Dettaglio Legge Regionale

COLLEGATO ALLA LEGGE REGIONALE DI STABILITÀ REGIONALE 2017 (24-7-2017)
Basilicata
Legge n.19 del 24-7-2017
n.28 del 25-7-2017
Politiche economiche e finanziarie
/ Rinuncia parziale
RINUNCIA PARZIALE

Con delibera del Consiglio dei Ministri del 23/09/2017 sono stati impugnati gli articoli 3, 4, 5, 8, 13, 20, 23, 26 comma 2, 30, 33, 45 e 46 della legge regionale della Basilicata 24 luglio 2017 n. 19 “ Collegato alla legge regionale di stabilità regionale 2017”.
L’articolo 26, comma 2, in particolare, prevede, nelle more della regolamentazione dell’accreditamento istituzionale, l’applicazione di un regime di accreditamento provvisorio per le strutture sociosanitarie già convenzionate a seguito di procedura di evidenza pubblica. La disposizione regionale consente pertanto, alle strutture di cui trattasi e per le quali non sia ancora intervenuta la verifica dei requisiti ulteriori previsti dalla normativa nazionale, di stipulare convenzioni con il SSR configurando in tal modo un’ipotesi di accreditamento ope legis per strutture di cui viene presunta la regolarità, indipendentemente dal possesso effettivo dei requisiti predetti. Conseguentemente è stata ravvisata una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. per lesione dei principi fondamentali in materia di “tutela della salute”, stabiliti dall’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992.
Con successiva legge regionale n. 11 del 29 giugno 2018 il sopracitato comma 2 dell’art. 26 impugnato è stato abrogato dall’articolo 73, comma 1. Tutto ciò premesso è stata acquisita dalla Regione la formale dichiarazione che nel periodo di vigenza della disposizione impugnata non è stato emanato alcun provvedimento applicativo e pertanto, acquisito il parere favorevole del Ministero della Salute che aveva promosso l’impugnativa, sussiste il presupposto per la rinuncia parziale all’impugnativa della legge regionale in oggetto limitatamente al comma 2 dell’articolo 26. Permangono tuttora validi, invece, gli altri motivi di impugnativa proposti con la delibera del Consiglio dei Ministri del 23/09/2017.
23-9-2017 / Impugnata

La Legge Regione Basilicata n. 19 pubblicata sul BUR. n. 28 del 25/07/2017 presenta aspetti illegittimi per gli aspetti di seguito evidenziati.
L’art. 3 interviene a modifica della l. r. n.24/2002 relativa alla variante al Piano Territoriale di coordinamento del Pollino (che ha valenza di piano paesistico), che riguarda un impianto di distribuzione carburanti lungo la SS. 653 "Sinnica" in zona C3 Paesaggi di rilevante interesse (PE). In primo luogo si rileva che non è stata assicurata nel procedimento di approvazione di detta variante la concertazione istituzionale prescritta dal Codice dei beni culturali e paesaggistici. Peraltro, si rileva in merito all'aggiornamento dei Piani Paesistici prescritto dall'art. 156 del codice dei beni culturali, che è stato sottoscritto in data 14/09/2011, il Protocollo d'intesa tra il Mi.bac., il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con la Regione Basilicata per la definizione congiunta del Piano Paesaggistico Regionale ai sensi dell'art. 143 c. 3 del Codice. Inoltre, con Determina regionale n. 7502 del 19.09.2012, è stato istituito, ai sensi dell'art.5 di tale Protocollo d'Intesa, il Comitato Tecnico che è il presupposto essenziale per l'avvio delle attività congiunte della pianificazione paesistica. Per quanto sopra, pur ritenendo le modifiche apportate al Piano medesimo relativamente "puntuali", non si comprendono le motivazioni del mancato coinvolgimento in sede istruttoria del Mi.bac., che ha comportato l'iniziativa unilaterale da parte della Regione per l'approvazione della Variante al Piano Paesistico in questione.
L’ art.4 che sostituisce un articolo delle Norme Tecniche Attuative del Piano Territoriale paesistico del Metapontino, in relazione all’'uso dell'arenile (aree sottoposte a tutela nella fascia dei 300 m. dalla linea di battigia) in cui poter collocare strutture per la balneazione anche in deroga alle attuali disposizioni (art. 14 NTA). Anche in tal caso nè il Mi.bac., né il predetto Comitato Tecnico sono stati coinvolti.
