Dettaglio Legge Regionale

Norme a sostegno dell’economia circolare - Adeguamento Piano Regionale di Gestione Integrata dei Rifiuti (PRGR). (23-1-2018)
Abruzzo
Legge n.5 del 23-1-2018
n.12 del 31-1-2018
Politiche infrastrutturali
16-3-2018 / Impugnata
La legge regionale , che detta norme a sostegno dell’economia circolare, è censurabile in relazione al previsto adeguamento del Piano Regionale di Gestione Integrata dei Rifiuti (PRGR), per i motivi di seguito specificati .

L’articolo 2, che dispone l’ adeguamento del Piano Regionale di Gestione Integrata dei Rifiuti, testualemente recita :
“ 1. In attuazione dell'articolo 199, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e successive modificazioni ed integrazioni e dell'articolo 11 della legge regionale 19 dicembre 2007, n. 45 (Norme per la gestione integrata dei rifiuti) con la presente legge si provvede all'adeguamento del Piano Regionale di Gestione Integrata dei Rifiuti (PRGR).
2. Il Piano Regionale di Gestione Integrata dei Rifiuti (PRGR) adeguato, è allegato alla presente legge, di cui è parte integrante e sostanziale e si compone dei seguenti elaborati tecnici:
- "Relazione di Piano" - luglio 2017;
- "Sintesi della Relazione di Piano" - luglio 2017;
- "Relazione di Piano: Allegato 1 - Linee guida ed indirizzi per la riorganizzazione dei servizi a livello locale" - luglio 2017;
- "Programma di prevenzione e riduzione della produzione dei rifiuti e prime misure per la preparazione al riutilizzo" - luglio 2017;
- "Piano delle bonifiche delle aree inquinate (PRB)" - luglio 2017;
- "Rapporto Ambientale" - luglio 2017;
- "Rapporto ambientale - Sintesi Non Tecnica" - luglio 2017;
- "Studio di incidenza sui siti della Rete natura 2000" - luglio 2017.”

La citata norma della legge regionale , nonché tutte quelle ad essa inscindibilmente collegate, compreso l’allegato Piano e i relativi elaborati tecnici, presentano aspetti di illegittimità costituzionale per i seguenti motivi.

1.Illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., in riferimento all’art. 199, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 206, nonché per violazione del principio di “primarietà dell’ambiente”.
La legge regionale in parola approva il nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti. A questo riguardo deve essere evidenziata la radicale illegittimità costituzionale dell’atto normativo de quo, in quanto contrastante con una “riserva di amministrazione” che l’art. 199 del d.lgs. n. 152 del 2006 pone implicitamente ma chiaramente.
In particolare, la disposizione citata prevede quanto segue: « Le regioni, sentite le province, i comuni e, per quanto riguarda i rifiuti urbani, le Autorità d'ambito di cui all'articolo 201, nel rispetto dei principi e delle finalità di cui agli articoli 177, 178, 179, 180, 181, 182 e 182-bis ed in conformita' ai criteri generali stabiliti dall'articolo 195, comma 1, lettera m), ed a quelli previsti dal presente articolo, predispongono e adottano piani regionali di gestione dei rifiuti. Per l'approvazione dei piani regionali si applica la procedura di cui alla Parte II del presente decreto in materia di VAS. Presso i medesimi uffici sono inoltre rese disponibili informazioni relative alla partecipazione del pubblico al procedimento e alle motivazioni sulle quali si e' fondata la decisione, anche in relazione alle osservazioni scritte presentate».
Da quanto premesso risulta chiaramente come non sia possibile, per le regioni, approvare con legge regionale il Piano di gestione dei rifiuti, poiché lo strumento legislativo è strutturalmente inadatto allo svolgimento di alcuni passaggi procedurali cui il procedimento di approvazione del Piano è chiamato. In particolare, la previsione dei pareri di province, comuni e autorità d’ambito implica ovviamente che l’atto di approvazione del Piano motivi le ragioni per le quali ci si sia eventualmente discostati dalle risultanze di tale attività consultiva. Analogamente, l’autorità procedente ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 152 del 2006 deve render ragione del modo in cui ha “tenuto conto” del rapporto ambientale elaborato in sede di VAS ed esplicitare le motivazioni per le quali non ha ritenuto di conformarsi al medesimo. In sintesi, risulta evidente che la disposizione prima indicata abbia implicitamente, ma chiaramente, conformato il procedimento di adozione del Piano regionale quale procedimento amministrativo, al fine di consentire una esplicita valutazione degli interessi ambientali sottesi al medesimo.
