Dettaglio Legge Regionale

Modifiche alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) e alla legge regionale 15 novembre 2007, n. 33 (Recupero dei sottotetti, dei porticati, di locali seminterrati e interventi esistenti e di aree pubbliche non autorizzate). (30-11-2021)
Puglia
Legge n.38 del 30-11-2021
n.150 del 3-12-2021
Politiche infrastrutturali
31-1-2022 / Impugnata
La legge regionale, che dispone proroghe dei termini di cui al comma 1 dell'articolo 5 e al comma 1 dell’articolo 7 della Legge regionale n. 14 del 2009, riguardante misure straordinarie e urgenti a sostegno dell'attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale, e al comma 3 dell’articolo 1 e al comma 1 dell’articolo 4 della legge regionale n. 33 del 2007 riguardante il recupero dei sottotetti, dei porticati, di locali seminterrati e interventi esistenti e di aree pubbliche non autorizzate, eccede dalle competenze regionali e presenta aspetti di illegittimità costituzionale per le ragioni di seguito indicate.
1. Il Capo I concerne “Modifiche alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell'attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale)”, ossia al piano casa pugliese.

In particolare:
l’art. 1 modifica il comma 1 dell'art. 5 della legge regionale n. 14 del 2009, estendendo il termine ivi previsto (1° agosto 2020) al 1° agosto 2021. Per effetto della novella, gli interventi previsti dagli articoli 3 e 4 della medesima legge possono essere ora realizzati su immobili esistenti alla data del 1 agosto 2021.
L’art. 2, invece, modifica il comma 1 dell'articolo 7 della legge regionale del 2009, estendendo il termine ivi previsto (31 dicembre 2021) fino al 31 dicembre 2022. Per effetto della novella, si proroga l’applicabilità del piano casa di un ulteriore anno, consentendo di presentare le relative istanze di realizzabilità degli interventi fino a tutto il 2022.
In via preliminare, si deve rilevare che, la legge sul piano casa del 2009, ai sensi del comma 2 dell’art. 1, “disciplina l'esecuzione di interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione, anche in deroga agli indici e parametri prescritti dalla pianificazione urbanistica locale, secondo le modalità e nei limiti previsti dalle norme seguenti”. Inoltre, la Regione Puglia, previa intesa con lo Stato a co-pianificare l’intero territorio regionale, ha approvato ai sensi degli artt. 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, con delibera n. 176 del 16 febbraio 2015, il piano paesaggistico regionale. In tale delibera si dà atto che “L’Accordo fra la Regione Puglia e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ai sensi dell’art. 143, comma 2 del Codice, è stato sottoscritto il giorno 16.01.2015; esso stabilisce i presupposti, le modalità ed i tempi per la revisione del piano, con particolare riferimento all’eventuale sopravvenienza di dichiarazioni emanate ai sensi degli articoli 140 e 141 o di integrazioni disposte ai sensi dell’art. 141 bis”. L’intesa tra Stato e Regione riguarda non solo l’elaborazione congiunta del piano, ma anche l’impegno ad intervenire congiuntamente, pro futuro, sul piano stesso non potendo essere introdotte dalle parti, in via unilaterale, modifiche o integrazioni. Proprio di recente la Corte ha evidenziato come le previsioni del Codice “che sanciscono l’impronta unitaria e la prevalenza della pianificazione paesaggistica … orientano non solo l’elaborazione del piano, ma anche le successive fasi di adeguamento e di revisione, in una prospettiva di più efficace garanzia dei valori protetti dall’art. 9 Cost. e di uniforme tutela sul territorio nazionale” (cfr. sentenza n. 257 del 2021).

Ciò premesso, con la legge regionale in esame, a più di 10 anni dall’emanazione della legge regionale pugliese sul piano casa, la Regione interviene ora con le norme richiamate al fine di prorogare la portata di misure straordinarie per un ulteriore anno, estendendone inoltre l’applicabilità anche a edifici di recentissima costruzione. Il legislatore regionale consente a priori interventi edilizi di ampliamento volumetrico in deroga agli strumenti urbanistici pur in assenza delle finalità sociali e ambientali perseguite dalle norme statali assentendo premialità gratuita e fine a sé stessa. Anche di recente, peraltro, il Giudice amministrativo ha sottolineato “l’indole eccezionale” dei benefici discendenti dal c.d. “piano casa” (cfr. Cons. Stato, ord. 942 del 2021).
Seppure la normativa statale sul piano casa, e la conseguente Intesa del 2009, non siano state abrogate non appare possibile invocarne, visto l’ indubbio carattere straordinario ed eccezionale, la loro operabilità, perciò stessa limitata nel tempo per sua natura, come evidenziato anche dalla giurisprudenza in materia. L’efficacia limitata nel tempo delle disposizioni non richiede infatti una abrogazione delle stesse, che sarebbe inutile proprio in ragione dello scadere degli effetti. Detta abrogazione invece appare necessaria proprio per le norme ad efficacia persistente, che altrimenti continuerebbero a produrre effetti pro futuro, in assenza di successive disposizioni abrogative.


E’ pur vero che l’art. 6 della legge regionale n. 14 del 2009 stabilisce dei limiti applicativi, tra i quali i centri storici e gli immobili culturali o ubicati in aree paesaggisticamente tutelate, ma ciò non basta a riportare l’estensione temporale e materiale della normativa regionale, qui censurata, nell’alveo della legittimità costituzionale. Se è vero che il Codice pone l’obbligo della co-pianificazione per i soli beni paesaggisticamente tutelati, è pur vero che la Regione Puglia ha scelto di co-pianificare con lo Stato l’intero territorio regionale, il cui paesaggio complessivo rischia di essere stravolto a seguito della ulteriore applicabilità del piano casa, prorogata ancora una volta dalla Regione. Nemmeno la recente abrogazione della lettera c-bis del comma 2 dell’art. 6 citato, ad opera dell'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 3 del 2021 (disposizione oggetto di rimessione alla Corte costituzionale da parte del Consiglio di Stato - cfr. sentenza n. 3820 del 2021 – e la cui abrogazione è stata oggetto di interlocuzione tra la Regione e il Governo in sede della proroga del piano casa pugliese disposta nel 2020), è sufficiente a sterilizzare le censure di incostituzionalità delle ulteriori disposizioni di proroga ed estensione materiale de quibus. La predetta norma, contenuta nella lettera c-bis, consentiva expressis verbis ai Comuni di derogare addirittura alle previsioni del piano paesaggistico. In ogni caso, anche dopo l’abrogazione della lettera c-bis del comma 2 dell’art. 6 della legge regionale del 2009, l’estensione della disciplina del piano casa, disposta dal legislatore pugliese, viola gli articoli 135, 143 e 145 del Codice, in quanto risulta compromessa quella “impronta unitaria della pianificazione paesaggistica”, assunta dalla normativa statale a “valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme [...] sull'intero territorio nazionale”, idonea a superare “la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali” (cfr. Cons. Stato, n. 3820 del 2021 cit., che richiama le sentenze della Corte costituzionale nn. 182 del 2006 e 11 del 2016).
La Regione Puglia, previa intesa con lo Stato a co-pianificare l’intero territorio regionale, ha approvato ai sensi degli artt. 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, con delibera n. 176 del 16 febbraio 2015, il piano paesaggistico regionale. In tale delibera si dà atto che “L’Accordo fra la Regione Puglia e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ai sensi dell’art. 143, comma 2 del Codice, è stato sottoscritto il giorno 16.01.2015; esso stabilisce i presupposti, le modalità ed i tempi per la revisione del piano, con particolare riferimento all’eventuale sopravvenienza di dichiarazioni emanate ai sensi degli articoli 140 e 141 o di integrazioni disposte ai sensi dell’art. 141 bis”.
L’intesa tra Stato e Regione riguarda quindi, com’è ovvio, non solo l’elaborazione congiunta del piano, ma anche l’impegno ad intervenire congiuntamente, pro futuro, sul piano stesso, non potendo essere introdotte dalle parti, in via unilaterale, modifiche o integrazioni. Proprio di recente la Corte ha evidenziato come le previsioni del Codice “che sanciscono l’impronta unitaria e la prevalenza della pianificazione paesaggistica … orientano non solo l’elaborazione del piano, ma anche le successive fasi di adeguamento e di revisione, in una prospettiva di più efficace garanzia dei valori protetti dall’art. 9 Cost. e di uniforme tutela sul territorio nazionale” (cfr. sentenza n. 257 del 2021).
