Dettaglio Legge Regionale

Proroga del termine di cui al comma 12 dell’articolo 6 della l.r. 21/2010. (7-7-2021)
Calabria
Legge n.23 del 7-7-2021
n.54 del 8-7-2021
Politiche infrastrutturali
5-8-2021 / Impugnata
La legge regionale che dispone una proroga del termine di cui al comma 12 dell'articolo 6 della Legge regionale n. 21 del 2010, riguardante misure straordinarie a sostegno dell'attività edilizia finalizzata al miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale, presenta aspetti illegittimità costituzionale con riferimento alla disposizione contenuta nell’articolo 1, per le motivazioni di seguito illustrate

In via preliminare, si deve rilevare che, in attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 135, comma 1, e 143, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la Regione Calabria e il Ministero della cultura hanno avviato sin dal 2012 un rapporto di collaborazione istituzionale finalizzato all'elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale.
Il suddetto percorso ha condotto all'adozione del Quadro Territoriale Regionale con valenza paesaggistica (QTRP), approvato dal Consiglio regionale con la deliberazione n. 134 del 1° agosto 2016 (pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Calabria n. 84 del 5 agosto 2016). Il QTRP prevede la successiva redazione del piano paesaggistico, costituito da sedici piani paesaggistici d'ambito, destinato a rappresentare lo strumento di tutela, conservazione e valorizzazione del paesaggio; nelle more dell'approvazione del predetto strumento di pianificazione territoriale, sono stabilite apposite norme di salvaguardia, attinenti al sistema delle tutele, alla difesa del suolo e alle previsioni dei rischi a scala territoriale.
Ciò premesso, con la legge regionale in esame la Regione ha prorogato l'operatività temporale della legge regionale 11 agosto 2010, n. 21 - c.d. piano casa - la quale com'è noto disciplina l'esecuzione di interventi di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione di aree urbane degradate, di sostituzione edilizia, di ampliamento e di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali comunali , provinciali e regionali.
La regione Calabria, già con la legge 2 luglio 2020, n. 10, aveva apportato modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 21 del 2010, prorogandone l'operatività - dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021 - nonché ampliandone la portata applicativa.
Avverso la predetta legge pende ricorso dinanzi alla Corte Costituzionale (n. 72 del 28 agosto 2020); nel dettaglio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto di dichiarare l'illegittimità costituzionale degli articoli 2, 3, commi 1 e 3, e 4, commi 1 e 2, lettera b), della legge regionale 2 luglio 2020, n. 10, avente ad oggetto «Modifiche ed integrazioni al Piano casa» pubblicata nel B.U.R. n. 66 dei 2 luglio 2020.
Deve ora osservarsi che, con l'articolo 1 della legge regionale n. 23 del 2021, la Regione ha apportato nuovamente delle modifiche alla legge n. 21 del 2010 - in particolare al comma 12 dell'articolo 6 della legge regionale in questione - prevedendo che l'istanza per l'esecuzione degli interventi rientranti nel c.d. piano caso possa essere presentata non più fino al 31 dicembre 2021, bensì fino al 31 dicembre 2022.
La disposizione innanzi richiamata risulta manifestamente affetta da illegittimità costituzionale per i seguenti motivi :
1. Finalità della legge regionale n. 21 del 2010, recante il c.d. piano casa, era quella di consentire interventi "straordinari" per un periodo temporalmente limitato.
La stessa Corte costituzionale, intervenuta al riguardo, non ha mancato di rilevare come il c.d. piano casa si configuri alla stregua di "misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio predisposta nel 2008 dal legislatore statale, contenuta nell'art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
In particolare i 'art. 11, comma 5, lettera b), prevedeva che detto piano potesse realizzarsi anche attraverso possibili incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444.
Nel 2009, per dare attuazione a tale norma fece seguito l'intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, stipulata in data 1° aprile 2009, che ha consentito ai legislatori regionali (..) aumenti volumetrici (pari al 20 per cento o al 35 per cento in caso di demolizione e ricostruzione) a fronte di un generale miglioramento della qualità architettonica e/o energetica del patrimonio edilizio esistente." (Corte cost. n. 70 del 2020; cfr. anche, ancor più nettamente, Corte cost. n. 217 del 2020).
La predetta finalità pare tuttavia essere stata snaturata dalla Regione Calabria, la quale, attraverso le continue proroghe apportate con le leggi regionali che si sono susseguite nel tempo - da ultimo quella prevista con la legge regionale in esame - ha determinato la sostanziale stabilizzazione, per oltre un decennio, delle deroghe consentite dalla legge n. 21 del 2010, con il risultato di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi assentibili in deroga alla pianificazione urbanistica e territoriale.