Va evidenziato peraltro che la sostituzione del prescritto procedimento amministrativo con il procedimento legislativo realizza una evidente lesione del principio di “primarietà” dell’ambiente.
Come è noto, il principio di “primarietà” dell’ambiente richiamato dalla Corte Costituzionale , tra le altre, dalla sent. n. 196 del 2004, esige che l’interesse ambientale riceva «una compiuta ed esplicita rappresentazione (…) nei processi decisionali all'interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative» (sent. n. 196 del 2004, par. 23 del Considerato in diritto). Il che, evidentemente, può essere garantito, nel caso che qui ci occupa, soltanto ove tale scelta sia affidata ad una autorità amministrativa, gravata dall’obbligo di motivarla, e non cristallizzata in una disposizione legislativa. E’ in tale ottica, del resto, che la Corte costituzionale ha di recente affermato che, per ragioni analoghe, la legge regionale non può avocare a se stessa la scelta, che il legislatore statale ha configurato come amministrativa, e dunque necessitante una adeguata motivazione (anche) in punto di considerazione degli interessi ambientali, della delimitazione degli ambiti territoriali ottimali per l’organizzazione del SII (sent. n. 173 del 2017).
La necessità di adottare deliberazioni ad alto contenuto tecnico, nel cui ambito assume un ruolo particolarmente rilevante la acquisizione dei prescritti pareri, con atto amministrativo e non con legge è stata del resto affermata dalla Corte anche con riferimento al calendario venatorio, con argomentazioni senza dubbio spendibili anche in questa sede (cfr., ad es., sentt. nn. 310 del 2012 e 90 del 2013). Inoltre, sempre dalla giurisprudenza in tema di calendario venatorio emerge chiaramente come «nei casi in cui la legislazione statale, nelle materie di competenza esclusiva, conformi l’attività amministrativa all’osservanza di criteri tecnico-scientifici, lo slittamento della fattispecie verso una fonte primaria regionale fa emergere un sospetto di illegittimità» (sent. n. 20 del 2012): il che è precisamente quanto accade nel caso in questione, anche in ragione del regime di tutela giurisdizionale proprio degli atti amministrativi e ben più idoneo al caso di specie, che il Piano approvato con legge viene irrimediabilmente a perdere (cfr., ancora, sent. n. 20 del 2012).

2. Illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. s), e 118, comma 1, Cost., in riferimento all’art. 35, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014 e al d.P.C.M. 10 agosto 2016, nonché per violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., in riferimento all’art. 179, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006.
2.1. Premessa
L’articolo 35, comma 1, del Decreto legge n. 133 del 2014, convertito dalla Legge n. 164 del 2014, ha affidato al Presidente del Consiglio dei ministri, l’individuazione, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, nonché degli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio. Gli impianti così individuati, qualificati infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, avrebbero attuato un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantendo la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentendo di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione comunitaria nonché limitando il conferimento di rifiuti in discarica.
Le suddette disposizioni hanno trovato attuazione con il d.P.C.M. 10 agosto 2016, recante “Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati”.
Ciò premesso, si osserva come le finalità perseguite dal legislatore nazionale attraverso l’art. 35 del D.L. n. 133/2014, attengano alla realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani ed al conseguimento degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio.
Il citato d.P.C.M. 10 agosto 2016, partendo da una minuziosa ricognizione della situazione impiantistica di incenerimento su scala nazionale, con particolare riferimento alle diverse tipologie di rifiuti (urbani tal quali, frazione secca dei rifiuti urbani, combustibile solido secondario, rifiuti sanitari, fanghi) trattate nei singoli impianti, ha quindi individuato con precisione la capacità attuale di incenerimento dei rifiuti urbani. Il decreto ha quindi provveduto a stimare il fabbisogno di incenerimento nazionale necessario a chiudere il ciclo dei rifiuti con la minimizzazione del ricorso alla discarica e nel farlo ha tenuto conto non solo della prevenzione e degli obiettivi di raccolta differenziata e riciclaggio della nuova proposta europea sull’economia circolare in corso di definizione ed emanazione, ma anche delle quantità di rifiuti avviate a co-incenerimento nei cementifici e nelle centrali elettriche e del trattamento dei rifiuti negli impianti di trattamento meccanico biologico. Ha inoltre tenuto conto degli scarti della raccolta differenziata che, in quanto inidonei alla filiera del riciclaggio, vengono attualmente avviati prevalentemente a smaltimento.
