Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2022 e bilancio pluriennale 2022-2024 della Regione Puglia - legge di stabilità regionale 2022. (30-12-2021)
Puglia
Legge n.51 del 30-12-2021
n.164 del 31-12-2021
Politiche economiche e finanziarie
/ Rinuncia parziale

RINUNCIA APPROVATA NEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL 19/01/2023
Nella seduta del 24 febbraio 2022, il Consiglio dei ministri ha impugnato la legge Puglia n. 51/2021 (legge di stabilità regionale 2022). Tra gli articoli impugnati figurava l’art. 61, il quale sostituiva l'art. 28 (Comitato per la VIA) della legge Puglia n. 11/2001 (Norme sulla valutazione dell’impatto ambientale) prevedendo, in luogo del Comitato per la VIA, la Commissione Tecnica quale organo collegiale tecnico-consultivo che fornisce il supporto tecnico-scientifico necessario all'Autorità competente per i procedimenti contemplati dalla parte seconda del D.lgs. n. 152/2006, nonché dalla normativa in materia di valutazione di incidenza ambientale.

Il testo novellato prevedeva che ai componenti delle Commissioni tecniche spettasse un gettone unico onnicomprensivo senza però definire il quantum e senza alcun riferimento al rispetto dell'art. 6 del d.l. n. 78/2010. Per tali motivi, la disposizione era stata impugnata in quanto violava l’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Da ultimo, l’art. 61, comma 1, lettera b), è stato modificato dall'art. 5 della legge regionale n. 9/2022. In particolare, l’art. 28 comma 5 della legge regionale n. 11/2001, come sostituito dall’art. 61, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 51/2021, è stato sostituito prevedendo che i costi di funzionamento delle Commissioni Tecniche, comprensivi dei compensi per i componenti, sono finanziati su base annuale in misura complessivamente non superiore all’ammontare degli oneri istruttori per la copertura dei costi sopportati dall’autorità competente per i procedimenti di valutazione ambientali previsti dalla legge, versati dai proponenti nel bilancio regionale dell’anno precedente, senza nuovi o maggiori oneri per le finanze del medesimo ente. I compensi sono definiti con regolamento attuativo della Giunta regionale in ragione delle responsabilità di ciascun membro e dei compiti istruttori effettivamente svolti, avuto riguardo ai procedimenti di valutazione conclusi. Il predetto regolamento disciplina altresì i casi di decurtazione dei compensi spettanti ai componenti in caso di ritardo nello svolgimento delle attività devolute alla Commissione.

Interpellato in merito, il Ministero dell’economia ha confermato di ritenere cessata la materia del contendere relativamente alla norma sopracitata, che peraltro non ha mai trovato applicazione, come confermato dalla Regione Puglia.
Conclusivamente, si ritiene di dover procedere alla rinuncia parziale all’impugnativa della norma sopracitata, limitatamente all’art. 61, comma 1, lettera b).

24-2-2022 / Impugnata
Si impugna su richiesta del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e del Ministero della cultura.

Occorre premettere che la lettera e-ter) del comma 3 dell'art. 12 della legge regionale n. 20/2001, che detta norme sulla variazione del piano urbanistico generale (PUG), è stata aggiunta dall'art. 5, comma 1, della legge regionale n. 39/2021.

La disposizione introdotta dalla legge regionale n. 39/2021 era così formulata: “e-ter) incremento dell'indice di fabbricabilità fondiaria fino a 0,1 mc/mq, per gli interventi di cui all'articolo 51 della L.R. n. 56/1980”.

Per effetto della legge regionale n. 39/2021, è stata, quindi, aggiunta una nuova ipotesi, tra quelle già previste dal comma 3, del citato art. 12, in relazione alle quali “La deliberazione motivata del Consiglio comunale che apporta variazioni agli strumenti urbanistici generali vigenti non è soggetta ad approvazione regionale di cui alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), o a verifica di compatibilità regionale e provinciale di cui alla presente legge”.

Da ultimo, nella riunione del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2022 è stata deliberata l'impugnazione dell'art. 5 della legge regionale n. 39/2021.

L'articolo 54 della legge in esame modifica nuovamente l'art. 12 della citata legge regionale n. 20/2001. In particolare, il comma 1, lettera s), sostituisce la lettera e-ter) del comma 3 del citato art. 12, aggiunta dall'art. 5 della legge regionale n. 39/2021, escludendo dalla verifica di compatibilità regionale e provinciale l'incremento dell'indice di fabbricabilità fondiaria fino a 0,1 mc/mq, per la realizzazione, in zona agricola, di nuovi fabbricati qualora gli stessi siano strumentali alla conduzione del fondo o all'esercizio dell'attività agricola e delle attività a questa connesse.