Al riguardo, si rammenta come la Corte costituzionale abbia più volte rimarcato che le norme regionali che dispongono proroghe, successive nel tempo, al termine di efficacia inizialmente previsto hanno l'effetto di consolidare nel tempo l'assetto "in deroga" (cfr. ad esempio, in materia di tutela della concorrenza, Corte cost. n. 233 del 2020: "principi garantiti dalla normativa interna e sovranazionale possono risultare compromessi da una pluralità di proroghe che, anche se di breve durata, realizzino sommandosi tra di loro un’alterazione del mercato, ostacolando, senza soluzione di continuità, l'accesso al settore di nuovi operatori").
Va, poi, ricordato che non assume alcun rilievo la circostanza che il Governo non abbia impugnato la legge regionale n. 21 del 2010, la cui efficacia è stata prorogata dalla legge n. 23 del 2021, sia perché - come anticipato e come più diffusamente si dirà - il contrasto con i principi costituzionali discende proprio dalla trasformazione di una misura eccezionale e temporanea in una disciplina a regime, sia perché, comunque, la Corte costituzionale ha da tempo chiarito che "nei giudizi in via principale non si applica l'istituto dell'acquiescenza, atteso che la norma impugnata, anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di una norma anteriore non impugnata, ha comunque l'effetto di reiterare la lesione da cui deriva l'interesse a ricorrere" (cfr. sentenza Corte cost. n. 56 del 2020, che richiama le precedenti sentenze n. 41 del 2017, n. 231 e n. 39 del 2016).
La scelta così operata dalla Regione presenta delle criticità rispetto alla disciplina di tutela dei beni paesaggistici contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, risultando invasiva della potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
Gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia sono invero collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento che dovrebbe essere costituito dalle previsioni del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore. Soltanto a quest'ultimo strumento, elaborato d'intesa tra Stato e Regione, spetta infatti di stabilire, per ciascuna area tutelata, le cd. prescrizioni d'uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e di individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
La legge regionale n. 21 del 2010— la cui operatività è stata prorogata dall'articolo 1 della legge in oggetto - contrasta, dunque, con la scelta del legislatore statale di rimettere alla pianificazione la disciplina d'uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli) ai fini dell'autorizzazione degli interventi, come esplicitata negli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturale e del paesaggio, costituenti norme interposte rispetto al parametro costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
Al riguardo, occorre tenere presente che la parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio delinea un sistema organico di tutela paesaggistica, inserendo i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell'autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione. Tale pianificazione concordata prevede, per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d'uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
Il legislatore nazionale, nell'esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia, ha assegnato dunque al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono infatti l'inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l'immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008).
Si tratta di una scelta di principio la cui validità e importanza è già stata affermata più volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell'impugnazione dileggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei Comuni e delle Regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno strumento di pianificazione sovracomunale, definito d'intesa tra lo Stato e la Regione. La Corte ha, infatti, affermato l'esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica "è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento reso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale" (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
Questo profilo di illegittimità non viene meno in relazione alla circostanza per cui, nelle aree vincolate, la realizzazione degli interventi in questione risulta subordinata al previo rilascio del positivo atto di assenso degli enti ministeriali preposti alla tutela.
E ciò, in quanto, a essere compromessa è la necessità imprescindibile di una valutazione complessiva della trasformazione del contesto tutelato, quale dovrebbe avvenire nell'ambito del Piano paesaggistico, adottato previa intesa con lo Stato e del quale, come detto, la Regione Calabria è tuttora sprovvista.
I principi ora illustrati trovano costante affermazione nella giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, anche di recente, ha ribadito che "la circostanza che la Regione sia intervenuta a dettare una deroga ai limiti per la realizzazione di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure con riguardo alle pertinenze, in deroga agli strumenti urbanistici senza seguire l'indicata modalità procedurale collaborativa e senza attendere l'adozione congiunta del piano paesaggistico regionale delinea una lesione della sfera di competenza statale in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», che si impone al legislatore regionale, sia nelle Regioni a statuto speciale (sentenza n. 189 del 2016) che a quelle a statuto ordinario come limite all'esercizio di competenze primarie e concorrenti" (Corte cost. n. 86 del 2019).
Come pure evidenziato dalla Corte, "Quanto detto non vanifica le competenze delle regioni e degli enti locali, «ma è l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali» (sentenza n. 182 del 2006; la medesima affermazione è presente anche nelle successive sentenze n. 86 del 2019, n. 68 en. 66 del 2018, n. 64 del 2015 en. 197 del 2014)" (Corte cost. n. 240 del 2020).