Infine, il citato decreto ha provveduto a confrontare la capacità esistente con il fabbisogno stimato, derivandone il fabbisogno residuo di incenerimento per ciascuna regione. Una volta ottenuto il fabbisogno residuo di ciascuna regione, il decreto ha operato una compensazione tra macro aree al fine di evitare la realizzazione di impianti non necessari e consentendo ai rifiuti residui di una regione di essere inceneriti nella eventuale capacità residua presente nelle regioni limitrofe. In questa maniera, ovvero considerando l’intero sistema paese anziché l’autosufficienza delle singole regioni, è stato possibile limitare il fabbisogno residuo totale a sole 1.831.000 tonnellate per un totale di nuovi 8 impianti più il potenziamento dell’impianto della Regione Puglia e della Regione Sardegna.
L’articolo 6, comma 3, del d.P.C.M. 10/08/2016 ha previsto la possibilità, per le regioni, di richiedere la modifica del rispettivo fabbisogno di incenerimento in due casistiche.
La prima in caso di nuova approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti o dei relativi adeguamenti, ai sensi dell'art. 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
La seconda in caso di variazioni documentate del fabbisogno riconducibili:
a) all'attuazione di politiche di prevenzione della produzione dei rifiuti e di raccolta differenziata;
b) all'esistenza di impianti di trattamento meccanico-biologico caratterizzati da una efficienza, in valori percentuali, di riciclaggio e recupero di materia, delle diverse frazioni merceologiche superiori rispetto ai valori indicati nell'allegato II;
c) all'utilizzo di quantitativi di combustibile solido secondario (CSS) superiori a quelli individuati nell'allegato II;
d) ad accordi interregionali volti a ottimizzare le infrastrutture di trattamento dei rifiuti urbani e assimilati.
In entrambi i casi, il successivo comma 4 del decreto sopra menzionato prevede la necessità di motivare adeguatamente l’istanza, fornendo documentazione che comprovi il sussistere delle condizioni di procedibilità.
Nel citato d.P.C.M. viene individuato, per la Regione Abruzzo, un fabbisogno residuo di incenerimento di 121.069 tonn/anno. Per far fronte a tale fabbisogno, anche in considerazione all’assenza totale di impianti di incenerimento operativi, si prevede, nella medesima Regione, la realizzazione di uno di questi impianti. In caso di mancato adempimento da parte della Regione Abruzzo alle disposizioni contenute nel d.P.C.M. 10 agosto 2016, verrebbe inequivocabilmente ad essere compromesso l’equilibrio e l’autosufficienza sia della macroarea sud cui la stessa regione appartiene, sia delle altre macroaree eventualmente aggravate dai quantitativi di rifiuti provenienti dall’Abruzzo.
Al riguardo è peraltro è opportuno ricordare che il d.P.C.M. 10 agosto 2016 – come riconosciuto anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 244 del 2016 – è stato adottato in attuazione di una norma legislativa che assegna allo Stato l’esercizio di una funzione amministrativa a carattere programmatorio generale sorretta da una esigenza unitaria, perseguendo ex art. 117, comma secondo, lett. s), Cost. l’obiettivo di raggiungere «un livello uniforme di tutela ambientale su tutto il territorio nazionale» (par. 6.1.1. del Considerato in diritto). Si tratta dunque dell’esercizio di una funzione amministrativa di tipo programmatorio, costituzionalmente tutelata ex art. 118, primo e secondo comma, Cost., dotata di potere conformativo rispetto alla successiva pianificazione regionale.
