della navigazione, attuino modelli di partenariato pubblico/privato o di finanza di progetto al fine di consentire la realizzazione di opere e/o infrastrutture non altrimenti conseguibile. Tali convenzioni, ai sensi dell’art. 17 della legge regionale 20 marzo 2000, n. 7 (Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso), e dell’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, individuano le modalità di esercizio della concessione, anche in deroga alla disciplina in materia d’uso dei beni pubblici».

La disposizione in parola, nella sostanza, attribuisce alle convenzioni stipulate tra l’Amministrazione e i privati al fine di regolare le modalità di esercizio della concessione, il potere di derogare alla disciplina in materia d’uso dei beni pubblici.

L’articolo 4 dello Statuto della Regione Friuli Venezia Giulia, approvato con Legge Costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, attribuisce alla Regione una potestà legislativa molto ampia, anche in materie che, talvolta trasversalmente, attengono o possono attenere alla disciplina dell’uso dei beni pubblici. Questa, difatti, non costituisce una “materia” in senso proprio, non essendo inclusa né nell’art. 117 della Costituzione, né nello Statuto regionale.
In particolare, possono essere ricondotte alla “disciplina dell’uso dei beni pubblici” disposizioni riconducibili alle materie di competenza esclusiva regionale di “agricoltura e foreste, bonifiche, ordinamento delle minime unità culturali e ricomposizione fondiaria, irrigazione, opere di miglioramento agrario e fondiario (…)” (art. 4, n. 2, l. Cost. 1/1963); “usi civici” (art. 4, n. 4, l. Cost. 1/1963); “viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse locale e regionale” (art. 4, n. 7, l. Cost. 1/1963); “urbanistica” (art. 4, n. 12 l. Cost. 1/1963), “acque minerali e termali” (art. 4, n. 13, l. Cost. 1/1963).
Analogamente, possono attenere alla disciplina dell’uso dei beni pubblici disposizioni riconducibili ad alcune delle materie che l’art. 5 dello Statuto friulano attribuisce alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni (quali, ad esempio, miniere, cave e torbiere (n. 10); utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni; opere idrauliche di 4ª e 5ª categoria (n. 14); edilizia popolare (n. 18); toponomastica (n. 19)).
Ciò nonostante, è evidente che la potestà legislativa regionale in queste materie deve svolgersi “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonché nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni” (così lo stesso comma 1 dell’art. 4, l. Cost. 1/1963).

Il fatto che lo Statuto del Friuli Venezia Giulia attribuisca alla Regione la potestà legislativa esclusiva o concorrente in relazione a materie che possono riguardare l’uso dei beni pubblici non implica pertanto che la Regione, legiferando negli ambiti di sua competenza, possa consentire ai privati e all’amministrazione di derogare a disposizioni di legge tramite convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 17 della legge regionale 20 marzo 2000, n. 7 (Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso), e dell’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il principio di legalità, infatti, implica il primato della legge, tanto rispetto ad atti e provvedimenti amministrativi, quanto rispetto ad accordi o a convenzioni sostitutivi o integrativi del contenuto del provvedimento.

La possibilità di derogare alla legge tramite atti amministrativi è ammessa nell’ordinamento giuridico sono in casi tassativi - come nel caso delle ordinanze contingibili e urgenti - e purché (come la Corte Costituzionale ha più volte chiarito) ne siano definiti presupposti, condizioni e limiti. La disposizione censurata, non definendo l’ambito applicativo della deroga, che peraltro non appare rispondere ad un interesse specifico meritevole di tutela (sul quale si basa, invece, la disciplina delle ordinanze contingibili e urgenti) si pone in grave contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica. Proprio il carattere generalissimo della deroga fa sì che la disposizione in parola si ponga in aperto contrasto con la Costituzione, e in particolare con i principi costituzionali di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità (artt. 70, 76, 77, 97, 117). Le convenzioni adottate a norma dell’art. 13 della l.r. 12/2012, di fatti, verrebbero ad essere sostanzialmente equiparate alla legge, essendo libere di derogare ad un insieme non ben definito di disposizioni normative, statali o regionali. Ciò appare in evidente contrasto con il principio di legalità.

Inoltre, sempre in considerazione della sua estensione, la facoltà di derogare a disposizioni di legge tramite lo strumento convenzionale è potenzialmente lesiva dei principi fondamentali dettati dallo Stato in materie di sua competenza esclusiva o concorrente.

In particolare la disposizione in parole è invasiva della potestà legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile prevista all’art. 117, co. 2, lett. l), della Costituzione. Al riguardo si fa rilevare che
l’art. 11 della l. n. 241/1990, cui l’art. 13, comma 1, l.r. 12/2012 espressamente rinvia, richiama le disposizioni in materia di contratti contenute nel codice civile. A norma del codice civile le parti di un contratto non possono violare o disapplicare norme imperative (l’art. 1322, co. 1, prevede che «Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto NEI LIMITI IMPOSTI DALLA LEGGE», l’art. 1344 dispone che «La causa è illecita quando è CONTRARIA A NORME IMPERATIVE, all’ordine pubblico o al buon costume», l’art. 1346 prevede che «L’oggetto del contratto deve essere possibile, LECITO, determinato o determinabile»), ma solo disporre dei diritti disponibili di cui siano titolari.

L’art. 13, co. 1 della l.r. 12/2012, inoltre, lede il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione dal momento che consente all’Amministrazione regionale di derogare a disposizioni di legge nell’ambito di accordi stipulati ai sensi dell’art. 11 della l.r. n. 241/1990, facendo venir meno l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Coloro che stipulano convenzioni o accordi con l’Amministrazione, infatti, sarebbero facoltizzati a derogare alla disciplina in materia di uso dei beni pubblici, che resterebbe invece inderogabile qualora l’Amministrazione provveda unilateralmente.

Infine, in considerazione del fatto che nella “disciplina in materia d’uso dei beni pubblici” possono rientrare anche le disposizioni funzionali a garantire la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e del paesaggio, la norma regionale censurata appare invasiva della potestà legislativa esclusiva statale prevista all’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione, e non rispettosa di quanto previsto all’art. 6, co. 1, n. 3 dello Statuto di autonomia.
L’art. 6 dello Statuto, infatti, attribuisce alla Regione la facoltà di adeguare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione e di attuazione anche relativamente ad «antichità e belle arti tutela del paesaggio, della flora e della fauna». La disposizione censurata, consentendo potenziali deroghe alla normativa statale in materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e dei beni culturali, eccede quindi l’ambito di autonomia attribuito dalla disposizione statutaria richiamata, che è limitato alla “integrazione” e alla “attuazione” delle norme statali, e non consente dunque alla Regione di derogare alle stesse.
Con riferimento al medesimo parametro, la disposizione è illegittima anche nella parte in cui non esclude dall’ambito di applicazione della deroga le disposizioni inerenti ai beni di proprietà statale. L’art. 112 del d.lgs. n. 42/2004, infatti, prevede che «la legislazione regionale disciplina le funzioni e le attività di valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa vigente». Ne consegue che alla Regione non è consentito prevedere deroghe alle norme relative alla valorizzazione dei beni di proprietà statale. Questo costituisce un principio fondamentale della materia della valorizzazione dei beni culturali, vincolante per il legislatore regionale.

Per quanto sopra esposto la disposizione regionale indicata deve essere impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 Cost.

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