L’Art.5 Riguarda il terna degli interventi edilizi in assenza o in difformità del titolo abilitativo di cui al comma 2 dell'art. 34 del DPR 380/2001 su cui si interviene prevedendo la possibilità che i comuni possano autorizzare in maniera discrezionale addirittura il completamento funzionale di opere abusive.
L’Art.8 introducendo un ulteriore comma (4 bis) all'art. 6 della L.R. n. 25/2009, esclude dai divieti previsti dal comma 4 dell'art. 6, consentendo, per tutti i comuni che prima della Legge risultavano muniti di Piani Paesaggistici, gli interventi di ampliamento, gli Interventi di rinnovamento e gli interventi straordinari di riuso del patrimonio edilizio esistente di cui alla Legge Regionale 07 agosto 2009. n. 25, precedentemente non consentiti dalla legge medesima su edifici che risultassero:
a) realizzati in assenza di titolo abilitativo;
b) ubicati in aree a vincolo di inedificabilità assoluta previste negli strumenti di pianificazione paesaggistica ed urbanistica vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge;
c) definiti beni culturali ai sensi dell' art. 10 del D.Lgs. n. 42/2004;
d) ubicati in aree dichiarate intrasformabili per l'uso insediativo (residenziale, produttive, commerciale e del terziario) dei rispettivi piani paesistìci;
e) ricadenti nelle aree indicate all’ art. 142 comma 1, lettera I), del D.Lgs. n. 42/2004, limitatamente alla zona I delle aree destinate a parco, di elevato interesse naturalistico e paesaggistico, e nelle aree a riserve naturali nazionali e riserve integrali regionali;
f) ubicati in ambiti a rischio idrogeologico ed idraulico come riportati nei Piani Stralcio redatti dalle Autorità di Bacino competenti sul territorio regionale.
L’art. 9 Per gli interventi di ampliamento previsti dall'art. 7 della L.R. ri. 25/2009 riferiti alle pertinenze, prevede la possibilità di realizzazione, anche separatamente dall'edificio nell'ambito del lotto fondiario, in deroga ai limiti e distanze stabiliti dagli strumenti urbanistici,, prevedendo la possibilità di "altresì superare di m. 3,10 l'altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici vigenti."
L’Art. 13 Prevede per gli immobili ricompresi all'interno delle zone omogenee E di cui al DM n. 1444/1968 la possibilità di mutamento delle destinazioni d'uso a residenza. Tale mutamento è consentito in tutte le zone il cui piano dell'autorità di bacino ha "declassifìcato" (non si comprendono modalità e termini di tale declassificazione) "la pericolosità geologica prevista nel piani paesistici".
L’Art. 20 introduce alcune modifiche all'art. 2 della l.r. n. 54/2015. La misura, seppur apparentemente mirata ad affrontare la diffusione indiscriminata sull'intero paesaggio lucano degli impianti eolici afferenti alla categoria del "minieolico" (da 60 KW ad 1 MW attualmente in regime di PAS), di fatto introduce ulteriori elementi di confusione, consentendo interpretazioni contrastanti circa la possibilità di realizzazione di detti impianti anche nelle aree tutelate e nei relativi "buffer”, faticosamente definite e condivise tra Regione e Ministero competente per gli impianti eolici con potenza superiore ad 1 MW.
Pertanto nonostante l'adozione delle "Linee guida per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza superiore ai limiti stabiliti dalla tabella A) del D. Lgs. n.387/2003 e non superiore a 1 MW" di cui alla Legge Regionale 30 dicembre 2015, n. 54, art, 3 comma 3, anche a seguito della recente sentenza del TAR Basilicata, potrebbe vanificare l'enorme sforzo che il Mi.bac. per dotare quanto prima il paesaggio lucano di uno strumento di pianificazione paesaggistica che possa effettivamente tutelare ciò che rimane di un territorio già fortemente mortificato.
In conclusione, le norme sopra indicate sono frutto di procedure unilaterali sa per la modifica che per l’integrazione di dispositivi legislativi regionali introducendo elementi di contrasto e contraddittorietà con gli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo di Intesa per la elaborazione del Piano Paesaggistico Regionale.
Tutte le norme sopraindicate sono in contrasto con la competenza esclusiva nella materia "paesaggio" riservata allo Stato e pertanto devono essere impugnate per la violazione dell’art. 117 secondo comma lettera s) della Costituzione.
