Dettaglio Legge Regionale

Modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo) ed altre disposizioni regionali in materia di urbanistica ed edilizia. (25-3-2013)
Piemonte
Legge n.3 del 25-3-2013
n.13 del 28-3-2013
Politiche infrastrutturali
/ Rinuncia parziale
RINUNCIA PARZIALE

Con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 24 maggio 2013 il Governo ha impugnato numerose disposizioni della legge della Regione Piemonte n. 3 del 25/03/2013, pubblicata sul BUR n. 13 del 28/03/2013, recante “Modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo), e ad altre disposizioni regionali in materia di urbanistica ed edilizia”.

Successivamente, con legge regionale n. 17 del 12 agosto 2013, pubblicata su BUR n. 33 del 14 agosto 2013, recante “Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2013”, sono state modificate alcune delle disposizioni oggetto di impugnativa, ed in particolare:

- gli articoli 4, 16, 21, 31, 35 che, ponendosi in contrasto con l’art. 145, comma 5, d.lgs. n. 42/2004, erano stati ritenuti invasivi della potestà legislativa statale in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione);

- l’articolo 18, che, ponendosi in contrasto con l’art. 150, comma 2, d.lgs. n. 42/2004, era stato parimenti ritenuto invasivo della potestà legislativa statale in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione);

- l’articolo 27 e l’articolo 61, che introducendo disposizioni difformi da quelle previste nel d.p.r. n. 380/2001, si ponevano in contrasto con i principi fondamentali in materia di “governo dei territorio” adottati dallo Stato ai sensi dell’art. 117, comma 3, della Costituzione;

Le modifiche apportate ai suddetti articoli, concordate con le amministrazioni competenti nel corso di appositi tavoli tecnici e contatti informali, appaiono idonee ad eliminare i motivi di illegittimità costituzionale rilevati dal Governo. Pertanto, ritenendo venuti meno i motivi del ricorso proposto innanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell'art. 127 della Costituzione con riferimento alle disposizioni appena richiamate, si propone la rinuncia parziale all'impugnazione della legge della Regione Piemonte n. 3 del 2013 limitatamente agli articoli 4, 16, 18, 21, 27, 31, 35, 61.

Permangono ancora validi gli ulteriori motivi di impugnativa di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 24 maggio 2013, segnatamente in riferimento agli articoli 33 e 34. Le modifiche apportate a tali disposizioni dalla l.r. n. 17/2013, infatti, non sono state ritenute dalle amministrazioni competenti idonee a rimuovere i profili di illegittimità costituzionale già rilevati dal Governo nella delibera del 24 maggio 2013.
24-5-2013 / Impugnata
La legge regionale, che reca modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo) ed altre disposizioni regionali in materia di urbanistica ed edilizia, presenta aspetti di illegittimità costituzionale relativamente alle disposizioni di cui agli articoli 4, 16, 18, 21, 27, 31, 33, 34, 35 e 61 per i motivi di seguito specificati.

1) L’articolo 4, che sostituisce l’art. 3, comma 1, lettera c) della l.r. n. 56/1977, introducendo in ambito sub-regionale o sub-provinciale degli strumenti di pianificazione paesaggistica atipici rispetto a quelli previsti dal d.lgs. n. 42/2004, quali i progetti territoriali operativi, che considerano particolari ambiti aventi specifico interesse economico, ambientale o naturalistico e i piani e gli strumenti di approfondimento della pianificazione territoriale e paesaggistica, che considerano particolari ambiti territoriali aventi preminenti caratteristiche di rilevante valore ambientale e paesaggistico, e l’articolo 16, che sostituisce l’articolo 8-quinquies, commi 5 e 7, della l.r. n. 56/1977, disciplinando il procedimento di formazione dei suddetti strumenti di pianificazione, contrastano con l’art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004.
Secondo quest’ultima disposizione, infatti, “La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo”.
Le norme regionali censurate, non prevedendo un coinvolgimento del Ministero per i beni e le attività culturali nel processo di adeguamento dei citati strumenti di pianificazione sub-regionale o sub-provinciale al piano paesaggistico regionale, contrastano con il disposto dell’art. 145, comma 5, che costituisce un principio fondamentale espressione della potestà legislativa statale nella materia “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali” e, conseguentemente, violano l’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.