Mediante la legge in esame, la Regione Calabria si sottrae dunque ingiustificatamente al proprio obbligo di redazione congiunta con lo Stato del piano paesaggistico, esercitando una funzione di disciplina del paesaggio e dei beni paesaggistici in modo del tutto autonomo, nonostante la co - pianificazione costituisca un principio inderogabile posto dal Codice e al quale la Regione si è, inoltre, specificamente obbligata, nell'ambito del percorso condiviso con il Ministero della cultura e tradottosi, finora, nell'approvazione del solo QTRP (cfr. Corte cost. n. 240 del 2020).
Le osservazioni ora svolte non sono affatto smentite dalla circostanza che, in base all'articolo 2, comma 3, lett. h), della legge regionale n. 21 del 2010, gli interventi della medesima legge possono essere realizzati fatte salve - tra l'altro - le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004. n. 42.
È, infatti, evidente come in una Regione priva di una pianificazione paesaggistica estesa all'intero territorio regionale, conforme alle previsioni degli articoli 135 e 143 del Codice, e adottata previa intesa con lo Stato almeno con riferimento agli ambiti soggetti a vincolo paesaggistico, la suddetta clausola di salvaguardia si risolva in un mero flatus vocis. Il rispetto del Codice dei beni culturali potrà essere inteso, infatti, soltanto nel limitato significato della necessaria acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica ai fini della trasformazione dei beni sottoposti a vincolo, ma - come detto - viene a essere completamente neutralizzato l'altro fondamentale pilastro della tutela paesaggistica previsto dalla legislazione statale, ossia il piano paesaggistico.
La legge regionale consente infatti la realizzazione degli interventi nonostante l'assenza di una sovraordinata pianificazione paesaggistica conforme al Codice.
In altri termini, la Regione da un lato si sottrae agli obblighi posti a suo carico dagli articoli 135 e 143 del Codice, dall'altro esercita surrettiziamente essa stessa, con legge, una funzione di pianificazione del paesaggio, anche vincolato, stabilendo la compatibilità di massima di una serie di interventi, senza alcuna valutazione specifica dei singoli contesti.
Per questa via, viene a essere depotenziato anche lo strumento a valle dell'autorizzazione paesaggistica, atteso che: (i) i privati sono indotti a confidare nella possibilità del rilascio del titolo, e quindi ne fanno richiesta: (ii) in sede di rilascio dell'autorizzazione, non è possibile valutare adeguatamente l'effetto cumulativo dei singoli interventi.
Alla luce di tutto quanto sopra illustrato, emerge la violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s, della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Inoltre, l'abbassamento del livello della tutela determinato dall'articolo 1 della legge regionale in oggetto comporta la violazione anche dell'art. 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007), per violazione dei parametri interposti costituiti dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore.
2. La disciplina derogatoria dettata dalla norma regionale in esame opera, oltre che in relazione ai beni paesaggistici, anche in relazione al paesaggio non vincolato, costituente comunque oggetto di tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall'Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14.
La Convezione prevede infatti, all'articolo 1, lettera a), che il termine «paesaggio» "designa una determinata parte di territorio, cosi come è percepita dalle popolazioni il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni". Oggetto della protezione assicurata dalla Convenzione sono, quindi, tutti i paesaggi, e non solo i beni soggetti a vincolo paesaggistico.
Con riferimento ai paesaggi, così definiti, la Convenzione prevede, all'articolo 5, che "Ogni Parte si impegna a:
a) riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità;
b) stabilire e attuare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione dei paesaggi, tramite l'adozione delle misure specifiche di cui al seguente articolo 6;
c) avviare procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche menzionate al precedente capoverso b);
d) integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un'incidenza diretta o indiretta sul paesaggio.".
In forza del successivo articolo 6, inoltre, l'Italia si è impegnata all'adozione di misuro specifiche, tra l'altro, in tema di "Identificazione e valutazione", da attuare "Mobilitando i soggetti interessati conformemente all'articolo 5.c, e ai fini di una migliore conoscenza dei propri paesaggi, ogni Parte si impegna a:
a) i -identificare i propri paesaggi, sull'insieme del proprio territorio;
ii- analizzarne le caratteristiche, nonché le dinamiche e le pressioni che li modificano;
iii -seguirne le trasformazioni;
b) valutare i paesaggi identificati, tenendo conto dei valori specifici che sono loro attributi dai soggetti e dalle popolazioni interessate; (..)".