L'articolo 5, inoltre, che prevede che "in caso di interventi edilizi realizzati in assenza di idoneo titolo abitativo, o in difformità da esso, di cui al comma 2 dell' art. 34 del DPR 380/2001, i Comuni con motivata decisione autorizzano il completamento funzionale ai fini dell'agibilità/abitabilità delle opere realizzate", qualora sussistano una serie di condizioni la cui mancanza lo pone in contrasto con i principi fondamentali dettati dalla legislazione statale, ed in particolare dagli articoli 31, 33 e 34 e 36 del DPR 380/ 2001, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia.
Ed invero in base alla legislazione statale in caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità è sempre prevista la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi, e l'Amministrazione ha il potere di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria nel solo caso di interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 10 comma 1 (interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni) quando "sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile" (articoli 31 e 33 DPR 6 giugno 2001, n. 380);
in caso in caso di interventi e opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, l'Amministrazione ha il potere di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria "quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità" (articolo 34 DPR 6 giugno 2001, n. 380);
la c.d.. fiscalizzazione dell'illecito edilizio non equivale ad una sanatoria dell'abuso edilizio in quanto non determina una regolarizzazione dell'illecito: di conseguenza non determina l'estinzione del reato edilizio e non autorizza il completamento delle opere che vengono tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione della conservazione di quelle realizzate legittimamente (Cass pen. Sez. III, Seni., 24 maggio 2010, n. 19538; Cass. pen,. Sez. III, 23 marzo 2004, n. 13978; Casa. peri- Sez. III, 18-05-2006, n. 17078);
la sanatoria dell'abuso edilizio è subordinata alla ricorrenza di tutti i requisiti richiesti dall'articolo 36 del DPR 380 del 2001, tra cui la necessità che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
La legge regionale in oggetto si pone, quindi, in contrasto con i principi fondamentali previsti dalla legge statale nella misura in cui:
- estende il potere dell'amministrazione di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria anche in caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità diversi da quelli di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 10 comma 1 DPR 6 giugno 2001, n. 380;
- configura la possibilità, non prevista dalla legislazione statale, di una sanatoria dell'abuso edilizio, al di fuori della previsione di cui all'articolo 36 del DPR 380 del 200 1.
Sotto tale profilo la censurata disposizione della legge regionale in oggetto si pone in contrasto con l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione e deve pertanto essere impugnata a norma dell’articolo 127 della Costituzione.
Si è in presenza, infatti, di una normativa riferibile ad opere e interventi edilizi, abusivi", e quindi di un intervento afferente alla materia “governo del territorio" di cui all’art.. 117, terzo comma, Cost. ( da ultimo, sentenze della Corte Costituzionale n. 233 del 2015 e n. 272 e n. 102 del 2013), nel cui ambito alle Regioni spetta l'adozione di una disciplina legislativa di dettaglio, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (sentenze n. 167 del 2014 e n. 401 del 2007).
Al riguardo si richiama, in particolare la sentenza della Corte Costituzionale n. 233 del 2015 con la quale è stato ritenuta costituzionalmente illegittima, per violazione dell'articolo 117, terzo comma, Cost. la disposizione di una legge regionale (art. 207 della Legge regione Toscana 65 del 2014) che in presenza di interventi edilizi abusivi escludeva, nell'ipotesi in cui il Comune ritenesse insussistente l'interesse alla rimessione in pristino, la sanzione demolitoria (e la succedanea acquisizione gratuita delle aree al patrimonio comunale, in caso di inadempimento dell'ordine di demolizione), in generale prevista per gli immobili abusivi dal testo unico sull'edilizia e dalle corrispondenti norme della stessa legge regionale, e pur prevedendo che il pagamento della sanzione amministrativa "non determina la legittimazione dell'abuso" statuiva, tuttavia, che le opere ed interventi eseguiti in assenza di titolo abilitativo o in difformità dal medesimo, "sono da considerarsi consistenze legittime dal punto di vista urbanistico-edilizio".
