Dettaglio legge regionale
Titolo | Modifiche all'articolo 1 della legge regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria. |
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Regione | Sardegna |
Estremi | Legge n. 2 del 31-01-2025 |
Bur | n. 7 del 03-02-2025 |
Settore | Politiche socio sanitarie e culturali |
Delibera C.d.M. | 28-03-2025 / Impugnata |
L’articolo 1, comma 1 della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2025 presenta profili di illegittimità costituzionale laddove modifica il comma 2-ter, secondo periodo, dell'articolo 1 della legge regionale 5 maggio 2023, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria), introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna n. 12 del 2024 - sul quale è attualmente pendente un giudizio di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale. In particolare, il citato art. 1, comma 2-ter, secondo periodo, prevede la possibilità di richiamare in servizio i medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, senza escludere i medici di medicina generale per i quali, invece, l’art. 21, comma 1, lettera j) dell’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) dei Medici di medicina generale (MMG) preclude espressamente il rientro in servizio se pensionati. La norma ora in esame – sostituendo le parole “sino al 31 dicembre 2024” con le seguenti “sino all’espletamento delle nuove procedure di assegnazione delle sedi di assistenza primaria e continuità assistenziale e comunque entro e non oltre il 30 giugno 2025”, proroga gli effetti della disposizione senza incidere sul contenuto della fattispecie e presenta, quindi, i medesimi profili di illegittimità costituzionale contestati avverso l’art. 1, comma 1 della legge regionale n. 12/2024. Anche la norma in esame eccede dalle competenze statutarie della Regione Sardegna di cui agli articoli 3, 4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e, ponendosi in contrasto con la normativa statale di riferimento, nonché con l’art. 21, comma 1, lettera j), dell'Accordo Collettivo Nazionale (ACN) dei Medici di Medicina Generale (MMG) del 4 aprile 2024, quali norme interposte, viola la competenza statale esclusiva in materia di "ordinamento civile" di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, per le ragioni di seguito specificate. Come sopra accennato, si rappresenta preliminarmente che già sull’art. 1, comma 1 della legge della Regione Sardegna n. 12 del 2024, laddove introduce il comma 2-ter, secondo periodo, all’articolo 1 della legge regionale 5 maggio 2023, n. 5, è attualmente pendente giudizio di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale. Detta norma è stata impugnata in quanto, eccedendo dalle competenze statutarie della Regione Sardegna di cui agli articoli 3,4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e, ponendosi in contrasto con la normativa statale di riferimento nonché con l’art. 21, comma 1, lettera j), dell'Accordo Collettivo Nazionale (ACN) dei Medici di Medicina Generale del 4 aprile 2024, quali norme interposte, si pone in violazione della competenza statale esclusiva in materia di "ordinamento civile" di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, per le ragioni di seguito sinteticamente riprodotte. Nello specifico, l’art. 1, comma 2-ter, primo periodo, della legge 5 del 2023, come introdotto dall’articolo 1, comma 1, della legge regionale n. 12/2024 prevede che le Aziende Sanitarie locali possano fornire i ricettari di cui all’art. 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, a tutti i medici impegnati nei progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale. Il secondo periodo del medesimo comma, già oggetto di impugnativa, in particolare, prevede la possibilità di richiamare in servizio i medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, senza escludere i medici di medicina generale per i quali, invece, l’art. 21, comma 1, lettera J) dell’ACN dei Medici di medicina generale preclude espressamente il rientro in servizio se pensionati. La disposizione regionale, quindi, realizza un’ingerenza nella sfera di competenza esclusiva statale in materia di “ordinamento civile” e, dunque, una violazione dell’art. 117, secondo comma lettera l) della Costituzione. L’art. 1 della legge ora in esame non introduce misure correttive che consentano di prospettare la cessazione della materia del contendere per ius superveniens, ma, anzi, proroga - sino alle nuove procedure di assegnazione delle sedi primarie e comunque entro e non oltre il 30 giugno 2025 - l’autorizzazione concessa dalle ASL all’utilizzo del ricettario di cui all’art. 