2) L’Articolo 18, che sostituisce l’articolo 9, comma 4, della l. n. 56/1977, prevedendo che “I provvedimenti cautelari di inibizione e sospensione hanno efficacia sino alla conclusione dell'istruttoria per l'inclusione del bene, ove occorra, negli elenchi previsti dal D.Lgs. 42/2004 o per l'eventuale introduzione di prescrizioni nei piani territoriali, nel PPR o nel piano territoriale regionale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, nei piani regionali dei parchi e delle riserve naturali, nei PRG, recanti i provvedimenti definitivi per la tutela del bene; tali provvedimenti perdono in ogni caso efficacia decorso il termine di novanta giorni dalla loro adozione”, contrasta con l’articolo 150, comma 2, del d.lgs. n. 42/2004, secondo cui “L'inibizione o sospensione dei lavori disposta ai sensi del comma 1 cessa di avere efficacia se entro il termine di novanta giorni non sia stata effettuata la pubblicazione all'albo pretorio della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui all'articolo 138 o all'articolo 141, ovvero non sia stata ricevuta dagli interessati la comunicazione prevista dall'articolo 139, comma 3”.
La disposizione regionale censurata, fissando il termine di decadenza dei provvedimenti cautelari in maniera difforme rispetto a quanto previsto dall’art. 150 del d.lgs. n. 42/2004, contrasta con un principio fondamentale espressione della potestà legislativa statale nella materia “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali” e, conseguentemente, viola l’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.

3) L’Articolo 21, che sostituisce l’articolo 10 della l.r. n. 56/1977, prevedendo, al comma 4 di tale ultima disposizione, che non costituiscono variante le modifiche agli strumenti urbanistici che “correggono errori materiali, che eliminano contrasti fra enunciazioni dello stesso strumento quando sia evidente e univoco il rimedio o che consistono in correzioni o adeguamenti di elaborati del piano tesi ad assicurare chiarezza e univocità senza incidere sulle scelte della pianificazione o in meri aggiornamenti cartografici in materia di difesa del suolo derivanti dall'adeguamento degli strumenti urbanistici” né “le modifiche al PPR o al piano territoriale regionale con specifica considerazione dei valori paesaggistici riguardanti specificazioni, aggiornamenti o adeguamenti degli elementi conoscitivi o specificazioni della delimitazione delle aree soggette a tutela paesaggistica, anche in conseguenza di adeguamenti effettuati ad opera degli strumenti di pianificazione”, si pone in contrasto con l’articolo 145, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, espressione della potestà legislativa esclusiva dello stato nella materia “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali” e, conseguentemente, viola l’articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
Il comma 4 dell’articolo 10, infatti, nello stabilire che le modifiche suddette, che unilateralmente si assume non costituiscono varianti, “sono approvate con deliberazione dell'organo di governo dell'ente interessato, soggetta a pubblicazione per estratto sul bollettino ufficiale della Regione ed in formato integrale sul sito informatico dell'ente proponente”, non prevedono l’obbligo di copianificazione con il Ministero per i beni e le attività culturali relativamente agli adeguamenti dei piani sott’ordinati, in violazione del disposto dell’articolo 145, comma 5, d.lgs. n. 42/2004, che prevede il necessario coinvolgimento della suddetta amministrazione statale.

4) L’Articolo 27 modifica la lettera d) del comma 3 dell'articolo 13 della L.R. n. 56/1977, prevedendo che "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, fatte salve le innovazioni necessarie per l'adeguamento alle normative antisismica, di contenimento dei consumi energetici e di produzione di energia mediante il ricorso a fonti rinnovabili", contrasta con la definizione degli interventi edilizi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 (t.u. edilizia). Tale disposizione, infatti, prevede che “Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 309 del 2011, ha affermato che “sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali. L’intero corpus normativo statale in ambito edilizio è costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall’altro. La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato”.
Proprio con riferimento a quanto previsto all’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001, la Corte Costituzionale, dopo aver osservato che un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti la sagoma dell’edificio preesistente, configura un intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia e che le uniche eccezioni ammesse sono «le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica», ha sottolineato che anche la successiva legislazione statale in materia edilizia (e in particolare l’art. 5, commi 9 e ss., del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70), nel regolare interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti di volumetria e adeguamenti di sagoma, non ha qualificato tali interventi come ristrutturazione edilizia, né ha modificato la disciplina dettata al riguardo dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001. Alla luce della recente giurisprudenza costituzionale, dunque, la disposizione deve essere ritenuta non conforme al principio fondamentale in materia di governo del territorio di cui all’art. 3, d.P.R. n. 380/2001 e, quindi, in contrasto con l’art. 117, comma 3, della Costituzione.