Occorre invece evidenziare che la Regione Puglia, contestualmente alle norme che qui si contestano, ha approvato la legge regionale n. 39 del 2021, con la quale ha introdotto nell’ordinamento regionale, in via unilaterale e successivamente all’abrogazione della richiamata lettera c-bis del comma 2 dell’art. 6 della legge n. 14 del 2009, frutto di accordo con il Governo, di cui al paragrafo 1.4, una disposizione volta ad assentire le demo-ricostruzioni previste dal piano casa in aree paesaggisticamente vincolate in deroga alle NTA del PPTR del 2015, oltre che al d.P.R. n. 380 del 2001. Si tratta dell’art. 3 della legge regionale n. 39 del 2021, rubricato “Interventi in aree individuate dal PPTR”, con il quale viene ampliata la categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia, attraendo gli interventi straordinari di demo-ricostruzione del piano casa in aree vincolate con modifica di sagoma, sedime, prospetti e aumenti di volumi – diversamente da quanto stabilito dal legislatore statale – nelle ristrutturazioni edilizie, così da non incorrere nel divieto di nuove costruzioni previsto dalle NTA del PTPR in dette aree (cfr. articoli 63, 64, 65 e 66 NTA). Detta disposizione, che intende consentire gli interventi straordinari previsti dal piano casa pugliese (accogliendo un’interpretazione restrittiva della clausola di salvaguardia di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del TUE, come illustrato al paragrafo 2.1), subordinandoli alla sola deliberazione del Consiglio comunale, in aree individuate dal Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR), pur ponendo come condizione che “l’intervento sia conforme alle prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive dello stesso PPTR e che siano acquisiti nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni competenti alla tutela paesaggistica”, non fa che confermare , in una lettura sistematica con le qui in norme in esame, cui è strettamente collegata, l’ampliamento della portata del piano casa oggetto della presente impugnativa. Con tale disposizione, la Regione Puglia consente ancora una volta ai Comuni di applicare il piano casa in deroga alle prescrizioni del piano paesaggistico regionale, nonostante l’avvenuta abrogazione della precedente disposizione costituzionalmente illegittima, contenuta nell’art. 6, comma 2, lettera c-bis) della legge regionale n. 14 del 2009, disposizione abrogata dalla Regione Puglia con la legge regionale n. 21 del 2003 a seguito di uno specifico impegno assunto nei confronti del Governo dal Presidente del Consiglio regionale della Puglia con nota prot. 3725 del 25 febbraio 2021 in sede di interlocuzione sulla legge regionale n. 35 del 2020.
Con la sentenza n. 3820 del 2021 il Consiglio di Stato ha infatti promosso giudizio incidentale innanzi alla Corte costituzionale, sospettando di incostituzionalità la disposizione regionale di cui alla richiamata lettera c-bis), in quanto la stessa consente ai comuni di incidere sui presupposti per il rilascio della autorizzazione paesaggistica, in deroga alle previsioni di tutela stabilite dal Codice e dal piano paesaggistico, e ciò nonostante l’intervenuta abrogazione della norma, la quale trova applicazione per le fattispecie sorte mentre era in vigore. In tale occasione il Collegio ha richiamato i principi in materia, affermando che “a) secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, la tutela del paesaggio costituisce competenza riservata alla potestà legislativa esclusiva statale e limite inderogabile alla disciplina che le Regioni possono dettare nelle materie di loro competenza; b) il Codice definisce - con efficacia vincolante per tutti gli enti territoriali (sia le Regioni, sia gli Enti locali minori) e anche per gli enti pubblici operanti secondo specifiche normative di settore - i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio, secondo un modello di prevalenza delle prime, non alterabile nemmeno ad opera della legislazione regionale; c) la summenzionata previsione della legge regionale n. 14 del 2009, nella parte in cui prevedeva - prima della sua espressa abrogazione e ratione temporis ancora applicabile all’istanza edilizia all’esame - la derogabilità delle prescrizioni dei piani paesaggistici e in particolare di quelle contenute nel P.P.T.R. della Puglia, appare porsi in contrasto con l’art. 145, comma 3, del Codice, quale norma interposta in riferimento all’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., suscitando il relativo dubbio di legittimità costituzionale”.
La Regione Puglia, nonostante l’impegno assunto con il Governo sopra richiamato, e nelle more della decisione della Corte sulla questione sollevata dal Consiglio di Stato, introduce ora un’analoga disposizione, al fine di consentire ai Comuni di assentire gli interventi previsti dal piano casa anche nelle aree sottoposte a tutela paesaggistica, in deroga alle previsioni del piano paesaggistico.
Non vale a negare tale profilo di incostituzionalità la clausola di conformità dell’intervento alle prescrizioni, indirizzi, misure di salvaguardia e direttive dello stesso PPTR e della necessaria previa acquisizione dei nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni competenti alla tutela paesaggistica. Occorre infatti sottolineare che gli interventi di cui al piano casa pugliese non sono conformi a molte delle prescrizioni d’uso nonché alle misure di salvaguardia e utilizzazione previste dalla NTA del PTPR. Si richiamano, ad esempio: l’art. 45 (Prescrizioni per i “Territori costieri” e i “Territori contermini ai laghi”), che vieta nei territori costieri e contermini ai laghi la realizzazione di qualsiasi nuova opera edilizia, fatta eccezione per le opere finalizzate al recupero/ripristino dei valori
paesistico/ambientali; gli articoli 62 (Prescrizioni per i boschi), 63 (Misure di salvaguardia e di utilizzazione per l’Area di rispetto dei boschi), 64 (Prescrizioni per le “Zone umide Ramsar”), 65 (Misure di salvaguardia e di utilizzazione per le “Aree umide”) e 66 (Misure di salvaguardia e di utilizzazione per “Prati e pascoli naturali” e “Formazioni arbustive), che escludono in tali aree le nuove edificazioni.
Ciò significa che la norma regionale punta in realtà a superare, in concreto, le previsioni di piano, astrattamente dichiarate non superabili, al fine di consentire ai comuni di realizzare i predetti interventi anche se in deroga alle NTA di piano. Tale intento è reso palese proprio dal richiamo al parere del Servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei Lavori pubblici dell’8 luglio 2021: il richiamo è volto a qualificare gli interventi di demo-ricostruzione con modifica di sagoma, prospetti, ecc., eseguiti su immobili sottoposti a tutela, quali meri interventi di ristrutturazione edilizia, invece che di nuova costruzione, come previsto dalla disciplina statale. Ne deriva che la Regione mira a consentire l’effettuazione di tali interventi in tutte le aree nelle quali le NTA del PTPR non consentono le nuove costruzioni. Le nuove costruzioni possono riguardare anche aree agricole ricadenti in contesti paesaggisticamente vincolati ai sensi dell’art. 136 del Codice, per i quali il PPTR prevede, all’art. 78, comma 4, delle NTA, l’obbligo per gli enti locali di disciplinare “gli interventi edilizi ed il consumo di suolo anche attraverso l’individuazione di lotti minimi di intervento e limiti volumetrici differenziati a seconda delle tessiture e delle morfologie agrarie storiche prevalenti”; le norme regionali possono perciò costituire una seria minaccia per la tutela dei territori agricoli. Anche di recente la Corte costituzionale, intervenendo sulla normativa del piano casa campano, ha ribadito i principi evocabili in materia e in particolare che “al legislatore regionale è impedito […] adottare normative che deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso stretto” (sentenza n. 261 del 2021, che richiama le sentenze nn. 74 e 141 del 2021).
In tale occasione la Corte ha infatti ricordato che “la normativa sul Piano casa, pur nella riconosciuta finalità di agevolazione dell’attività edilizia, non può far venir meno la natura cogente e inderogabile delle previsioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, adottate dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», trattandosi di competenza che «si impone al legislatore regionale che eserciti la propria competenza nella materia “edilizia ed urbanistica”» (sentenza n. 86 del 2019).