Con la novella ora introdotta, sembra che la Regione abbia inteso limitare la portata della disposizione originariamente approvata e fatta oggetto di impugnativa davanti alla Corte costituzionale. La disposizione in esame, infatti, riferisce espressamente l'incremento dell'indice di fabbricabilità fondiaria alle zone omogenee di tipo E, ossia alle aree agricole. Sebbene l'ambito di operatività della disposizione in esame sia stato limitato alle zone agricole, permangono i medesimi rilievi di criticità posti a base dell'impugnativa avverso la legge regionale n. 39/2021. Infatti, la disposizione in argomento non rispetta i limiti inderogabili di densità edilizia previsti, per le diverse zone del territorio comunale, ivi comprese le zone agricole, dal decreto interministeriale n. 1444/1968 che costituiscono princìpi non derogabili in materia di governo del territorio.

Al riguardo, l’art. 7, comma 4, del D.M. n. 1444/1968 (standard urbanistici), per tutelare il paesaggio, l’ambiente e la densità edilizia, ammette, nelle zone territoriali omogene destinate ad usi agricoli (zone E), esclusivamente un’edificabilità residenziale di 0,03 metri cubi per metro quadrato. In sostanza la volumetria residenziale ammissibile è di 300 mq per ogni ettaro (circa 100 mq). Il decreto n. 1444/1968 nulla riferisce in ordine alla realizzabilità di volumetrie strumentali alla conduzione del fondo, all’esercizio dell’attività agricola e delle attività connesse.

Al riguardo, si osserva che la legge n. 1150/1942 al comma 8 dell'art. 41-quinquies prevede che "in tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi."

"È opportuno ricordare che (…) i limiti fissati dal d.m. n. 1444 del 1968, che trova il proprio fondamento nell'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore regionale (ad esempio, Corte cost. sentenza n. 232/2005), salvo quanto si dirà in relazione all'art. 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, costituendo essi principi fondamentali della materia, in particolare come limiti massimi di densità edilizia a tutela del «primario interesse generale all'ordinato sviluppo urbano»" (Cfr. Corte cost. sentenza n. 217/2020).

In ogni caso, anche qualora la normativa regionale intendesse assentire destinazioni strumentali, le stesse non potrebbero superare il limite di densità edilizia per le zone agricole fissato dal citato art. 7, comma 4 (0,003 mc/mq).

Conclusivamente, alla luce delle suesposte considerazioni, la disposizione regionale citata viola l'art. 117, comma 3, Cost., in materia di governo del territorio, per violazione della norma fondamentale di grande riforma contenuta nell'art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge n. 1150/1942, e dunque va impugnata innanzi la Corte costituzionale ex art. 127 Cost.

Inoltre, la disposizione contestata, consentendo ai Comuni di variare le previsioni strutturali del Piano Urbanistico Generale senza approvazione né verifica di compatibilità regionale, metropolitana o provinciale, esclude anche la verifica di compatibilità di tale variazione con il piano paesaggistico, la quale deve svolgersi con la necessaria partecipazione degli Organi del Ministero della cultura.

La disciplina statale impone infatti che: “A far data dall’adozione del piano paesaggistico non sono consentiti, sugli immobili e nelle aree di cui all’articolo 134, interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela previste nel piano stesso. A far data dalla approvazione del piano le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici (art. 143, comma 9, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42).

Inoltre, l’art 145, comma 4, dello stesso Codice prescrive che “I comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo”. Il comma 5 del medesimo articolo 145 stabilisce, inoltre, che “La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo”.

La Regione Puglia ha approvato il Piano Paesaggistico con delibera n. 176 del 16 febbraio 2015 (BURP n. 40 del 23 marzo 2015). La novella interviene ora a disciplinare le trasformazioni del territorio agricolo, consentendo ai Comuni di prevedere nuove edificazioni e stabilendo che le conseguenti modifiche alla pianificazione urbanistica siano sottratte a ogni verifica di compatibilità, anche di livello regionale, e – quindi – non siano soggette neppure alla verifica di conformità rispetto al sovraordinato piano paesaggistico.