2.2. Le previsioni del Piano regionale
Lo scenario di Piano relativo all’orizzonte temporale 2014-2022 prevede in regione Abruzzo una sensibile riduzione della produzione dei rifiuti urbani pari al 14% circa; la produzione di rifiuti passerebbe secondo le stime regionali da 593.080,29 tonnellate prodotte nell’anno 2014 a circa 520.902 tonnellate nel 2022, con un contemporaneo incremento della raccolta differenziata verso il raggiungimento degli obiettivi di legge.
Le previsioni di stima indicate dal d.P.C.M. 10/08/2016 con riferimento al fabbisogno di incenerimento per la Regione Abruzzo, partono dal dato di produzione dei rifiuti regionale indicato nel Rapporto Rifiuti ISPRA 2015, relativo all’anno 2014. Da tale valore, il d.P.C.M. prevede la decurtazione della quantità di rifiuti come risultante dal Piano di prevenzione approvato da ciascuna regione.
In questo senso, non avendo la Regione Abruzzo fornito adeguati elementi in ordine alle azioni di riduzione della produzione dei rifiuti adottate nell’ambito dell’istruttoria del d.P.C.M. sopra richiamato, il fabbisogno di incenerimento indicato nel decreto attuativo dell’articolo 35, comma 1, del Decreto legge n. 133 del 2014, convertito dalla Legge n. 164 del 2014, potrebbe ragionevolmente considerarsi sovrastimato rispetto ad eventuali obiettivi di riduzione della produzione dei rifiuti non adeguatamente considerati.
L’adeguamento del Piano Regionale di gestione integrata dei rifiuti approvato dalla regione Abruzzo con Legge regionale n. 5 del 23 Gennaio 2018, prevede di fatto una specifica sezione dedicata alla programmazione in tema di prevenzione e riduzione della produzione dei rifiuti per l’orizzonte temporale 2014-2022.
Tuttavia, contrariamente a quanto previsto nel Piano come conseguenza dell’attuazione delle azioni di prevenzione attivate e da attivarsi secondo quanto indicato nel programma regionale, a partire dal 2014 la produzione dei rifiuti urbani è tornata a crescere in regione Abruzzo, passando da 593.080,29 tonnellate prodotte nell’anno 2014, a 593.817,90 tonnellate nell’anno 2015, a 601.990,75 tonnellate nell’anno 2016, come certificato da ISPRA nei rapporti annuali.
In questo senso appare difficile dare credito alle previsioni così ambiziose della Regione Abruzzo in tema di riduzione della produzione dei rifiuti, ai fini di un’eventuale aggiornamento del fabbisogno di incenerimento di cui al d.P.C.M. 10/08/2016.
Giova inoltre evidenziare che, nello scenario di riferimento regionale al 2022, più che aver previsto un’efficientamento dell’impiantistica di trattamento preliminare, appare piuttosto esservi un peggioramento.
Dall’attuale valore di circa 11% del totale prodotto, costituito da frazioni umide/organiche di sottovaglio avviate a smaltimento in discarica (FU 4,6%+BS 6,6%), si passerà, come già sopra rilevato, a quasi il 30% del totale prodotto, secondo lo scenario di riferimento regionale al 2022. Tale incremento appare trovare giustificazione in una variazione delle maglie dei sistemi di vaglio all’interno dell’impiantistica di trattamento preliminare, con la conseguente diminuzione dell’efficienza di produzione delle frazioni secche avviabili a recupero energetico negli impianti di incenerimento, a fronte di una maggiore produzione di frazioni umide di sottovaglio da inviare in discarica.
Risulta di fatto che l’incremento delle frazioni umide/organiche di sottovaglio da avviare in discarica (dall’11% al 30% del totale prodotto), non è compensata dall’incremento, per altro non adeguatamente analizzato e motivato, della frazione merceologica avviabile a recupero di materia (dall’1,2% al 9,5% del totale prodotto).
In sostanza nello scenario di riferimento regionale al 2022, sebbene il ricorso allo smaltimento in discarica venga complessivamente diminuito in valore assoluto per effetto dell’incremento delle frazioni avviate a riciclo e recupero e della diminuzione della produzione dei rifiuti, viene tuttavia artatamente delineata una strategia di pianificazione tesa a favorire il ricorso alla discarica a discapito del recupero energetico negli impianti di incenerimento.