Il piano paesaggistico, infatti, è «strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione non solo ai fini della salvaguardia e valorizzazione dei beni paesaggistici, ma anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dell’uso consapevole del suolo, in modo da poter consentire l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio» (sentenza n. 172 del 2018)”.
Sotto tale profilo, le norme in esame sono illegittime in quanto, in combinato disposto con l’art. 3 della legge regionale n. 39 del 2021, consentono di derogare al PPTR approvato d’intesa con lo Stato, in violazione degli articoli 135, 143, 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, da considerare norme interposte rispetto all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., oltre che del principio di leale collaborazione, introducendo una disposizione abrogata su impegno assunto dalla Regione e derogando in via unilaterale al piano paesaggistico approvato d’intesa con lo Stato.
Risulta opportuno evidenziare che la Corte costituzionale, di recente, pur non entrando nel merito delle censure poste dal Governo sulla proroga del piano casa sardo, ha stigmatizzato la prassi delle proroghe successive nel tempo rimarcando che “Il prolungato succedersi delle proroghe di una disciplina derogatoria, in contrasto con le esigenze di una regolamentazione organica e razionale dell’assetto del territorio, presenta un innegabile rilievo”, trattandosi di un dato “meritevole di attenta considerazione” (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 170 del 2021).
Ancora più di recente la Corte ha dichiarato l’illegittimità della ennesima proroga del piano casa calabrese, censurata dal Governo in quando, nel consentire interventi edilizi straordinari, in deroga agli strumenti urbanistici, ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla legge regionale calabrese sul piano casa del 2010, e nel prorogarne nel tempo la realizzabilità, in riferimento anche a immobili edificati più recentemente, senza procedere, preliminarmente, alla necessaria concertazione e condivisione con gli organi statali competenti, la Regione avrebbe violato la competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio e il principio di leale collaborazione nonché disatteso l'impegno assunto nei confronti dello Stato di proseguire il percorso di collaborazione, determinando una riduzione dello standard di tutela del paesaggio che la Costituzione assegna allo Stato (cfr. sentenza n. 219 del 2021, paragrafo 1.2. considerato in diritto).
In tale occasione la Corte ha ritenuto le questioni fondate in riferimento a tutte le disposizioni impugnate e a tutti i parametri evocati, sottolineando che “Il piano paesaggistico regionale - le cui prescrizioni sono «cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province» e «immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici» (art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004) - è infatti «strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione non solo ai fini della salvaguardia e valorizzazione dei beni paesaggistici, ma anche nell'ottica dello sviluppo sostenibile e dell'uso consapevole del suolo, in modo da poter consentire l'individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio» (sentenza n. 172 del 2018, richiamata dalla sentenza n. 86 del 2019).
Per tale motivo, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che è necessario salvaguardare «la complessiva efficacia del piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali (sentenza n. 182 del 2006)» (sentenza n. 74 del 2021)” (cfr. punto 4.1. considerato in diritto).
Sempre nella sentenza in commento la Corte ha affermato “È, pertanto, evidente che l'introduzione delle disposizioni regionali impugnate, che, come si è detto, consentono interventi edilizi straordinari, in deroga agli strumenti urbanistici, ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla citata legge reg. Calabria n. 21 del 2010 e ne prorogano di un anno la realizzabilità, in riferimento anche a immobili edificati più recentemente, senza seguire le modalità procedurali collaborative concordate e senza attendere l'approvazione congiunta del piano paesaggistico regionale, vìola l'impegno assunto dalla Regione in ordine alla condivisione del «governo delle trasformazioni del proprio territorio e congiuntamente del paesaggio» (art. 1, comma 1, del QTRP) e, quindi, il principio di leale collaborazione cui si informano le norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio e determina una lesione della sfera di competenza statale in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali»” (paragrafo 4.2. considerato in diritto).
La Corte ha tratto dal proprio decisum un ulteriore corollario, laddove afferma: “Ciò comporta un'ulteriore conseguenza, confortata da quanto questa Corte ha recentemente affermato con riguardo al potere di pianificazione urbanistica, in armonia con il giudice amministrativo, e cioè che esso «"non è funzionale solo all'interesse all'ordinato sviluppo edilizio del territorio [...], ma è rivolto anche alla realizzazione contemperata di una pluralità di differenti interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti" (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 9 maggio 2018, n. 2780)» (sentenza n. 202 del 2021)”.
Le argomentazioni della Corte appaiono ancora più efficaci ove, mutatis mutandis, la proroga del piano casa sia disposta da una Regione, come la Puglia, nella quale l’attività di copianificazione abbia già comportato l’approvazione del piano paesaggistico regionale, elaborato congiuntamente a seguito della stipula del Protocollo d’intesa e della successiva attività preordinata alla l’elaborazione del piano3. Ciò in quanto, in questo caso, la scelta unilaterale della Regione di assentire interventi “straordinari” in deroga ai piani urbanistici, attraverso la deroga a questi ultimi si traduce in una deroga al piano paesaggistico già approvato d’intesa con lo Stato, al quale detti strumenti, sotto-ordinati, hanno l’obbligo di conformarsi e adeguarsi. E ciò nonostante le parti si siano impegnate anche ad agire congiuntamente, pro futuro, ove si ritenga opportuno introdurre modifiche o integrazioni al piano approvato. Ciò peraltro anche alla luce del già illustrato art. 3 della legge regionale n. 39 del 2021, ove si consentono gli interventi straordinari del piano casa nelle aree paesaggisticamente tutelate, in deroga alle NTA del PPTR.
L’art. 145 del Codice, norma interposta in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, reca la disciplina del “Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione”. Come evidenziato dal Giudice amministrativo (cfr. sentenza n. 3820 del 2021 cit.), i principi cardine ai quali detto coordinamento si ispira sono:
a) il riconoscimento in capo all’organo ministeriale del potere di individuare le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio;
b) il rilievo nazionale e accentrato dell’esercizio del potere in questione, con precipue finalità di indirizzo della pianificazione e di direzione ai fini del conferimento di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti locali;
c) il principio del coordinamento dei piani paesaggistici rispetto agli altri strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonché rispetto a piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico;
d) l’espressa inderogabilità delle previsioni contenute nei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 del medesimo Codice da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico; l’espressa cogenza delle previsioni medesime rispetto agli strumenti urbanistici degli Enti territoriali minori (comuni, città metropolitane e province); l’espressa prevalenza delle stesse sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici e sulle normative di settore;
e) l’obbligo di conformazione e di adeguamento degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale degli Enti locali minori alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale.
Appare evidente che tali principi sono in toto violati dalla messa a regime, da parte del legislatore regionale, di una disciplina che consente trasformazioni del territorio in deroga agli strumenti urbanistici, i quali sono gli strumenti attraverso i quali il piano paesaggistico, di valenza gerarchicamente subordinata, opera concretamente nel territorio. La legge pugliese fa salvo, infatti,
solamente il rispetto delle altezze massime e delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici e non contiene alcuna norma di salvaguardia delle prescrizioni del piano paesaggistico, che limiti le deroghe agli strumenti urbanistici all’interno di tali previsioni. La possibilità di derogare agli strumenti urbanistici, i quali hanno l’obbligo di conformazione e adeguamento al piano paesaggistico, in una Regione (come la Puglia), nella quale il piano paesaggistico è già stato approvato, comporta, procedendo a ritroso, la deroga anche a quest’ultimo. Occorre peraltro evidenziare che anche nelle fasi di adeguamento e conformazione degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico deve essere assicurata la partecipazione del Ministero preposto alla tutela del paesaggio. Diversamente da quanto stabilito dal Codice e dagli accordi intercorsi tra le parti, esplicitati anche mediante approvazione del piano paesaggistico, la Regione Puglia ha invece intrapreso l’iniziativa del tutto autonoma di prorogare ancora una volta una normativa straordinaria, i cui effetti sono destinati, inevitabilmente, a riverberarsi sulla disciplina pianificatoria condivisa nel piano approvato, anche a scapito della stessa.
Le disposizioni sono quindi manifestamente affette da illegittimità costituzionale, secondo gli specifici profili considerati di seguito.
Lo stesso art. 1 della legge regionale n. 14 del 2009, recante il piano casa pugliese, definisce l’intervento normativo quale straordinario e temporaneo.