Le misure richieste dalla Convenzione prevedono, inoltre, la fissazione di appositi obiettivi di qualità paesaggistica e l'attivazione degli "strumenti di intervento volti alla salvaguardia, alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi".
L'adempimento degli impegni assunti mediante la sottoscrizione della Convenzione richiede che tutto il territorio sia oggetto di pianificazione e di specifica considerazione dei relativi valori paesaggistici, anche per le parti che non siano oggetto di tutela quali beni paesaggistici. Nel sistema ordinamentale, ciò si traduce nei precetti contenuti all'articolo 135 del Codice di settore, il cui testo è stato integralmente riscritto dal decreto legislativo n. 63 del 2008, a seguito del recepimento della Convenzione europea del paesaggio.
In particolare, il comma 1 del predetto articolo 135 stabilisce che "Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: "piani paesaggistici" L'elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all'articolo 143., comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143".
Il medesimo articolo 135 disciplina, poi, la funzione e i contenuti del piano paesaggistico.
Ne deriva che, anche con riferimento al paesaggio non vincolato, le regioni sono tenute alla pianificazione paesaggistica, pur non essendo tenute a tale pianificazione necessariamente d'intesa con lo Stato.
Con l'ennesima proroga degli interventi del c.d. piano casa di cui alla legge regionale n. 21 del 2010, la Regione Calabria, invece, consente la realizzazione di una serie di interventi, aventi un impatto significativo, anche per sommatoria, sui paesaggi, vincolati e non:
- senza che tali interventi siano correttamente inquadrati nella pianificazione regionale, allo scopo di disciplinamela compatibilità con i singoli contesti;
- persino "in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali" (art. 2, comma 3 della legge regionale n. 21 del 2010).
E, pertanto, evidente come - a dispetto della generica clausola di salvaguardia contenuta all'articolo 2, comma 3, lett. h), della legge regionale in esame - la norma contestata realizzi quanto meno una manifesta elusione delle previsioni normative che impongono la pianificazione dei paesaggi quale strumento imprescindibile per la tutela dei valori che essi esprimono, in conformità alla Convenzione europea del paesaggio.
Per le ragioni illustrate, emerge la violazione degli artt. 9 e 117, primo comma, della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme interposte la legge n. 14 del 2006. di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, nonché gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, costituenti norme interposte rispetto all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
3. Come detto, la Regione Calabria ha già prorogato il termine per avvalersi del c.d. piano casa, perpetuando il regime "straordinario" introdotto per la prima volta nel 2010 e che consente sin da allora la realizzazione di nuove volumetrie in deroga alla pianificazione urbanistica.
Si è pure già evidenziato come il carattere straordinario della normativa relativa al cd. piano casa sia stato rimarcato anche dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 70 del 2020) e come tale finalità risulti del tutto snaturata mediante la sostanziale stabilizzazione, per oltre un decennio, delle deroghe consentite dalla legge regionale n. 21 del 2010 alla pianificazione urbanistica.
Il risultato è quello di assicurare a regime la possibilità di realizzare interventi di rilevante impatto sul territorio direttamente ex lege, in deroga agli strumenti di pianificazione urbanistica, e quindi del tutto al di fuori di qualsivoglia valutazione del singolo contesto territoriale.
Secondo l'intesa sul piano casa siglata nel 2009, infatti, "La disciplina introdotta dalle suddette leggi regionali avrà validità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi dalla loro entrata in vigore, salvo diverse determinazioni delle singole Regioni". Se pur è fatta salva una diversa volontà regionale, la espressa previsione di un termine, peraltro di soli 18 mesi, non consente di ipotizzare, legittimamente, una "messa a regime", da parte delle Regioni, di una normativa eccezionale e derogatoria alla pianificazione urbanistica.
Va sottolineato, al riguardo, che il Giudice amministrativo ha sempre rimarcato il carattere temporaneo del cd. piano casa., il quale, riflettendo l'esigenza di promuovere gli investimenti privati nel settore dell'edilizia, "è una disciplina che possiede natura eccezionale in merito a specifici interventi. In particolare, la normativa de qua è destinata adoperare per un arco temporalmente limitato" (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. Il, 10 giugno 2020, n. 2304).