Ad avviso della Consulta tale disposizione comporta "per tutti gli immobili oggetto di disciplina, gli effetti tipici di un "condono edilizio straordinario", che si differenzia, in quanto tale, dall’istituto a carattere generale e permanente del “permesso di costruire in sanatoria”, disciplinato dagli artt. 36 e 45 del testo unico sull'edilizia. In tema di condono edilizio "straordinario”", la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n.'t 196 del 2004), le scelte di principio sul versante della sanatorio amministrativa, in particolare quelle relative all'an, al quando e al quantum: la decisione sul se disporre, nell'intero territorio nazionale, un condono straordinario, e quindi la previsione di un titolo abilitativo edilizio straordinario; quella relativa all'ambito temporale di efficacia della sanatoria; infine l'individuazione delle volumetrie massime condonabili (nello stesso senso, sentenze n. 225 del 2012 e n. 70 del 2005). Nel rispetto di tali scelte di principio, competono alla legislazione regionale l'articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale (sentenze it 225 del 2012, n. 49 del 2006 e n. 196 del 2004). Ne consegue che le norme impugnate si pongono in contrasto con i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale in materia. Esula, infatti, dalla potestà legislativa concorrente delle Regioni il potere di "ampliare i limiti applicativi della sanatoria" (sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di "allargare l'area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato" (sentenza n.t 117 del 2015). A maggior ragione, esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale. Il che è appunto quanto si verifica in applicazione delle norme impugnate. Esse producono un effetto di sanatorio amministrativa straordinaria dì immobili abusivi, non solo senza alcuna limitazione volumetrica, ma anche al di là delle modalità e, soprattutto, dei tempi disciplinari dalle precedenti normative statali."
Inoltre la stessa norma si pone in contrasto con l'articolo 117, 20 co., lett. l), Cost., sotto il profilo della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile e penale, con la riserva di legge in materia penale posta dall'art. 25, 2° co., Cost., e con l'articolo 3 sotto il profilo della ragionevolezza.
Ai sensi dell'articolo 45, comma 3, del DPR 380/2001, infatti, "il rilascio in sanatoria del permesso di costruire estingue i reati contravvenzionali previsti dalle nonne urbanistiche vigenti".
La previsione, da parte della disposizione censurata della legge regionale in oggetto, di un permesso in sanatoria che prescinde dal requisito fondamentale, previsto dalla legge statale, della doppia conformità, si pone in contrasto con la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia penale, restringendo l’operatività delle leggi incriminatrici statali.
La Corte costituzionale ha più volte avuto modo di chiarire che alle Regioni, anche se a statuto speciale e nelle materie in cui esse hanno la potestà legislativa esclusiva, non soltanto è precluso assoggettare a sanzione penale condotte che, per la legge dello Stato, sono lecite, ma è vietato pure incidere nella materia penale restringendo l'operatività delle leggi incriminatrici statali. (V., in particolare, C. Cost., 25-10-1989, n. 487, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3. lo co., 1. reg. Sicilia 10-8-1985, n. 37, recante Nuove norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, riordino edilizio e sanatoria delle opere abusive, che aveva esteso l'operatività della causa d'estinzione dei reati edilizi prevista negli artt. 31 ss. L. 28-2-1985, n. 47 a casi non previsti dalla legge dello Stato. Nello stesso senso, sempre con riguardo all'operatività della legge penale urbanistica statale intaccata da norme di fonte regionale, v.: C. Cost., 18-1¬1991, n. 18; C. Cost., 22-6-1995, n. 273; C. Cost.. 13-5-1993, n. 231. La conclusione - ribadita da C. Cost., 28-6-2004, n. 196, - è comunemente accolta anche nella giurisprudenza ordinaria Cass. pen., sez. III, 2-12-1983; Cass. pen., sez. III, 8-7-1994, Battiato,).in particolare la Consulta nella sentenza n. 231 del 1993 ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 129, 1° e 30 comma, I. prov. Trento 5 settembre 1991 n. 22, che introduceva una regolamentazione del procedimento amministrativo sulla sanatoria delle infrazioni urbanistiche più favorevole, per il soggetto privato, di quella stabilita dall’ art. 13 legge. 