La Corte costituzionale, intervenuta al riguardo, non ha mancato di rilevare come il c.d. piano casa si configuri alla stregua di “misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio predisposta nel 2008 dal legislatore statale, contenuta nell’art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133. In particolare l’art. 11, comma 5, lettera b), prevedeva che detto piano potesse realizzarsi anche attraverso possibili «incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444». Nel 2009, per dare attuazione a tale norma fece seguito l’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, stipulata in data 1° aprile 2009, che ha consentito ai legislatori regionali (...) aumenti volumetrici (pari al 20 per cento o al 35 per cento in caso di demolizione e ricostruzione) a fronte di un generale miglioramento della qualità architettonica e/o energetica del patrimonio edilizio esistente.” (Corte cost. n. 70 del 2020; cfr. anche, ancor più nettamente, Corte cost. n. 217 del 2020).
Il carattere straordinario e temporaneo del piano casa pare tuttavia essere stato snaturato dalla Regione, la quale, attraverso le continue proroghe apportate con le leggi regionali che si sono susseguite nel tempo ha determinato la sostanziale stabilizzazione, per oltre un decennio, delle deroghe consentite dalla legge n. 14 del 2009, con il risultato di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi assentibili in deroga alla pianificazione urbanistica e territoriale. Al riguardo, non pare inutile osservare come la Corte costituzionale abbia più volte rimarcato che le norme regionali che dispongono proroghe, successive nel tempo, al termine di efficacia inizialmente previsto hanno l’effetto di consolidare nel tempo l’assetto “in deroga” (cfr. ad
esempio, in materia di tutela della concorrenza, Corte cost. n. 233 del 2020: “I principi garantiti dalla normativa interna e sovranazionale possono risultare compromessi da una pluralità di proroghe che, anche se di breve durata, realizzino sommandosi tra di loro un’alterazione del mercato, ostacolando, senza soluzione di continuità, l’accesso al settore di nuovi operatori”). Va, poi, ricordato che non assume alcun rilievo la circostanza che il Governo abbia rinunciato alla impugnativa della precedente legge regionale di proroga (n. 35 del 2020), a seguito dell’attuazione dell’impegno, da parte del legislatore regionale pugliese, di disporre l’abrogazione della sopra citata lettera c-bis del comma 2 dell’articolo 6 della legge regionale n. 9 del 2014, sia perché il contrasto con i principi costituzionali discende proprio dalla trasformazione di una misura eccezionale e temporanea in una disciplina a regime, sia perché, comunque, la Corte costituzionale ha da tempo chiarito che “nei giudizi in via principale non si applica l’istituto dell’acquiescenza, atteso che la norma impugnata, anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di una norma anteriore non impugnata, ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere” (cfr. sentenza Corte cost. n. 56 del 2020, che richiama le precedenti sentenze n. 41 del 2017, n. 231 e n. 39 del 2016).
La scelta così operata dalla Regione presenta delle criticità rispetto alla disciplina di tutela dei beni paesaggistici contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, risultando invasiva della potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
Gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia sono invero collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento che dovrebbe essere costituito dalle previsioni del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore, e addirittura consentiti in deroga ad esso (per mezzo del già richiamato art. 3 della legge regionale n. 39 del 2021). Soltanto a quest’ultimo strumento, elaborato d’intesa tra Stato e Regione, spetta infatti di stabilire, per ciascuna area tutelata, le cd. prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e di individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
La legge regionale n. 14 del 2009 - la cui operatività è stata prorogata dal Capo I della legge in oggetto - consentendo la deroga agli strumenti urbanistici, i quali hanno l’obbligo di conformazione e adeguamento al piano paesaggistico, contrasta, dunque, con la scelta del legislatore statale di rimettere alla pianificazione la disciplina d’uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli) ai fini dell’autorizzazione degli interventi, come esplicitata negli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturale e del paesaggio, costituenti norme interposte rispetto al parametro costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione. Per mezzo del già richiamato art. 3 della legge regionale n. 39 del 2021, gli interventi del piano casa - oggetto di proroga - sono addirittura assentibili in deroga al piano paesaggistico, ricorrendo all’artificiosa estensione della categoria delle ristrutturazioni edilizie che consentirebbe il rispetto solo formale delle NTA del PPTR (divieto di nuove costruzioni) che invece sono sostanzialmente derogate. Al riguardo, occorre tenere presente che la parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio delinea un sistema organico di tutela paesaggistica, inserendo i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell’autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione. Tale pianificazione concordata prevede, per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni. Il legislatore nazionale, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia, ha assegnato dunque al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono infatti l’inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l’immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008).
Si tratta di una scelta di principio la cui validità e importanza è già stata affermata più volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell’impugnazione di leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei Comuni e delle Regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno strumento di pianificazione sovracomunale, definito d’intesa tra lo Stato e la Regione. La Corte ha, infatti, affermato l’esistenza
di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86
del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
Questo profilo di illegittimità non viene meno in relazione alla circostanza per cui, con riferimento agli immobili situati nelle aree paesaggisticamente vincolate, si dispone la non operatività del piano casa (ai sensi dell’art. 6 della legge del 2009), in particolare alla luce della disposizione – contenuta in un’altra legge regionale – di cui all’art. 3 della legge n. 39 del 2021, della quale si sono ampiamente illustrati gli effetti derogatori alle norme di piano.
La Regione Puglia ha infatti scelto di co-pianificare con lo Stato tutto il territorio regionale, e non solo i beni paesaggisticamente vincolati. Conseguentemente, il piano paesaggistico pugliese, strumento di pianificazione di vertice dell’intero territorio regionale, è frutto dell’attività di elaborazione congiunta tra la Regione e lo Stato, a cui la Regione sceglie ancora una volta, unilateralmente, di venire meno.
Viene così compromessa la necessità imprescindibile di una valutazione complessiva della trasformazione del paesaggio, come espressa nell’ambito del Piano paesaggistico, adottato previa intesa con lo Stato.
I principi ora illustrati trovano costante affermazione nella giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, anche di recente, ha ribadito che “la circostanza che la Regione sia intervenuta a dettare una deroga ai limiti per la realizzazione di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure con riguardo alle pertinenze, in deroga agli strumenti urbanistici, senza seguire l’indicata modalità procedurale collaborativa e senza attendere l’adozione congiunta del piano paesaggistico regionale, delinea una lesione della sfera di competenza statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», che si impone al legislatore regionale, sia nelle Regioni a statuto speciale (sentenza n. 189 del 2016) che a quelle a statuto ordinario come limite all’esercizio di competenze primarie e concorrenti” (Corte cost. n. 86 del 2019).
Come pure evidenziato dalla Corte, “Quanto detto non vanifica le competenze delle regioni e degli enti locali, «ma è l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali» (sentenza n. 182 del 2006; la medesima affermazione è presente anche nelle successive sentenze n. 86 del 2019, n. 68 e n. 66 del 2018, n. 64 del 2015 e n. 197 del 2014)” (Corte cost. n. 240 del 2020). Mediante la legge in esame, la Regione Puglia, pur avendo acconsentito alla pianificazione congiunta dell’intero territorio regionale con lo Stato, si sottrae ora ingiustificatamente al proprio obbligo, esercitando una funzione di disciplina del paesaggio e dei beni paesaggistici in modo del tutto autonomo, nonostante la co-pianificazione costituisca un principio inderogabile posto dal Codice e al quale la Regione si è, inoltre, specificamente obbligata, nell’ambito del percorso condiviso con il Ministero della cultura e tradottosi nell’approvazione del piano paesaggistico.
Le osservazioni ora svolte non sono affatto smentite dai richiamati limiti all’applicabilità del piano casa disposti dall’articolo 6 della legge regionale del 2009, né dall’intervenuta abrogazione della lettera c-bis del comma 2 del medesimo art. 6 che consentiva expressis verbis ai comuni di derogare alle disposizioni del piano paesaggistico.
E’, infatti, evidente come in una Regione nella quale la co-pianificazione paesaggistica è estata estesa all’intero territorio regionale, conformemente alle previsioni degli articoli 135 e 143 del Codice viene a essere completamente neutralizzato il fondamentale pilastro della tutela paesaggistica previsto dalla legislazione statale, ossia il piano paesaggistico. La legge regionale consente infatti la realizzazione degli interventi nonostante l’approvazione del piano paesaggistico regionale, frutto di elaborazione congiunta con lo Stato.