50 del D.L. n. 269 del 2003 a tutti i medici impegnati nei processi aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, nonché ai medici in quiescenza che abbiano aderito anche con contratti libero professionali. In altri termini, la modifica introdotta dal legislatore regionale con la legge attualmente in esame si limita a intervenire, prorogandolo, sull’ambito temporale di applicazione della fattispecie, che rimane, tuttavia, immutata nel contenuto sostanziale. A legislazione vigente, quindi, continua ad essere consentito al Medico di Medicina Generale già in quiescenza di aderire al progetto assistenziale attivato dalla ASL, di disporre del ricettario di cui all’art 50 citato e di riprendere, di fatto, funzioni analoghe – per natura e per strumenti impiegati- a quelle che aveva prima del pensionamento, in tal modo ponendosi in contrasto con l’art. 21, comma 1, lettera J) dell’ACN dei MMG che pone il divieto nei seguenti termini: “Ai sensi del punto 6, comma 3, dell’articolo 48 della Legge 23 dicembre 1978, n. 833 e dell’articolo 4, comma 7, della Legge 30 dicembre 1991, n. 412, è incompatibile con lo svolgimento delle attività previste dal presente Accordo il medico che: […]. j) fruisca di trattamento di quiescenza come previsto dalla normativa vigente. Tale incompatibilità non opera nei confronti dei medici che beneficiano delle sole prestazioni delle “quote A e B” del fondo di previdenza generale dell’ENPAM o che fruiscano dell’Anticipo della Prestazione Previdenziale (APP), di cui all’Allegato 5 del presente Accordo”. Né i Medici di Medicina Generale (MMG) ormai in pensione possono essere annoverati tra le categorie di medici in quiescenza che, ai sensi dell’articolo 2-bis, comma 5, del decreto-legge n. 18 del 2020, possono essere richiamati in servizio per far fronte alle esigenze del Servizio sanitario nazionale e ai quali l’art. 1, comma 2 ter, primo periodo, della legge n. 5 del 2023 prevede che possa essere fornito il ricettario di cui al citato art. 50 del D.L. 269/2003. Ed infatti, l'art. 2-bis, comma 5, del D.L n.18/2020 consente di richiamare in servizio dalla quiescenza solo il personale dipendente del SSN, riferendosi testualmente ai “dirigenti medici, veterinari e sanitari […]. Diversamente, il medico di medicina generale, anche ante pensionamento, ha con il SSN un rapporto non di dipendenza ma di natura libero professionale. In questi termini si è espressa la Corte di Cassazione che ha, con orientamento consolidato, affermato che il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale costituisce un rapporto privatistico di lavoro autonomo di tipo professionale con la pubblica amministrazione (Corte di cassazione, Sezioni Unite, ordinanza 21 ottobre 2025, n. 20344; Sezione lavoro, sentenza 8 aprile 2008, n. 9142). In definitiva, se per coloro che erano dipendenti del SSN la possibilità di rientrare dalla quiescenza con incarichi di lavoro autonomo è espressamente contemplata dalla normativa statale (art. 2-bis, comma 5, DL n. 18 del 2020), detta possibilità è, invece, preclusa per i medici di medicina generale dall'ACN del 2024 proprio in ragione dell’autonomia professionale che caratterizza il rapporto di lavoro del MMG in regime di convenzione con il SSN. Del resto, quando il legislatore ha inteso riferirsi alla generalità dei medici lo ha fatto con formule ampie ed omnicomprensive: a titolo esemplificativo, si segnala che se, da un lato, nell'ambito della disciplina derogatoria e speciale dettata dall’art. 2-bis, comma 5, del DL n. 18 del 2020 ha testualmente richiamato “dirigenti medici, veterinari e sanitari (...)”, diversamente nell’ambito della disciplina posta dall'art. 50 D.L. 269/2003 - che pure viene in rilievo nel caso in esame - ha genericamente riconosciuto che i ricettari possono essere consegnati dalla Regione “a tutti i medici del SSN abilitati dalla Regione ad effettuare prescrizioni.” La disposizione regionale, in definitiva, ha invaso la sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del rapporto di lavoro del MMG, materia riservata al legislatore statale e da quest’ultimo demandata alla contrattazione collettiva. Il legislatore statale, infatti, ha demandato la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale in regime di convenzione, alla negoziazione collettiva, con un procedimento che si rifà ai modelli previsti per la contrattazione collettiva dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) per il personale della pubblica amministrazione il cui rapporto è stato privatizzato. La disciplina del rapporto di lavoro in oggetto è stata configurata, già con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), in