In previsione del raggiungimento degli obiettivi di riduzione della produzione dei rifiuti, a partire dal 2022 la Regione Abruzzo prevede di abbassare la produzione di rifiuti a 520.902 tonn/anno, raggiungendo il 65% di raccolta differenziata per complessive 343.833 tonn/anno (di cui 188.874 tonn/anno di frazioni differenziate secche, 143.620 di FORSU+verde, e 11.339 tonn/anno di rifiuti da spazzamento), e residuando 5.870 tonn/anno di ingombranti a smaltimento e di 171.199 tonn/anno di rifiuto indifferenziato avviato a trattamento preliminare.
Sorvolando sull’anomalo incremento degli ingombranti a smaltimento dalle attuali 471 tonnellate, prodotte con riferimento al dato 2016, a 5.870 tonnellate nel 2022, e considerando il quadro di riferimento degli output del bilancio di massa dell’impiantistica di trattamento preliminare abruzzese, secondo lo scenario di Piano al 2022, in uscita dai TMB (impianti di trattamento meccanico biologico) si avrebbero 52.610 tonn/anno di frazioni secche di sovvallo FS, 37.540 tonn/anno di combustibile solido secondario CSS, 50316 tonn/anno di frazione umida/organica stabilizzata FOS, 16.242 tonn/anno di materiali oggetto di recupero di materia, e 14.492 tonn/anno di perdite di processo e percolato.
Con riferimento a tali output la Regione Abruzzo ha previsto la possibilità di ricorrere ad un accordo con la Regione Molise per trattare circa 20.000 tonn/anno di frazioni secche di sovvallo FS. Tuttavia non risulta sia stato sottoscritto, allo stato attuale, alcun accordo tra le due regioni.
Infine, occorre evidenziare come nel Piano regionale de quo, in considerazione delle sopra menzionate valutazioni circa l’andamento della produzione dei rifiuti e la loro gestione, non viene prevista la realizzazione di alcun inceneritore con recupero energetico. Al contrario, si prevede il ricorso alla discarica per 111.397 tonn/anno (pag. 305 del Piano).
2.3. Conclusioni
Risulta chiaramente da quanto sopra esposto che molti aspetti della pianificazione regionale risultano non adeguatamente plausibili e non supportati da adeguata motivazione e documentazione. Da tale premessa risulta la conseguenza secondo la quale le valutazioni della Regione circa l’andamento della produzione dei rifiuti e la loro gestione non consentono di modificare il fabbisogno previsto nel d.P.C.M. 10 agosto 2016 secondo quanto risulta dal Piano stesso, sulla base dell’art. 6 del citato d.P.C.M. Non ricorrono, infatti, le condizioni in presenza delle quali i fabbisogni ivi indicati possono essere modificati adeguandoli alle previsioni regionali. Da qui la conseguenza secondo la quale la legge regionale de qua, nell’approvare un nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti contenente valutazioni non plausibili e inadeguate circa la produzione e la gestione di rifiuti, ed escludendo in forza di tali valutazioni la necessità di realizzare un inceneritore con recupero energetico, contrasta con l’art. 35, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014 e con il d.P.C.M. 10 agosto 2016, violando così l’art. 117, comma secondo lett. s), Cost. – poiché questi ultimi pongono norme a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema – e con l’art. 118, primo comma, Cost., poiché impediscono il fruttuoso esplicarsi di una funzione amministrativa allocata, in virtù del principio di sussidiarietà, in capo allo Stato.
Infine, si deve evidenziare che il Piano regionale de quo prevede un ingente ricorso alla discarica: in particolare, prevede un fabbisogno di 111.379 tonn/anno, cui vanno sommate ulteriori 20.000 tonn/anno che sono imputate ad un accordo con la Regione Basilicata ancora non realizzato. Ciò determina un ricorso alla discarica di particolare entità, in sostituzione al ricorso all’incenerimento con recupero energetico previsto invece dal menzionato d.P.C.M. 10 agosto 2016 sulla base dell’art. 35 del d.l. n. 133 del 2014.
Ciò determina il palese contrasto con la gerarchia dei rifiuti di cui all’art. 179, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, e la conseguente violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost.

Per questi motivi la legge regionale deve essere impugnata ai sensi dell’articolo127 della Costituzione .

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