5) L’articolo 31, nella parte in cui sostituisce l’art. 15-bis, comma 2, della l.r. n. 56/1977 prevedendo che il Ministero per i beni e le attività culturali partecipi alla fase di adeguamento dello strumento urbanistico al PPR solo in presenza di beni paesaggistici di cui all’art. 134 del d.lgs. n. 42 del 2004, contrasta con l’art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004.
La disciplina statale appena richiamata, infatti, non limita, nel procedimento di conformazione e adeguamento, la partecipazione degli organi ministeriali alla presenza nel territorio di beni soggetti a vincolo paesaggistico. Ciò, evidentemente, in considerazione del fatto che il piano paesaggistico – secondo gli accordi presi con il Ministero e trasfusi nel PPR - tutela i valori paesaggistici del territorio considerato nella sua complessità e, quindi, la collaborazione fra Stato e Regioni nell’attività pianificatoria, in sede di verifica del rispetto della conformità alle prescrizioni del PPT, deve riguardare il territorio nella sua interezza. Pertanto, la disposizione regionale censurata, contrastando con un principio fondamentale espressione della potestà legislativa statale nella materia “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali”, viola l’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.

6) L’Articolo 33, nella parte in cui modifica il comma 6 dell’art. 16-bis della l.r. n. 56/1977, viola l’art. 117, comma 1 e comma 2, lettera s) della Costituzione.
La disposizione censurata esclude dal processo di VAS le varianti “che determinano l'uso a livello locale di aree di limitate dimensioni, ferma restando l'applicazione della disciplina in materia di VIA”, nonché le varianti che presentano congiuntamente tali condizioni: a) non riducono la tutela relativa ai beni prevista dallo strumento urbanistico o le misure di protezione ambientale derivanti da disposizioni normative; b) non incidono sulla tutela esercitata ai sensi dell'articolo 24 in materia di beni culturali ambientali; c) non comportano variazioni al sistema delle tutele ambientali previste dallo strumento urbanistico vigente.
Sottraendo al procedimento di VAS e di verifica di assoggettabilità a VAS le suddette varianti, la disposizione regionale opera una arbitraria interpretazione del campo di applicazione della disciplina statale contenuta all’art. 6 (comma 2, lettere a) e b), comma 3, comma 3-bis e comma 4) e all’art. 12 del d.lgs. n. 156/2006, disciplina dettata in attuazione dei principi comunitari contenuti nella direttiva 2001/42/CE.
Le richiamate disposizioni statali, che costituiscono un principio fondamentale espressione della potestà legislativa esclusiva statale nella materia “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali”, stabiliscono il campo di applicazione della disciplina della VAS e della verifica di assoggettabilità a VAS, disponendo l’esclusione della stessa solo per particolari tipi di Piani e Programmi tassativamente elencati al comma 4 dell’art. 6 e prevedendo al comma 12 del medesimo articolo l’esclusione solo per le varianti riguardanti singoli progetti.
La norma censurata, riducendo la tipologia dei piani e dei programmi soggetti a verifica di assoggettabilità a VAS, diminuisce il livello di tutela dell’ambiente previsto dal legislatore statale e,pertanto, si pone in contrasto sia con l’art. 3 della direttiva 2001/42/CE, violando l’art. 117, comma 1, della Costituzione, per inosservanza del diritto europeo, sia con quanto previsto dall’art. 6 (comma 2, lett. a) e b); comma 3; comma 3-bis e comma 4) e dall’art. 12 del d.lgs. n. 152/2006, violando l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, per invasione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, cui – secondo costante giurisprudenza costituzionale – sono da ricondurre le disposizioni in materia di VAS contenute nel Codice dell’ambiente (cfr. sentt. n. 398 del 2006, n. 225 del 2009, n. 221 del 2010, n. 33, n. 129, n. 192 e n. 227 del 2011, n. 58 del 2013).

7) L’Articolo 34, che sostituisce l’articolo 17 della l.r. 56/1977, nel definire le procedure relative all’adozione di varianti del PRG (commi 2 e commi da 7 a 14), stabilisce che le varianti debbano essere “conformi agli strumenti di pianificazione territoriale e paesaggistica regionali e provinciali”, ma omette di prevedere la partecipazione del Ministero per i beni e le attività culturali al procedimento di variante. Pertanto, la norma si pone in contrasto con l’articolo 145, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, espressione della potestà legislativa esclusiva statale nella materia “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali”, e conseguentemente viola l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. L’art. 145, comma 5, di fatti, impone che lo Stato partecipi alla verifica di conformità al PPT della variante al P.R.G. In mancanza di tale verifica, sussiste la possibilità che successive varianti al piano regolatore generale, non vagliate dalla Soprintendenza, possano disallineare lo strumento urbanistico rispetto alle prescrizioni del piano paesaggistico. Pertanto, la disposizione regionale appare invasiva della potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. La suddetta disposizione regionale viola, pertanto, un principio statale fondamentale in materia di tutela dell’ambiente e dei beni culturali e, pertanto, contrasta con l’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione;