28 febbraio 1985 n. 47 (disposizione corrispondente all'attuale art. 36 del DPR 380 del 2001) determinando l'estinzione del reato urbanistico anche nell’ipotesi di mancata conformità dell’opera con gli strumenti urbanistici vigenti all'epoca della costruzione dell'opera stessa: "Ora, come questa Corte ha già chiarito (sent. n. 370 del 1988), la sanatoria ex art. 13 della legge n. 47 del 1985 presuppone la verifica dell'intrinseca "giustizia" sostanziale dell’opera che deve risultare conforme agli strumenti urbanistici già nel momento della costruzione: l’estinzione del reato trova dunque giustificazione nell'accertata inesistenza del "danno urbanistico". Va aggiunto, poi, che le due disposizioni denunziate non si limitano a integrare le formule adottate dal legislatore statale, ad esempio a fini di maggiore chiarezza (si veda sul punto la sent. n. 201 dei 1992 di questa Corte): esse introducono elementi di irrazionale difformità e compromettono, su un punto decisivo, il delicato equilibrio che la legge n. 47 del 1985 ha definito tra presupposti per la concessione in sanatoria e perseguibilità dei reati previsti dalle vigenti norme urbanistiche, a salvaguardia di fondamentali esigenze di governo del territorio (sent. n. 370 del 1988 e sent. n. 369 del 1988). Incidendo sull’applicabilità delle cause di estinzione del reato, le disposizioni in esame interferiscono nella 'materia penale' per la quale vale la riserva di disciplina a favore dello Stato, che si configura come un principio di rango costituzionale e condiziona l'autonomia legislativa regionale anche nel caso delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome (nella giurisprudenza di questa Corte, v. in particolar modo sent, n. 18 del 1991, sent.n.ti. 487 del 1989, sent. n 179 del 1986, con specifico riguardo alla materia urbanistico-edilizia, ed anche sent. n, 437 del 1992 sent. n. 504 del 1991, sent. n.213 del 1991, sent. n. 197 del 1991, sent n. 117 del 1991, sent. n. 239 del 1982). La legge provinciale, nella parte denunziata risulta dunque invasiva delle attribuzioni riservate allo Stato per tutto ciò che attiene alla materia penale, con ciò esorbitando dai limiti che gli articoli e 8 del D.P.R n. 670 del 1972 (Statuto speciale) pongono all'esercizio della potestà legislativa della Provincia autonoma."
D'altra parte, avuto riguardo alla legislazione esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, si rileva che l'articolo 46 del DPR 330 del 2001 stabilisce la nullità degli atti tra vivi "aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costituzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985.... ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria". La possibilità, prevista dalla disposizione della legge regionale in oggetto, di ottenere un permesso in sanatoria al di fuori dei limiti stabiliti dall'articolo 36 del DPR 380 del 2001 incide anche sull'ordinamento civile, determinando la validità dell'atto tra vivi avente ad oggetto un immobile oggetto di un intervento abusivo, sanato al di fuori dei requisiti prescritti dall'articolo 36 del DPR 380 del 2001.
L’articolo 23 introduce una proroga dei termini, da due a cinque anni, per gli adeguamenti strutturali connessi alle procedure di autorizzazione, previsti dalla L.R. n. 25 del 2008, per le strutture sanitarie dotate di posti letto, che già erogano prestazioni sanitarie in regime di ricovero e per quelle dotate di posti residenziali per assistenza riabilitativa ai disabili psichici e psiconeuromotori, nonché per le strutture riabilitative che erogano ai disabili psichici e psiconeuromotori prestazioni in regime ambulatoriale.
Nel disporre detta proroga, peraltro, la disposizione regionale non individua un preciso dies a quo, considerato che i termini di cui trattasi decorrono dalla data di comunicazione, da parte della competente Commissione tecnica di valutazione regionale, dell’idoneità del piano di adeguamento.
La proroga così prevista, determinando una dilazione dei termini per l’adeguamento a quelli che sono requisiti minimi richiesti alle strutture sanitarie e sociosanitarie, a garanzia della sicurezza dei cittadini, non risulta conforme alle disposizioni dettate dall’art. 8-ter, comma 4, d.lgs. n. 502/92 e s.i.m., che, disponendo, che: “L’esercizio delle attività sanitarie e sociosanitarie da parte di strutture pubbliche e private presuppone il possesso dei requisiti minimi, strutturali, tecnologici e organizzativi stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, sulla base dei princìpi e criteri direttivi previsti dall'articolo 8, comma 4, del presente decreto”, richiede che la verifica del possesso dei requisiti minimi autorizzativi venga effettuata prima del rilascio dell’autorizzazione e dell’avvio di qualsivoglia attività.