In altri termini, la Regione esercita surrettiziamente essa stessa, con legge, una funzione di pianificazione del paesaggio, stabilendo la compatibilità di massima di una serie di interventi, senza
alcuna valutazione specifica dei singoli contesti e senza che sia possibile valutare adeguatamente l’effetto cumulativo dei singoli interventi. E ciò nonostante abbia approvato il piano paesaggistico,
previa intesa con lo Stato riferita a tutto il territorio regionale.
Alla luce di tutto quanto sopra illustrato, emerge la violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Inoltre, l’abbassamento del livello della tutela determinato dall’articolo 1 della legge regionale in oggetto comporta la violazione anche dell’art. 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007), per violazione dei parametri interposti costituiti dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore.

Come detto, la disciplina derogatoria opera in relazione al paesaggio non vincolato, pur oggetto di co-pianificazione con lo Stato, costituente oggetto di tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14. La Convezione prevede infatti, all’articolo 1, lett. a), che il termine «paesaggio» “designa una determinata parte di territorio, cosi come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Oggetto della protezione assicurata dalla Convenzione sono, quindi, tutti i paesaggi, e non solo i beni soggetti a vincolo paesaggistico.
Con riferimento ai paesaggi, così definiti, la Convenzione prevede, all’articolo 5, che “Ogni Parte si impegna a:
a) riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità;
b) stabilire e attuare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione dei paesaggi, tramite l'adozione delle misure specifiche di cui al seguente articolo 6;
c) avviare procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche menzionate al precedente capoverso b);
d) integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un'incidenza diretta o indiretta sul paesaggio.”
In forza del successivo articolo 6, inoltre, l’Italia si è impegnata all’adozione di misure specifiche, tra l’altro, in tema di “Identificazione e valutazione”, da attuare “Mobilitando i soggetti interessati conformemente all'articolo 5.c, e ai fini di una migliore conoscenza dei propri paesaggi, ogni Parte si impegna a:
a) i identificare i propri paesaggi, sull’insieme del proprio territorio;
ii) analizzarne le caratteristiche, nonché le dinamiche e le pressioni che li modificano; iii seguirne le trasformazioni;
b) valutare i paesaggi identificati, tenendo conto dei valori specifici che sono loro attributi dai soggetti e dalle popolazioni interessate; (…)”.
Le misure richieste dalla Convenzione prevedono, inoltre, la fissazione di appositi obiettivi di qualità paesaggistica e l’attivazione degli “strumenti di intervento volti alla salvaguardia, alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi”. L’adempimento degli impegni assunti mediante la sottoscrizione della Convenzione richiede che tutto il territorio sia oggetto di pianificazione e di specifica considerazione dei relativi valori paesaggistici, anche per le parti che non siano oggetto di tutela quali beni paesaggistici. Nel sistema ordinamentale, ciò si traduce nei precetti contenuti all’articolo 135 del Codice di settore, il cui testo è stato integralmente riscritto dal decreto legislativo n. 63 del 2008, a seguito del recepimento della Convenzione europea del paesaggio.
In particolare, il comma 1 del predetto articolo 135 stabilisce che “Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: "piani paesaggistici". L'elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all'articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143”.
Il medesimo articolo 135 disciplina, poi, la funzione e i contenuti del piano paesaggistico.
Ne deriva che, anche con riferimento al paesaggio non vincolato, le Regioni sono tenute alla pianificazione paesaggistica, pur non essendo tenute a tale pianificazione necessariamente d’intesa con lo Stato.
Con l’ennesima proroga degli interventi del c.d. piano casa di cui alla legge regionale n. 14 del 2009, la Regione Puglia, invece, consente la realizzazione di una serie di interventi, aventi un impatto significativo, anche per sommatoria, sui paesaggi, vincolati e non:
- senza che tali interventi siano correttamente inquadrati nella pianificazione regionale, allo scopo di disciplinarne la compatibilità con i singoli contesti;
- con il solo limite del rispetto delle altezze massime e delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici (cfr. articoli 3, comma 1, lettera b) e 4, comma 3 della legge regionale n. 14 del 2009). È, pertanto, evidente come la norma contestata realizzi quanto meno una manifesta elusione delle previsioni normative che impongono la pianificazione dei paesaggi quale strumento imprescindibile per la tutela dei valori che essi esprimono, in conformità alla Convenzione europea del paesaggio.
Per le ragioni illustrate, emerge la violazione degli artt. 9 e 117, primo comma, della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme interposte la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, nonché gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, costituenti norme interposte rispetto all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.

La Regione Puglia ha già prorogato il termine per avvalersi del c.d. piano casa, perpetuando il regime “straordinario” introdotto per la prima volta nel 2009 e che consente sin da allora la realizzazione di nuove volumetrie in deroga alla pianificazione urbanistica. Si è pure già evidenziato come il carattere straordinario della normativa relativa al cd. Piano casa sia stato rimarcato anche dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 70 del 2020) e come tale finalità risulti del tutto snaturata mediante la sostanziale stabilizzazione, per oltre un decennio, delle deroghe consentite dalla legge regionale n. 14 del 2009 alla pianificazione urbanistica. Il risultato è quello di assicurare a regime la possibilità di realizzare interventi di rilevante impatto sul territorio direttamente ex lege, in deroga agli strumenti di pianificazione urbanistica, e quindi del tutto al di fuori di qualsivoglia valutazione del singolo contesto territoriale. Secondo l’intesa sul piano casa siglata nel 2009, infatti, “La disciplina introdotta dalle suddette leggi regionali avrà validità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi dalla loro entrata in vigore, salvo diverse determinazioni delle singole Regioni”. Se pur è fatta salva una diversa volontà regionale, la espressa previsione di un termine, peraltro di soli 18 mesi, non
consente di ipotizzare, legittimamente, una “messa a regime”, da parte delle Regioni, di una normativa eccezionale e derogatoria alla pianificazione urbanistica.
Va sottolineato, al riguardo, che il Giudice amministrativo ha sempre rimarcato il carattere temporaneo del cd. piano casa, il quale, riflettendo l’esigenza di promuovere gli investimenti privati
nel settore dell’edilizia, “è una disciplina che possiede natura eccezionale in merito a specifici interventi. In particolare, la normativa de qua è destinata ad operare per un arco temporalmente limitato” (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 10 giugno 2020, n. 2304).
Anche la normativa del c.d. “secondo piano casa”, di cui all’art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto-legge n. 70 del 2011 (c.d. “decreto Sviluppo”) si qualifica per il suo carattere straordinario e derogatorio. La giurisprudenza ha infatti evidenziato la sua “natura di norma di favore eccezionale
(essendo diretta a regolare in termini diversi un minor numero di ipotesi rispetto a quelle ordinarie)
… tenendo conto del fatto che essa non è comunque suscettibile di applicazioni oltre gli scopi cui è
preordinata, con la conseguenza che essa non può prevalere sulle regole che fissano standard o criteri inderogabili, tra cui il D.M. n. 1444 del 1968, imponendo altresì il rispetto delle altre discipline richiamate” (Cass. pen. Sez. III, 20/11/2019, n. 2695; cfr. al riguardo anche Corte cost. n.
217 del 2020).
Tale lettura si impone, nell’ambito di un’interpretazione costituzionalmente orientata, in ragione del fatto che – in forza della norma di interpretazione autentica di cui all’articolo 1, comma 271, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 – le agevolazioni incentivanti ivi previste “prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i limiti di cui all’articolo 5, comma 11, secondo periodo, del citato decreto-legge n. 20 del 2011”. La deroga della pianificazione urbanistica deve, infatti, considerarsi ammissibile per un tempo necessariamente limitato e non è ipotizzabile a regime, pena la destrutturazione dell’ordinato assetto del territorio, con conseguenze irragionevoli e contrarie al principio del buon andamento.
In molte Regioni, infatti, le disposizioni del piano casa hanno cessato ogni efficacia, proprio in virtù della loro natura essenzialmente “temporanea”.