termini di necessaria uniformità sul territorio nazionale, assicurata attraverso la piena conformità delle convenzioni alle previsioni dettate dagli accordi collettivi. Il comma 1 dell'art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992 ha poi ribadito e precisato che il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale, i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta è disciplinato da apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale. Infine, l'art. 2-nonies del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2004, n. 138, ha confermato la struttura di regolazione del contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale, che viene garantito, su tutto il territorio nazionale, da convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali. Detti accordi sono conclusi secondo un procedimento di contrattazione collettiva definito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Così perimetrato il contesto normativo di riferimento, quindi, non può mettersi in dubbio che la disciplina di riferimento nel caso di specie sia rappresentata dalle disposizioni dell'ACN. A tal proposito, già con la sentenza n. 186 del 2016 la Corte Costituzionale ha affermato che la contrattazione collettiva nazionale del settore, che si esprime nell’accordo collettivo, fondata sulle previsioni delle norme statali precedentemente illustrate, «è certamente parte dell’ordinamento civile», in quanto «si inserisce nel peculiare sistema integrato delle fonti cui la legge statale pone un forte presidio per garantire la necessaria uniformità». È proprio l’esigenza di una uniforme disciplina dei rapporti convenzionali dei medici con il SSN che richiede l’armonica integrazione della normativa statale con la contrattazione collettiva nazionale, evidenziando i limiti della stessa, anche alla luce del riparto di competenze tra Stato e Regioni sancito dall’art. 117 della Costituzione. La disciplina del rapporto di lavoro dei medici di continuità assistenziale, riconducibile a tale materia, necessita di una uniforme regolamentazione su tutto il territorio nazionale, al fine di garantire la conformità del rapporto di lavoro alle prescrizioni della legislazione statale ed a quanto previsto dagli accordi collettivi di settore. Infine, per quanto sopra esposto si ritiene che l’intervento in esame non possa essere qualificato quale misura organizzativa del SSR “attuata mediante il ricorso a contratti libero professionali, adottata nel rispetto delle norme statali applicabili” configurandosi, piuttosto, come un intervento in deroga alle disposizioni dell'ACN che si pone come imprescindibile fonte di disciplina nel caso in esame. Giova, da ultimo, sottolineare che non è possibile superare i dedotti profili di incostituzionalità ricorrendo ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 1 della legge de qua, in quanto essi derivano non dall’assenza di un richiamo testuale dell’art. 21, comma 1 lett. J) dell’ACN, quanto piuttosto dal contrasto che sussiste tra detta norma e quanto previsto dall’art. 1 della legge regionale in esame, che, prorogando l’efficacia della disposizione, continua a violare i divieti posti dalla contrattazione collettiva di settore. Al riguardo, si segnala che anche se la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che una disposizione non può essere dichiarata incostituzionale quando le si possa attribuire “almeno un significato” secundum constitutionem, la censura di incostituzionalità non può essere evitata accedendo ad una interpretazione che attribuisce alla norma un significato “antiletterale” (Corte cost., 27 luglio 1992, n. 368) Tanto premesso, la violazione della norma interposta di cui al citato art. 21, concreta una violazione della competenza statale esclusiva di cui all’art. 117 cost, lett. l) in materia di ordinamento civile. In conclusione, l’articolo 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2025 laddove modifica il comma 2-ter, secondo periodo, dell’articolo 1 della legge regionale 5 maggio 2023, n. 5, introdotto dall’articolo 1, comma 1 della legge della Regione Sardegna n. 12 del 2024, eccedendo dalle competenze statutarie della regione Sardegna (artt. 3,4 e 5 legge cost. n. 3 del 1948) e ponendosi in contrato con la normativa statale di riferimento e con il citato art. 21 dell’ACN, viola la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lett. l) Cost., per invasione del perimetro riservato alla contrattazione collettiva. Per tali motivi la predetta disposizione deve essere impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 della Costituzione. |