8) L’Articolo 35, che inserisce l’articolo 17-bis nella l.r. 56/1977, presenta profili di incostituzionalità con riferimento al comma 2, lettera c), al comma 6 e al comma 7.
La norma regionale censurata, nel disciplinare le procedure di adozione delle varianti semplificate al P.R.G., non prevede né la partecipazione del Ministero per i beni e le attività culturali, né la conformità delle varianti al P.P.R. (comma 2, lett. c), art. 17-bis). Il comma 6, nel disciplinare le varianti semplificate che si inseriscono nel procedimento finalizzato alla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, richiama la procedura prevista al comma 2, lettere a), b), c), d) ed e), escludendo anche in questo caso la partecipazione del Ministero per i beni e le attività culturali al procedimento di variante. Inoltre, il comma 7 attribuisce efficacia vincolante, all’interno delle conferenze di servizi, al solo parere espresso dalla Regione relativo alla conformità delle varianti urbanistiche “semplificate” agli strumenti di pianificazione di livello regionale “o riferiti ad atti dotati di formale efficacia a tutela di rilevanti interessi pubblici in materia di paesaggio, ambiente, beni culturali…”.
Le richiamate disposizioni regionali contrastano con l’art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004 che impone alla Regione di prevedere forme di partecipazione dello Stato al processo di verifica dell’adeguamento degli strumenti urbanistici alla pianificazione paesaggistica e, pertanto, viola la potestà legislativa esclusiva statale nella materia “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali” prevista dall’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.

9) L’Articolo 61, che sostituisce l’articolo 48 della L.R. n. 56/1977, prevede, al primo comma del nuovo art. 48, che “1. Il proprietario, il titolare di diritto reale e colui che, per qualsiasi altro valido titolo, abbiano l'uso o il godimento di entità immobiliari, devono munirsi, documentando le loro rispettive qualità, del titolo abilitativo edilizio previsto dalla normativa statale per eseguire trasformazioni urbanistiche o edilizie del territorio comunale; il titolo abilitativo edilizio è richiesto, altresì, per il mutamento della destinazione d'uso degli immobili. Tale titolo non è necessario per i mutamenti della destinazione d'uso degli immobili relativi ad unità non superiori a 700 metri cubi che siano compatibili con le norme di attuazione del PRG e degli strumenti esecutivi”.
La normativa statale contenuta nel d.P.R. n. 380/2001 non contempla i mutamenti di destinazione d’uso di immobili tra le fattispecie inerenti l’attività edilizia libera di cui all’articolo 6 del d.P.R. n. 380/2001 (t.u. edilizia), fatta eccezione per le modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa, comunque assoggettati, ai sensi del comma 2, lett. e-bis), a previa comunicazione dell’inizio dei lavori, fermo restando il rispetto dei presupposti di cui al comma 1 del medesimo articolo 6. A norma dell’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001, inoltre, costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati al permesso di costruire, gli interventi di ristrutturazione edilizia che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso (comma 1, lett. c); e all’articolo 22, comma 3, lett. a), la DIA “alternativa”. Lo stesso articolo 10 demanda alle regioni stabilire con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività (comma 2).
È pertanto evidente che in base alla normativa statale di principio sussiste la necessità del rilascio del titolo abilitativo per i mutamenti di destinazione d’uso, ad eccezione delle ipotesi (atipiche) contemplate all’articolo 6 del t.u. edilizia. Né può invocarsi l’applicazione del comma 6 del summenzionato articolo 6 del TUE, che, alla lettera a), conferisce alle regioni a statuto ordinario la facoltà di estendere la disciplina di cui al medesimo articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2, dal momento che tale disposizione non può intendersi suscettibile di interpretazioni che consentano ai legislatori regionali di emanare disposizioni contrarie ai principi fondamentali recati dal d.P.R. n. 380/2001 (cfr., in proposito, la sentenza della Corte Costituzionale n. 171/2012).
La disposizione regionale, non prevedendo la necessità di titolo abilitativo per i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili relativi ad unità non superiori a 700 metri cubi (ancorché compatibili con le norme di attuazione del PRG e degli strumenti esecutivi), si pone quindi in contrasto con i principi fondamentali in materia di “governo del territorio” contenuti negli articoli 6, 10 e 22, comma 3, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001 e, di conseguenza, viola l’articolo 117, comma 3, della Costituzione.

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