Ciò detto, non può non osservarsi come per il tramite della “stabilizzazione” della normativa sul c.d. piano casa venga scardinato il principio fondamentale in materia di governo del territorio – sotteso all’intero impianto della legge urbanistica n. 1150 del 1942, in particolare a seguito delle modifiche apportatevi dalla legge n. 765 del 1967 – secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale.
In particolare, costituiscono principi fondamentali in materia di governo del territorio, che si impongono alla potestà legislativa concorrente spettante in materia alle Regioni a statuto ordinario, quelli posti dall’articolo articolo 41-quinquies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150; articolo aggiunto dall’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765.
Con le disposizioni ora richiamate, il legislatore statale ha infatti stabilito:
(i) che tutto il territorio comunale debba essere pianificato e che, dunque, ogni intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio debba inserirsi nel quadro dello strumento urbanistico comunale;
(ii) che “In tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi.” (ottavo comma) e che “I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della medesima” (nono comma); disposizione, quest’ultima, che ha trovato puntuale attuazione con l’emanazione del decreto ministeriale decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, recante “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765”.
In questo quadro, il legislatore nazionale ha previsto che la possibilità di assentire interventi in deroga alla pianificazione urbanistica sia ammessa soltanto in forza di una decisione assunta, caso per caso, a livello locale, sulla base di una ponderazione di interessi che tenga conto del contesto territoriale (cfr. articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 luglio 2001, n. 380). Posta la predetta cornice di principio, non è consentito alle Regioni – al di fuori della normativa straordinaria e temporanea del cd. piano casa, avente copertura a livello statale – introdurre deroghe generalizzate ex lege alla pianificazione urbanistica e agli standard urbanistici di cui al decreto ministeriale n. 1444 del 1968, tanto più laddove tali deroghe generalizzate assumano carattere stabile nel tempo. Una tale opzione normativa viene, infatti, a snaturare del tutto la funzione propria della pianificazione urbanistica e degli standard fissati a livello statale, volti ad assicurare l’ordinato assetto del territorio.
Come già anticipato la Corte, nella sentenza più volte citata sul piano casa calabrese, ha sottolineato come il potere di pianificazione urbanistica, in armonia con il giudice amministrativo, “non è funzionale solo all'interesse all'ordinato sviluppo edilizio del territorio [...], ma è rivolto anche alla realizzazione contemperata di una pluralità di differenti interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti”.
È pertanto violato anche l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali statali in materia di governo del territorio stabiliti dall’articolo 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968; dall’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 5, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011.

Le disposizioni de quibus, nella misura in cui dispongono l’estensione dell’operatività della legge regionale n. 14 del 2009, si pongono altresì in contrasto con il principio costituzionale di leale collaborazione, in quanto la proroga costituisce il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del percorso condiviso con lo Stato che, come innanzi detto, ha condotto all’approvazione del piano paesaggistico regionale. Va ricordato al riguardo che, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione “deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni”, atteso che “la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti” (così in particolare, tra le tante, Corte cost. n. 31 del 2006). In particolare, la Corte ha chiarito che “Il principio di leale collaborazione, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto” (così ancora la sentenza richiamata).
La scelta della Regione Puglia di assumere iniziative unilaterali e reiterate, al di fuori del percorso di collaborazione già proficuamente avviato con lo Stato, viola il principio di leale collaborazione cui si informano le norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio e determina una lesione della sfera di competenza statale in materia di tutela del paesaggio (cfr. Corte cost. nn. 240 del 2020 e 219 del 2021).

2. Il Capo II (art. 3) della legge regionale n. 38 del 2021 apporta modifiche alla legge regionale 15 novembre 2007, n. 33, concernente “Recupero dei sottotetti, dei porticati, di locali seminterrati e interventi esistenti e di aree pubbliche non autorizzate”.
Per effetto delle novelle, che sostituiscono la data “30 giugno 2020” con “30 giugno 2021” negli articoli 1, comma 3, lettera a) e 4, comma 1, della legge regionale del 2007, la normativa regionale viene estesa agli edifici realizzati fino al 30 giugno 2021, prorogando di un ulteriore anno la portata applicativa della disciplina (si tratta della quinta proroga disposta nel corso degli anni dalla regione Puglia).
La legge del 2007 consente il recupero delle volumetrie del piano sottotetto esistente ai fini connessi con l'uso residenziale, il recupero dei porticati a piano terra o piano rialzato, da destinare prioritariamente a uso terziario e/o commerciale nonché il recupero dei locali seminterrati da destinare a uso residenziale e dei locali seminterrati e interrati da destinare a uso terziario e/o commerciale, nonché a usi strettamente connessi con le residenze. Tali interventi sono consentiti negli edifici destinati in tutto o in parte a residenza e/o ad attività commerciale e terziaria, alla sola condizione che per essi negli strumenti urbanistici comunali vigenti non sia espressamente vietato l'intervento di ristrutturazione.
La normativa regionale non prevede limiti generali di non applicabilità della suddetta disciplina. L’art. 3 si limita a prevedere che i comuni possono disporre motivatamente l'esclusione di parti del territorio comunale dall'applicazione della legge in relazione a caratteristiche storicoculturali, morfologiche, paesaggistiche e alla funzionalità urbanistica nonché l'esclusione di determinate tipologie di edifici o di interventi. In ogni caso, per il recupero dei locali seminterrati a uso residenziale, l’applicabilità della normativa è obbligatoria e il comune può solo definire condizioni e modalità del recupero.
L’art. 4 della legge del 2007 detta le condizioni per il recupero abitativo dei sottotetti esistenti (per effetto della novella, prorogati al giugno 2021), ammettendolo anche per gli edifici realizzati abusivamente, se previamente sanati, calcolando direttamente le altezze medie necessarie e richiamando il rispetto delle sole norme che disciplinano il condominio negli edifici.
L’art. 5 consente l'apertura di porte, finestre, lucernari e abbaini alla sola condizione che siano rispettati i caratteri formali e strutturali dell'edificio.
Sebbene la Regione sostenga che non sia rinvenibile nella normativa statale il principio in base al quale le misure edilizie incentivanti non si applicano agli abusi edilizi oggetto di sanatoria, nell’Intesa sul piano casa del 2009 si afferma testualmente che “Tali interventi edilizi non possono riferirsi ad edifici abusivi o nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta”. Ne discende pertanto che è principio condiviso l’inapplicabilità di misure edilizie premiali o incentivanti a favore di edifici abusivamente realizzati, benché gli stessi siano stati successivamente sanati.
L’art. 7 della legge del 2007 consente il recupero dei porticati, alla sola condizione che siano rispettate le normali condizioni di abitabilità o di agibilità previste dai vigenti regolamenti di igiene e consentendo comunque, in deroga alle vigenti norme, una altezza minima di piano diversa, comunque non inferiore a 2,70 metri.
L’art. 8 detta le condizioni alle quali consentire l’utilizzo residenziale dei piani seminterrati e terziario e commerciale e dei piani seminterrati e interrati, a condizione che siano rispettate le prescrizioni dei vigenti regolamenti edilizi.
Le novelle estendono i recuperi volumetrici sopra descritti agli edifici, anche abusivamente realizzati, fino alla data del 30 giugno 2021, anziché alla precedente data del 30 giugno 2020, con ciò estendendo l’ambito applicativo della legge che può operare in deroga agli strumenti urbanistici e anche agli standard urbanistici di cui al DM 1444 del 1968. L’estensione disposta dal legislatore regionale presenta multipli profili di illegittimità. In via preliminare, si sottolinea che, a differenza di altre discipline urbanistiche “in deroga”, quali per esempio il c.d. “piano casa”, la normativa regionale non è sorretta da una norma statale, che, valutati ex ante gli interessi concorrenti, consenta alle Regioni, entro certi limiti, di assentire gli interventi de quibus in deroga alla pianificazione urbanistica. La norma contrasta pertanto, come più avanti si specificherà, anche con i principi di ordinato sviluppo del territorio. La disciplina regionale appare anche fortemente irragionevole, posto che la novella ammette gli interventi in deroga anche su edifici di recentissima realizzazione, senza che possano venire in gioco, quindi, interessi pubblici rilevanti quali il contenimento dell’uso di suolo, l’efficientamento energetico, o la rigenerazione urbana. La normativa regionale contrasta anche con l’obbligo di pianificazione, posto in capo alle Regioni (cfr. art. 135 del Codice) con riferimento all’intero territorio regionale, e che in Puglia si è tradotto con l’approvazione del piano paesaggistico regionale, elaborato d’intesa con lo Stato.