Considerato che in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale, la competenza regionale in materia di autorizzazione è ricompresa nella più generale potestà legislativa concorrente in materia di “tutela della salute”, che vincola le Regioni al rispetto dei principi fondamentali fissati dalle norme statali, nel caso di specie, si ravvisa una violazione dell’art. 117, comma terzo, della Cost.; ed invero, gli artt. 8, comma 4, e 8-ter, del d.lgs. n. 502 del 1992 stabiliscono livelli essenziali di sicurezza e qualità che debbono essere soddisfatti da tutte le strutture che intendono effettuare prestazioni sanitarie e la Corte costituzionale ha riconosciuto che tali disposizioni rappresentano principi fondamentali che le Regioni devono garantire anche indipendentemente dal fatto che una struttura intenda o meno chiedere l’accreditamento
L’articolo 26 dispone l’applicazione della disciplina sull’autorizzazione di cui alla L.R. n. 28/2000 a tutte le strutture sociosanitarie già attive ed operanti, convenzionate con il Servizio sanitario regionale, per le quali, tuttavia, non è ancora conclusa la verifica preventiva dei requisiti minimi. In particolare, laddove consente a tali strutture già “attive alla data di entrata in vigore della presente legge..” di continuare a svolgere l’attività previa presentazione della domanda di autorizzazione, il comma 3 dell’articolo in esame si pone in contrasto con quanto previsto in materia di autorizzazione dall’art 8-ter del d.lgs. n. 502/92, a norma del quale il rilascio dell’autorizzazione e la verifica del possesso dei requisiti minimi precede l’esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie.
L’articolo 26, comma 2, prevede, inoltre, nelle more della regolamentazione dell’accreditamento istituzionale, l’applicazione di un regime di accreditamento provvisorio per le strutture sociosanitarie già convenzionate a seguito di procedura di evidenza pubblica, consentendo alle aziende sanitarie locali di stipulare con le stesse il relativo accordo contrattuale di durata massima di 18 mesi. In ogni caso, tali strutture devono presentare domanda di autorizzazione corredata dal piano di adeguamento ai requisiti minimi autorizzativi. In merito, si rammenta che per l’“accreditamento” occorrono “requisiti ulteriori” (rispetto a quelli necessari all’autorizzazione) e l’accettazione del sistema di pagamento a prestazione, ai sensi dell’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992; come più volte ribadito dalla Corte costituzionale (cfr., ex plurimis, sentenza n. 361 del 2008), i “requisiti ulteriori” di cui all’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, necessari per l’accreditamento, hanno natura di principi fondamentali che le Regioni sono tenute a rispettare. Pertanto, laddove la disposizione regionale consente alle strutture di cui trattasi, per le quali non è ancora intervenuta la verifica dei requisiti ulteriori, di stipulare convenzioni con il SSR configura un’ipotesi di accreditamento ope legis per strutture di cui viene presunta la regolarità, indipendentemente dal possesso effettivo dei requisiti predetti. Si ravvisa, pertanto, una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. per lesione dei principi fondamentali in materia di “tutela della salute”, stabiliti dall’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992.
Inoltre, laddove il comma 2 dell’articolo 26 prevede il riconoscimento dell’accreditamento provvisorio alle strutture socio-sanitarie di cui alla L.R. n. 4/2007 in violazione del l’art. 1, comma 796, lettera t), della legge n. 296 del 2006 (come da ultimo modificato dal comma 1-bis dell'art. 7, D.L. 30 dicembre 2013, n. 150, nel testo integrato dalla legge di conversione 27 febbraio 2014, n. 15) secondo cui l’accreditamento provvisorio delle strutture sanitarie e socio-sanitarie, diverse da quelle ospedaliere e ambulatoriali, che consente l’erogazione delle prestazioni, deve cessare entro il 31 ottobre 2014. Sul punto si rammenta, altresì, che la giurisprudenza costituzionale si è già espressa nel senso di ritenere che il termine finale previsto dalla legislazione statale, all’art. 1, comma 796, lettera t), della legge n. 296 del 2006, per il passaggio dall’accreditamento provvisorio a quello definitivo, costituisce principio fondamentale della materia che le Regioni sono tenute a rispettare .- Pertanto anche per tale ultima motivazione la norma deve essere impugnata per la violazione del medesimo parametro costituzionale.
L’art. 30, comma 2 della l.r. in esame, laddove prevede che: “Al fine di migliorare l'integrazione tra le strutture accreditate del Servizio sanitario regionale, ferme restanti le disposizioni di cui all’art. 4, comma 7 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 in materia di incompatibilità, le strutture sanitarie private accreditate con il Servizio sanitario nazionale possono altresì avvalersi:
a) dell’opera di medici in rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale, sempre che questa rientri nell'ambito di accordi e/o protocolli di intesa stipulati con le Aziende del Servizio sanitario regionale di dipendenza;
b) dell’opera di medici in rapporto con altre strutture private accreditate con il Servizio sanitario nazionale.
Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogate le norme in contrasto con quanto disposto al presente comma”, disattende il principio generale di unicità del rapporto di lavoro del personale medico con il SSN, sancito dall’art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, a norma del quale: “Con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale. Il rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale è altresì incompatibile con l'esercizio di altre attività o con la titolarità o con la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con lo stesso. […] L'esercizio dell'attività libero-professionale dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale è compatibile col rapporto unico d'impiego, purché espletato fuori dall'orario di lavoro all'interno delle strutture sanitarie o all'esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. Le disposizioni del presente comma si applicano anche al personale di cui all'articolo 102 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 […]”.
La portata del principio generale dell’unicità del rapporto di lavoro con il SSN è stata in plurime occasioni indagata dalla giurisprudenza amministrativa (Cfr. ex multis Cons. Stato, sentenze nn. 2430/2003 e 4463/2004), che ha chiarito come il principio in questione debba essere inteso estensivamente, essendo proprio “sia dei rapporti di lavoro alle dipendenze di strutture pubbliche o private in qualsiasi maniera convenzionate, sia dei rapporti libero - professionali in regime di convenzione, sia dell’esercizio di attività professionale, ancorché autonoma, presso una struttura privata convenzionata. Si tratta di un principio che ha carattere oggettivo ed assoluto, per cui il divieto di svolgere attività professionale in strutture convenzionate opera ancorché l’attività sia svolta stabilendo un rapporto diretto con il paziente o in un’unità operativa non convenzionata della stessa struttura, nonché in strutture convenzionate in discipline diversa da quella nella quale il medico presta servizio” (Cfr. Cons. Stato, sent. n. 2430/2003).
Nel senso che l’incompatibilità derivante dal divieto di cui sopra è assoluta ed opera nei confronti di qualsiasi altra attività, depone anche la finalità della norma diretta a “garantire la massima efficienza e funzionalità operativa al servizio sanitario pubblico” (in tal senso, Corte Cost. sentenza n. 457 del 23 dicembre 1993).
Al riguardo, si osserva, altresì, come la ratio giustificativa del divieto recato dall’art 4, comma 7, della citata legge n. 412/91, possa rinvenirsi anche nel comma 1 dell’art 98 Cost., che giustifica, appunto, un divieto – poi diversamente specificato dal legislatore quanto alle fattispecie concrete e alle conseguenze sul rapporto di pubblico impiego – allo svolgimento di rapporti idonei ad inficiare il principio dell’ “esclusivo servizio della Nazione” che appare caratterizzare, con connotati di rilievo ordinamentale, la natura stessa del rapporto di lavoro di cui trattasi. Ed infatti, l’art. 4, comma 7, della citata legge n. 412/91 svolge una funzione di valorizzazione del perseguimento dei fini di pubblico interesse – cui l’Amministrazione pubblica è istituzionalmente preposta -, che potrebbe, essere inficiato dalla compresenza di altri rapporti, suscettibili di determinare una concorrente tensione, nella persona del dipendente, verso interessi quanto meno “diversi” dall’interesse collettivo, che viene postulato di esclusiva riferibilità per il soggetto incardinato nella pubblica amministrazione.
Infine, si ritiene opportuno rappresentare che l’articolo 1, comma 5, della legge n. 662 del 1996 dispone che le incompatibilità previste dall’articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 si riferiscono anche alle strutture sanitarie private accreditate.
Alla luce di quanto sopra esposto, l’art. 30, comma 2, della legge regionale in esame, laddove sembra consentire una duplicità di rapporti che, invece, l’art 4, comma 7, della legge n. 421 del 1991 intende chiaramente scongiurare, viola il principio di unicità del rapporto del personale medico del SSN, che si pone, nella materia concorrente della tutela della salute di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., quale principio fondamentale, in quanto costituisce un elemento tra i più caratterizzanti nella disciplina del rapporto di lavoro con il personale sanitario, nonché della stessa organizzazione sanitaria, posto, peraltro, a presidio dell’efficienza e della funzionalità operativa del servizio sanitario pubblico.
Ai medesimi rilievi di incostituzionalità, a maggior ragione, si giunge a voler individuare il pertinente titolo di competenza nella materia di competenza esclusiva statale “della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” di cui all’art. 117, comma secondo, lett. m) Cost., tenuto conto che il contemporaneo esercizio da parte di un medico presso più strutture private accreditate potrebbe spiegare effetti negativi sulla qualità dell’attività assistenziale erogata e, al contempo, impedire l’effettivo espletamento della funzione ausiliaria rispetto alle strutture pubbliche che i soggetti accreditati sono chiamati a svolgere (cfr., in tal senso, Corte Cost. sentenza n. 457 del 23 dicembre 1993).
