Dettaglio Legge Regionale

Norme in materia di aree sciabili e di sviluppo montano. (26-5-2021)
Sicilia
Legge n.12 del 26-5-2021
n.24 del 4-6-2021
Politiche infrastrutturali
22-7-2021 / Impugnata
La Legge regionale, che detta disposizioni in materia di aree sciabili e di sviluppo montano è censurabile con riferimento alle disposizioni contenute negli articoli 3 e 10, comma 3, che, per le motivazioni di seguito riportate, eccedono dalle competenze attribuite alla Regione Siciliana dallo Statuto Speciale di autonomia, R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e violano la Costituzione della Repubblica.

1.L’articolo 3 , rubricato Associazioni fra comuni e partecipazione a società, prevede, al comma 2, che i comuni, singolarmente o in forma associata, possano costituire o partecipare a società, anche con altri enti pubblici o con privati, che abbiano come oggetto sociale il perseguimento delle finalità di promozione e tutela delle "località montane e le relative aree sciabili in ragione della loro valenza in termini di sviluppo economico e culturale, di coesione sociale e territoriale", nonché di sostegno "alla pratica dello sci e di ogni altra attività ludico-sportiva e ricreativa, invernale o estiva, che utilizzi impianti e tracciati destinati all'attività sciistica", di cui all'articolo 1 della legge regionale in esame o, comunque, lo sviluppo "delle attività con attrezzi, quali lo sci alpino, lo snowboard lo sci da fondo, lo slittino" di cui all'articolo 2 della medesima legge.
La disposizione in argomento si pone in contrasto con l'articolo 4 del "Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica" (TUSP) di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, concernente le finalità perseguibili mediante l'acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche.
Tale norma, nel riprendere quanto già prescritto dall'articolo 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007, al comma 1, stabilisce che "le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.
Come noto, il citato articolo 4 del decreto legislativo n. 175/2016, introduce il doppio vincolo, cd. "vincolo di scopo pubblico" (comma 1) ed il vincolo di attività" (comma 2) - consentendo la costituzione di società ovvero l'acquisizione di partecipazioni societarie solo se ciò permette, o favorisce, la cura di almeno uno dei fini istituzionali attribuiti all'amministrazione socia dal medesimo articolo 4.
Sull'argomento si è più volte pronunciata la magistratura contabile, in particolare con riguardo alle questioni afferenti le modalità dì applicazione degli articoli 20 e 24 del TUSP. riguardanti il processo dì razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche.
La Corte dei conti - Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con la deliberazione 348/201 7/PAR, ha sottolineato che “Il legislatore…. presuppone, che, in sede di revisione straordinaria, ex art. 24, gli enti pubblici provvedano a dismettere le società non riconducibili alle missioni istituzionali attribuite dalla legge agli enti pubblici" e ancora che "tale forma di revisione straordinaria [...] non può non condurre all’adozione dì provvedimenti dì alienazione/scioglimento".
Al comma 2 del richiamato articolo 4 il TUSP specifica, in positivo, le categorie di società legittimamente costituibili o detenibili da enti pubblici. Queste ultime possono esclusivamente espletare le seguenti attività: a) produzione di un servizio di interesse generale, inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti strumentali b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra PA (art. 193 del d,lgs. n. 50 del 2016); c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica o di un servizio d'interesse generale, attraverso un contratto dì partenariato (art. 18 del dlgs. n. 50/2016); d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente, o agli enti pubblici partecipanti, o allo svolgimento delle loro funzioni; e) servizi di committenza, incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.
In tale contesto appare utile richiamare la nozione di servizio dì interesse generale resa da! TUSP all'articolo 2, comma i, lettera h), secondo cui sono tali "le attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l’ omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale".
Alla luce della definizione di servizio generale introdotta dal decreto, che replica proposizioni già espresse dalla normativa comunitaria, la Corte dei conti (Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 398/PAR/201 6) ha chiarito che il servizio può essere svolto dall'ente locale se l'intervento dell'ente stesso sia necessario per garantire l'erogazione del servizio, alle condizioni stabilite nella disposizione appena richiamata, ossia se, senza l'intervento pubblico, sarebbero differenti le condizioni di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione qualità e sicurezza al servizio oggetto di attenzione.
La disposizione in esame, inoltre, prevedendo che i comuni possano partecipare a organismi societari in cui siano presenti altri enti pubblici o soggetti privati, senza tuttavia precisare che tale partecipazione dovrà comunque essere acquisita e gestita nel rispetto dei principi e limiti previsti dal TUSP consentirebbe anche l'acquisizione di partecipazioni di minoranza.
Sul punto, la Corte dei conti, con la citata deliberazione 398/PAR/2016, soggiunge che "nel caso in cui la partecipazione dell'ente sia minoritaria (ed in assenza di altri soci pubblici, che consentano il controllo della società), il servizio espletato non è da ritenere “servizio di Interesse generale" posto che, a prescindere da ogni altra considerazione relativa alle finalità istituzionali dell'ente, l'intervento pubblico (stante la partecipazione minoritaria) non può garantire l'accesso al servizio così come declinato nell'articolo 4: l'accesso al servizio non sarebbe svolto dal mercato o sarebbe svolto a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica, economica, continuità, non discriminazione. Infatti, una partecipazione poco significativa non sarebbe in grado di determinare le condizioni di accesso al servizio che potrebbero legittimare il mantenimento della quota".
Del medesimo tenore quanto affermato dalla Corte dei conti - Sezione regionale di controllo per il Piemonte, che con la deliberazione 9/2016/SRCPIE/VSG, ha sottolineato che le partecipazioni c.d, "polvere", non consentendo un controllo sulla partecipata da parte del socio pubblico, non sembrerebbero coerenti con una valutazione di strategicità della partecipazione, riducendosi al rango di mero investimento in capitale di rischio, oggi non più ammesso, per tutto quanto sopra riportato, dall'attuale quadro normativo.
Pertanto il possesso di una eventuale partecipazione minoritaria, la cui acquisizione appare legittimata dalla previsione della norma regionale, non consentirebbe certamente di realizzare le condizioni affinché la pubblica amministrazione possa determinare le condizioni di accesso al servizio pubblico e, per esso, perseguire le proprie finalità istituzionali come richiesto dall'articolo 4, comma 1, del TUSP.
Tutto ciò posto, tenuto conto che le attività che si intendono realizzare attraverso il veicolo societario non appaiono strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali proprie della Regione, deve concludersi che la norma recata dall'articolo 3 comma 2, della legge regionale in esame, in ragione del contrasto con l'articolo 4 del TUSP, appare critica, sotto il profilo della legittimità, costituzionale, in relazione alla materia del coordinamento della finanza pubblica, di cui all'articolo 117, terzo comma, nonché al principio di buon andamento di cui all'articolo 97 della costituzione.

2. La disposizione di cui all'articolo 10, comma 3, laddove prevede la possibile partecipazione di tecnici ed esperti ai lavori della Commissione, è suscettibile di comportare oneri non quantificati, per i quali non è indicata la copertura finanziaria, in contrasto con l'articolo 81, terzo comma, della Costituzione.

La legge regionale deve quindi essere impugnata, limitatamente alle norme indicate, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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