La normativa regionale pugliese non contiene alcuna clausola di esclusione a favore dei beni culturali e paesaggistici, ma solo la generica possibilità, per i comuni, di disporre la esclusione per zone o per edifici, pur trattandosi di interventi molto impattanti sotto il profilo paesaggistico. Basti considerare che, per quanto attiene ai sottotetti, la legge regionale consente indiscriminatamente l'apertura di porte, finestre, lucernari e abbaini senza alcuna considerazione dei profili paesaggistici, nonostante la sommatoria degli interventi sia tale da poter stravolgere il panorama urbano di riferimento.
Gli interventi de quibus con i correlativi ampliamenti volumetrici in deroga agli strumenti e agli standard urbanistici sono estesi, per effetto della novella, a edifici di recentissima realizzazione, per i quali mal si conciliano gli obiettivi di contenere il consumo di suolo e di promuovere l’efficientamento energetico tramite il recupero di spazi, con ampliamento dell’intervallo temporale
di un anno rispetto al precedente, e ciò, astrattamente, anche in contesti paesaggisticamente vincolati
e di pregio.
La novella, ampliando la portata applicativa della norma mediante la modifica del termine finale di applicazione (riferito all’anno di realizzazione degli edifici interessati), compromette le competenze statali in materia di paesaggio e di governo del territorio, in conformità ai principi enunciati dalla Corte, la quale ha già annullato norme regionali di spostamento in avanti di termini già fissati, allo scopo di prolungare l’efficacia della normativa regionale (cfr. sentenza n. 233 del 2020, riferita alla proroga delle concessioni termominerali disposta da una norma della Regione Basilicata).
In tale occasione, peraltro, la Corte ha messo in luce come le norme regionali che dispongono proroghe, successive nel tempo, al termine di efficacia inizialmente previsto hanno l’effetto di consolidare nel tempo l’assetto “in deroga”. (“I principi garantiti dalla normativa interna e sovranazionale possono risultare compromessi da una pluralità di proroghe che, anche se di breve durata, realizzino sommandosi tra di loro un’alterazione del mercato, ostacolando, senza soluzione
di continuità, l’accesso al settore di nuovi operatori). Ciò è esattamente il risultato che la Regione Puglia consegue per effetto della novella de qua, con la quale si estende ulteriormente la portata della
disciplina derogatoria agli edifici di sempre più recente costruzione, con ciò consolidando “a regime” una disciplina nata come eccezionale e perciò necessariamente temporanea, compromettendo le prerogative statali in materia di tutela del paesaggio e il principio di ordinato assetto del territorio.
Del tutto irrilevante, ai fini del vaglio di ammissibilità, è anche la circostanza che la normativa regionale di proroga (si tratta della quinta) non sia stata precedentemente impugnata dal Governo, posto che, come detto, nei giudizi di impugnativa in via principale non si applica l’istituto dell’acquiescenza.
La scelta del legislatore regionale presenta delle criticità rispetto alla disciplina di tutela dei beni culturali e paesaggistici contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, risultando invasiva della potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione. E ciò in quanto la novella, pur estendo l’applicabilità della normativa regionale derogatoria agli edifici realizzati fino a giugno del 2021, non contiene clausole di salvaguardia riferite ai beni culturali o al paesaggio, esercitando una non consentita funzione di disciplina estesa anche a tali beni e così invadendo la potestà esclusiva dello Stato in materia.
Con riferimento a tali interventi si pone quindi un profilo di criticità anzitutto con riguardo ai beni culturali, tutelati ai sensi della Parte II del Codice e non esclusi, in via di principio, dalla disciplina regionale derogatoria, la cui portata viene ampliata dalle richiamate previsioni della legge regionale n. 38 del 2021. La Regione ha infatti esercitato una funzione di disciplina di tali beni, non prevista dalla legge statale e incompatibile con il regime della tutela, prevedendo che (anche) i beni culturali siano astrattamente suscettibili degli interventi di recupero volumetrico.
Occorre rimarcare che la Regione è del tutto sfornita di potestà in materia, atteso che, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), la tutela del patrimonio culturale compete esclusivamente allo Stato e si impone sulla potestà regionale (concorrente) in materia di governo del territorio.
Si evidenzia che, ai sensi dell’articolo 20, comma 1, del Codice “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. D’altro canto, ai sensi degli articoli 4 e 21 del medesimo Codice, la valutazione circa la compatibilità degli interventi con i caratteri di pregio del bene è riservata esclusivamente allo Stato, e per esso al Ministero della cultura.
I recuperi volumetrici assentiti con la legge regionale n. 33 del 2007 presentano pertanto una diretta rilevanza ai fini della tutela, non essendo prevista l’esclusione dei beni culturali tutelati ai sensi della Parte II del Codice dall’ambito applicativo delle disposizioni regionali. Le previsioni censurate prefigurano quindi – in modo generalizzato e avulso dal contesto (stante la deroga agli strumenti urbanistici) – l’astratta modificabilità (anche) dei beni culturali. Né varrebbe obiettare che per la realizzazione dei singoli interventi dovrebbe essere richiesta l’autorizzazione di cui al richiamato articolo 21 del Codice, atteso che la previsione regionale ingenera aspettative edificatorie ingiustificate in capo ai proprietari e determina un aggravio amministrativo per gli uffici statali (Soprintendenze), chiamati a esprimersi su interventi che dovrebbero essere in radice inammissibili in relazione agli immobili vincolati.
Le novelle invadono perciò la potestà esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali, prevista dall’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto alla quale costituiscono parametri interposti gli articoli 4, 20 e 21 del Codice. I profili di irragionevolezza e di aggravio amministrativo sulle Soprintendenze configurano anche la violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
Gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia sono collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento che dovrebbe essere costituito dalle previsioni del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore. Soltanto a quest’ultimo strumento, elaborato d’intesa tra Stato e Regione, spetta infatti di stabilire, per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e di individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
La legge regionale in oggetto, dunque, contrasta con la scelta del legislatore statale di rimettere alla pianificazione la disciplina d’uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli) ai fini dell’autorizzazione degli interventi, come esplicitata negli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni
culturale e del paesaggio, costituenti norme interposte rispetto al parametro costituzionale di cui agli
articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione. Questa Amministrazione è consapevole che la disciplina regionale non si sottrae espressamente alla disciplina d’uso del piano paesaggistico, alla quale in ogni caso nemmeno rinvia. In astratto ragionando, quindi, la stessa disciplina potrebbe essere interpretata nel senso che gli interventi edilizi previsti non siano esentati “dal rispetto del complesso delle prescrizioni d’uso, attuali o future, dei beni paesaggistici, siano esse poste da vincoli derivanti dal piano paesaggistico (art. 143, comma 1, lettere b, c, d ed e), o dalle dichiarazioni di notevole interesse pubblico (art. 140, comma 2)” (cfr. sentenza n. 54 del 2021, riferita al recupero dei sottotetti veneti). Tale opzione ermeneutica non è ragionevolmente perseguibile nel caso in esame.
Con ulteriori pronunce la Corte ha infatti ribadito che il “principio di prevalenza della tutela paesaggistica deve essere declinato nel senso che al legislatore regionale è impedito […] adottare normative che deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi divieti, ossia con previsioni di tutela in senso stretto” (sentenza n. 141 del 2021, che richiama le sentenze nn. 29, 54, 74 e 101 del 2021; cfr. anche sentenza n. 251 del 2021).
La Corte ha inoltre rimarcato come essa stessa sia concretamente “chiamata a verificare se la disposizione impugnata si ponga in contrasto con il principio di prevalenza della pianificazione paesaggistica, o rechi a esso una deroga” (cfr. sentenza n. 141 del 2021).