Per le addotte motivazione la norma indicata deve pertanto essere impugnata per le indicate violazioni .

L’Articolo 33 la norma in questione (relativa alla mobilità regionale interattiva in materia sanitaria) , con riferimento all'esclusione dai tetti di spesa delle prestazioni di alta complessità, si pone in contrasto con la legislazione nazionale, in quanto ai sensi dell'articolo 1, comma 574, della legge n. 208/2015, le regioni possono programmare l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità, nonché di prestazioni erogate da parte degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a favore di cittadini residenti in regioni diverse da quelle di appartenenza ricomprese negli accordi per la compensazione della mobilità interregionale le prestazioni in deroga ai limiti previsti, ma al fine di garantire, in ogni caso, invarianza del effetto finanziario connesso alla deroga di cui al periodo precedente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono ad adottare misure alternative, volte, in particolare, a ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessità erogate in regime ambulatoriale, di pronto soccorso, in ricovero ordinario e in riabilitazione e lungodegenza, acquistate dagli erogatori privati accreditati, in misura tale da assicurare il rispetto degli obiettivi di riduzione di cui al dl 95/2012. Il predetto obiettivo finanziario può essere anche assicurato attraverso misure alternative a valere su altre aree della spesa sanitaria. Nella legge in esame non si rinvengono le modalità di compensazione. Inoltre, con l'articolo in esame, si dispone, prima di qualsiasi accordo di confine sottoscritto, una deroga alla produzione di prestazioni rese in mobilità. Si ricorda che, ai sensi del DM n. 70/2015, i posti letto riservati alla mobilità attiva sono già compresi nella programmazione regionale che peraltro deve essere approvata ai sensi dell'articolo 1, comma 541, lettera e), della legge n. 208/2015, dal Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato LEA, e qualsiasi modifica potrà avvenire solo a seguito di accordi di confine già stipulati, al fine di garantire la compatibilità a livello nazionale.
Con riferimento all'esclusione delle altre tipologie di prestazioni dal tetto di spesa, la norma si pone in contrasto con la legislazione vigente, in quanto non sono previste tali esclusioni, passibili di determinare oneri aggiuntivi e non coperti.
Per quanto esposto l'articolo 33 è in contrasto con i principi fondamentali di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, poiché viola il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria quale principio di coordinamento della finanza pubblica, nonché con l'articolo 81, terzo comma della Costituzione sotto il profilo della mancata copertura finanziaria.
L'articolo 45 al comma 1 modifica l'art. 6 , comma 2, della legge regionale 7 ottobre 2014, n. 30 in materia di autorizzazione all'esercizio delle sale da gioco e all'istallazione di apparecchi da gioco entro la distanza di 500 metri dai luoghi sensibili e tale disposizione risulta non in linea con quanto stabilito dall'articolo 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015, n. 2018, in base alla quale in sede di conferenza unificata sono definite le caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonche i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale , al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età. Le intese raggiunte in conferenza unificata sono recepite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti.Per quanto esposto la norma in esame dell'articolo 45, comma 1, è in contrasto con l'articolo 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione in materia di ordine e sicurezza e deve essere impugnato ex articolo 127 della Costituzione.
L’art. 46 con il comma 1 modifica l'articolo 76 della l.r. n. 5/2015, n. 5, aggiungendo il comma 1-bis secondo cui: "In deroga a quanto stabilito dall'art.34 della l. r.n. 1/2006, possono altresì essere rilasciate concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali ai Comuni o alle Associazioni di volontariato che svolgono opere e/o attività in favore di disabili intellettivi e motori e delle loro famiglie al fine di realizzare strutture stagionali attrezzate per l'accoglienza e il godimento del mare ".
La disposizione, non contemplando espressamente procedure selettive per l'individuazione del soggetto titolare delle concessioni demaniali marittime in argomento - verosimilmente di carattere turistico-ricreativo, come desumibile in base al precedente comma 1 del medesimo articolo 76 e all'articolo 34 della richiamata legge regionale n. 11/2006 - non appare in linea con l'articolo 12 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, 12 dicembre 2006, a 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, essendo il demanio marittimo considerato "risorsa scarsa".
Pertanto, la norma in rassegna è in contrasto con l'articolo 117, primo comma e secondo comma, lett. e), Cost., in relazione,. Rispettivamente, agli obblighi posti dai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e alla materia della tutela della concorrenza.

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