Anche la normativa del c.d. "secondo piano casa", di cui all'art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto-legge n. 70 del 2011 (c.d. "decreto Sviluppo") si qualifica per il suo carattere straordinario e derogatorio. La giurisprudenza ha infatti evidenziato la sua "natura di norma di favore eccezionale (essendo diretta a regolare in termini diversi un minor numero di ipotesi rispetto a quelle ordinarie) ... tenendo conto del fatto che essa non è comunque suscettibile di applicazioni oltre gli scopi cui è preordinata, con la conseguenza che essa non può prevalere sulle regole che fissano standard o criteri inderogabili, tra cui il D.M n. 1444 del 1968, imponendo altresì il rispetto delle altre discipline richiamate" (Cass. pen. Sez. III, 20/11/2019, n. 2695; cfr. al riguardo anche Corte cost. n. 217 del 2020).
Tale lettura si impone, nell'ambito di un'interpretazione costituzionalmente orientata, in ragione del fatto che - in forza della norma di interpretazione autentica di cui all'articolo 1, comma 271, della legge 23 dicembre 2014, n. 190— le agevolazioni incentivanti ivi previste "prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i limiti di cui all'articolo 5, comma 11, secondo periodo, del citato decreto-legge n. 20 del 2011". La deroga della pianificazione urbanistica deve, infatti, considerarsi ammissibile per un tempo necessariamente limitato e non è ipotizzabile a regime, pena la destrutturazione dell'ordinato assetto del territorio, con conseguenze irragionevoli e contrarie al principio del buon andamento.
In molte Regioni, infatti, le disposizioni del piano casa hanno cessato ogni efficacia, proprio in virtù della loro natura essenzialmente "temporanea".
Ciò detto, non può non osservarsi come per il tramite della "stabilizzazione" della normativa sul c.d. piano casa, venga scardinato il principio fondamentale in materia di governo del territorio - sotteso all'intero impianto della legge urbanistica n. 1150 del 1942, in particolare a seguito delle modifiche apportatevi dalla legge n. 765 del 1967 - secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale.
In particolare, costituiscono principi fondamentali in materia di governo del territorio, che si impongono alla potestà legislativa concorrente spettante in materia alle Regioni a statuto ordinario, quelli posti dall'articolo articolo 41-quinquies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150; articolo aggiunto dall'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765.
Con le disposizioni ora richiamate, il legislatore statale ha infatti stabilito:
(i) che tutto il territorio comunale debba essere pianificato e che, dunque, ogni intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio debba inserirsi nel quadro dello strumento urbanistico comunale;
(ii) che "In tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia. di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o parcheggi." (ottavo comma) e che "I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della medesima" (nono comma); disposizione, quest'ultima, che ha trovato puntuale attuazione con l'emanazione del decreto ministeriale decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, recante "Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi Ira spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare affini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, 'i. 765".
In questo quadro, il legislatore nazionale ha previsto che la possibilità di assentire interventi in deroga alla pianificazione urbanistica sia ammessa soltanto in forza di una decisione assunta, caso per caso, a livello locale, sulla base di una ponderazione di interessi che tenga conto del contesto territoriale (cfr. articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 luglio 2001, n. 380).
Posta la predetta cornice di principio, non è consentito alle Regioni - al di fuori della normativa straordinaria e temporanea del cd. piano casa, avente copertura a livello statale - introdurre deroghe generalizzate ex lege alla pianificazione urbanistica e agli standard urbanistici di cui al decreto ministeriale n. 1444 del 1968, tanto più laddove tali deroghe generalizzate assumano carattere stabile nel tempo. Una tale opzione normativa viene, infatti, a snaturare del tutto la funzione propria della pianificazione urbanistica e degli standard fissati a livello statale, volti ad assicurare l'ordinato assetto del territorio.
E pertanto violato anche l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali statali in materia di governo del territorio stabiliti dall'articolo 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968; dall'articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall'art. 5, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011.
4. L'articolo 1 i della legge regionale in oggetto, nella misura in cui dispone la proroga dell'operatività temporale della legge regionale 11 agosto 2010, n. 21, si pone altresì in contrasto con il principio costituzionale di leale collaborazione, in quanto costituisce il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del percorso condivise con lo Stato che, come innanzi detto, ha condotto all'adozione del QTRP.
Va ricordato al riguardo che, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione "deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni", atteso che "la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti" (così in particolare, tra le tante, Corte cost. n. 31 del 2006). In particolare, la Corte ha chiarito che "Il principio di leale collaborazione, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto" (così ancora la sentenza richiamata).
La scelta della Regione Calabria di assumere iniziative unilaterali e reiterate, al di fuori del percorso di collaborazione già proficuamente avviato con lo Stato, si pone, pertanto, in contrasto anche con il predetto principio (cfr. Corte cost. n. 240 del 2020).
Per tutte le ragioni sopra esposte, la legge regionale, limitatamente alla disposizione contenuta nell’articolo 1, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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