Al riguardo, deve sottolinearsi che nei casi in cui le leggi regionali rechino una disciplina d’uso del territorio, svolgono una funzione pianificatoria che inevitabilmente fuoriesce dai confini della materia “governo dal territorio” e, anche laddove riguardi il paesaggio non vincolato, viene a impingere nella materia della tutela del paesaggio, riservata allo Stato, la quale pone in capo alle Regioni un vero e proprio obbligo (e non la mera facoltà) di pianificare l’intero territorio regionale mediante i piani paesaggistici (art. 135 del Codice).
Le Regioni pertanto che, in assenza di una specifica disposizione statale (come avviene per esempio nell’ipotesi del c.d. piano casa, peraltro di carattere eccezionale e transitorio), disciplinano il territorio regionale mediante legge eludono l’obbligo di pianificazione del territorio mediante l’unico strumento deputato a contenere la normativa d’uso del territorio, ossia il piano paesaggistico.
Con riferimento ai beni paesaggistici, peraltro, il legislatore statale inibisce alle Regioni di dettare in via autonoma una disciplina d’uso, che è riservata alla co-pianificazione obbligatoria. In tale ipotesi la Regione, disciplinando unilateralmente il paesaggio vincolato, nonostante l’avvenuta approvazione del piano paesaggistico, viene meno all’obbligo di co-pianificazione, con ciò derogando e ponendosi in contrasto con il principio di prevalenza della pianificazione paesaggistica.
La Regione Puglia si sottrae dunque ingiustificatamente al proprio obbligo di co-pianificazione del paesaggio con lo Stato, esercitando una funzione di disciplina del paesaggio e dei beni paesaggistici in modo del tutto autonomo, nonostante la co-pianificazione costituisca un principio inderogabile posto dal Codice (Corte cost. n. 251 del 2021).
Alla luce di tutto quanto sopra illustrato, emerge la violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

L’abbassamento del livello della tutela determinato dalla legge regionale in oggetto comporta, inoltre,la violazione anche dell’art. 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007), per violazione dei parametri interposti costituiti dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore.
È indubbio che la disciplina derogatoria operi, oltre che in relazione ai beni paesaggistici, anche in relazione al paesaggio non vincolato, costituente comunque oggetto di tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia
con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, e oggetto anch’esso di co-pianificazione in virtù dei richiamati accordi intercorsi tra la Regione Puglia e lo Stato.
La normativa regionale pretende di estendere una normativa speciale incentivante, applicabile per sua natura agli edifici più vetusti, in quanto attuativa dei principi di contenimento del consumo di suolo e di efficientamento energetico, agli edifici di più recente realizzazione, con ciò contravvenendo al principio fondamentale in materia di governo del territorio – sotteso all’intero impianto della legge urbanistica n. 1150 del 1942, in particolare a seguito delle modifiche apportatevi dalla legge n. 765 del 1967 – secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale. E ciò, in assenza di una specifica disposizione statale che consenta alle Regioni, così come previsto, per esempio, in materia di c.d. piano casa, di assentire, predeterminandone casi e limiti, interventi in deroga agli strumenti urbanistici. In particolare, costituiscono principi fondamentali in materia di governo del territorio, che si impongono alla potestà legislativa concorrente spettante in materia alle Regioni a statuto ordinario, quelli posti dall’articolo articolo 41-quinquies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150; articolo aggiunto dall’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, tra i quali il necessario rispetto degli standard urbanistici. Non è pertanto consentito alle Regioni introdurre deroghe generalizzate ex lege alla pianificazione urbanistica e agli standard urbanistici di cui al decreto ministeriale n. 1444 del 1968, tanto più laddove tali deroghe generalizzate assumano carattere stabile nel tempo. Una tale opzione normativa viene, infatti, a snaturare del tutto la funzione propria della pianificazione urbanistica e degli standard fissati a livello statale, volti ad assicurare l’ordinato assetto del territorio.
Il “recupero” a fini abitativi generalizzato, senza alcun limite oggettivo ed esteso ad edifici realizzati nel 2021, previsto dalla norma regionale, è per forza di cose destinato a stravolgere gli standard legati al carico insediativo e alla densità abitativa, relativi ai fabbisogni delle dotazioni territoriali di un determinato insediamento e del tutto autonomi rispetto al mero standard delle distanze/altezze.
Appare evidente infatti che la sommatoria di “recuperi” a fini abitativi, anche in caso di non incremento di volume fisico (ma solo di volumetria urbanistica) o di superficie utile, è destinata a incidere sul livello sostenibile di popolazione insediabile compatibile con un certo tessuto abitativo e perciò, inevitabilmente, sugli standard urbanistici, intesi quali rapporti fra insediamenti e spazi pubblici o per attività di interesse generale, e sugli standard edilizi, quali limiti inderogabili di densità edilizia (fatta eccezione per le altezze/distanze, ove mantenute ferme), comportandone di fatto la deroga.
In nessun caso la disciplina del primo o del secondo piano casa – per sua natura di stretta interpretazione – consente alle Regioni di derogare ai c.d. standard urbanistici previsti dalla normativa statale, ma solamente, e solo temporaneamente, agli strumenti urbanistici. La Corte costituzionale ha rimarcato la necessità, per il legislatore regionale, di rispettare sempre e comunque i limiti fissati dal d.m. n. 1444 del 1968, che trova il proprio fondamento nell’art. 41- quinquies, commi ottavo e nono, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (cfr. sentenza n. 217 del 2020).
È quindi costituzionalmente illegittima una normativa regionale volta a introdurre deroghe generalizzate ex lege alla pianificazione urbanistica e agli standard urbanistici di cui al decreto ministeriale n. 1444 del 1968, tanto più laddove tali deroghe generalizzate assumano carattere stabile nel tempo. Una tale opzione normativa viene, infatti, a snaturare del tutto la funzione propria della pianificazione urbanistica e degli standard fissati a livello statale, volti ad assicurare l’ordinato assetto del territorio.
È inoltre violato anche il principio di cui all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, ove si prevede che la realizzazione di interventi in deroga alla pianificazione urbanistica può essere assentita solo sulla base di una valutazione fatta caso per caso da parte del Consiglio comunale, sulla base di una ponderazione di interessi riferita alla fattispecie concreta.
Inoltre, poiché la normativa ha ad oggetto anche edifici oggetto di sanatoria, si pone in contrasto col principio che vieta premialità edilizie in caso di immobili abusivi oggetto di sanatoria, esplicitato nell’Intesa del 2009 sul c.d. primo piano casa.
È pertanto violato anche l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali statali in materia di governo del territorio stabiliti dall’articolo 41- quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968.
La disciplina regionale è inoltre manifestamente irragionevole, con violazione degli articoli 3 e 97 Cost.
La Corte, sia pure con riferimento alle funzioni assegnate agli enti locali all’interno del “sistema della pianificazione”, ha messo in luce la necessità di procedere a una “verifica dell’esistenza di esigenze generali che possano ragionevolmente giustificare le disposizioni legislative limitative delle funzioni già assegnate agli enti locali” attraverso un giudizio di proporzionalità, che “deve perciò svolgersi, dapprima, in astratto sulla legittimità dello scopo perseguito dal legislatore regionale e quindi in concreto con riguardo alla necessità, alla adeguatezza e al corretto bilanciamento degli interessi coinvolti” (Corte cost. n. 119 del 2020).
Tale giudizio di proporzionalità deve necessariamente svolgersi non solo qualora sia dedotta la compressione dell’autonomia comunale, ma anche – a prescindere da tale profilo – laddove sia contestata la menomazione del principio dell’ordinato assetto del territorio, assicurato mediante la pianificazione urbanistica comunale, di cui al richiamato art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1941. Anche tale principio, infatti, è da ritenere derogabile soltanto ad opera di interventi finalizzati alla tutela di interessi di rilievo costituzionale primario e, inoltre, “quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti”.
Le disposizioni regionali, inoltre, riguardando edifici di recentissima costruzione, non richiedono l’adeguamento ai principi di contenimento del consumo del suolo e di efficientamento energetico che stanno alla base della normativa di recupero dei sottotetti o dei piani interrati.
Le previsioni risultano perciò anche manifestamente arbitrarie e irragionevoli, nonché contrarie al principio del buon andamento dell’amministrazione (artt. 3 e 97 della Costituzione).


Per tutte le ragioni sopra esposte, la disposizioni regionali sopra indicate devono essere impugnate ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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