Il paesaggio, che compone il patrimonio culturale in senso lato ai sensi dell’art. 2 del Codice, riceve tutela quale valore fondamentale dell’ordinamento giuridico, garantito dall’art. 9 della Costituzione. Si tratta, peraltro, di un valore primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007).

La norma in questione, ben lungi dal rappresentare una mera “semplificazione procedimentale”, come sostenuto dalla Regione nella nota di controdeduzioni, prevede piuttosto un ambito della pianificazione urbanistica (l’approvazione delle modifiche ai piani comportanti l’incremento di edificabilità in zona agricola) sottratto alla fase di conformazione al piano paesaggistico, da svolgere con il necessario coinvolgimento degli Organi del Ministero della cultura.

Al riguardo, deve ricordarsi che la Corte costituzionale ha ripetutamente affermando la “necessità che la tutela paesaggistica sia caratterizzata dalla «concertazione rigorosamente necessaria» (così sentenza n. 64 del 2015) tra Regione e organi ministeriali, la quale impone la partecipazione di questi ultimi al procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica (sentenza n. 64 del 2015; in senso analogo, sentenze n. 240 del 2020, n. 197 del 2014 e n. 211 del 2013)” (Corte cost., n. 74 del 2021).

Ne deriva che la disposizione regionale, la quale sottrae alla verifica di adeguamento e conformazione alla pianificazione paesaggistica le modifiche degli strumenti urbanistici comunali che incrementano gli indici di edificabilità in zona agricola (modifiche quindi di impatto paesaggistico non certamente trascurabile), si pone in contrasto con l’art. 9 della Costituzione e con gli articoli 143, comma 9 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, da considerare norme interposte rispetto all’all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Su richiesta del Ministero della salute:

Con riferimento all'art. 10, comma 1, lettera a), della legge in esame, che introduce il nuovo comma 4 bis all'art. 12 della l.r. n. 9 del 2017, si rilevano delle criticità laddove la norma regionale, nel definire l'ambito di applicazione dell'obbligo di dotarsi di un responsabile sanitario da parte delle strutture monospecialistiche ai fini del rilascio della relativa autorizzazione all'esercizio, utilizza, tra l'altro, la nozione di "strutture domiciliari".

In proposito, si osserva che la previsione non appare in linea con le disposizioni statali vigenti (l'articolo 1, comma 406, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 ("Legge di bilancio 2021" che ha introdotto alcune modifiche alla disciplina di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1992, n. 502) in quanto con la modifica, il legislatore regionale ha esteso l'ambito di applicazione del sistema di autorizzazione all'esercizio e di accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie e sociosanitarie anche alle organizzazioni pubbliche e private che erogano cure domiciliari.

Il legislatore statale ha invece istituito un sistema di autorizzazione all'esercizio e di accreditamento istituzionale dei soggetti erogatori di cure domiciliari, che assicuri equità nell'accesso ai servizi, sicurezza e qualità delle cure nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza, al fine di garantire al malato e alla sua famiglia cure adeguate durante tutto il decorso della malattia, per ogni età e sull'intero territorio nazionale, nonché favorire la messa a regime di sistemi di valutazione dei risultati raggiunti in un'ottica di miglioramento continuo della qualità dell'assistenza sanitaria ai cittadini.

Tanto premesso, la disposizione in esame contrasta con le previsioni di cui agli artt. 8-ter e 8-quater del d.lgs. 502 del 1992, così come modificati dalla legge n. 178 del 2020, che integrano principi fondamentali in materia di "tutela della salute" ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost..

L'articolo 16 della legge regionale in esame che dispone che al fine di migliorare l'assistenza agli anziani non autosufficienti e disabili, le strutture di cui ai regolamenti regionali numeri 4 e 5 del 2019 possono svolgere parte delle attività, per un limitato periodo di tempo nell'anno, presso una sede secondaria compatibile per localizzazione con la villeggiatura.

In proposito, si evidenzia la necessità di assicurare che anche le sedi secondarie presso cui si svolga l'erogazione delle prestazioni risultino idonee, in termini di sicurezza e qualità delle prestazioni erogate, alla luce dei requisiti di autorizzazione e di accreditamento previsti, ex artt. 8-ter e 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, per le strutture sanitarie e sociosanitarie, pur tenendo conto della tipologia di prestazioni concretamente erogate.

I menzionati articoli 8-ter e 8-qua ter, infatti, non dispongono una deroga al regime ordinario vigente per le sedi secondarie.

La norma regionale indicata viola, quindi, l'art. 117, comma 3, Cost. in materia di "tutela della salute".

Su richiesta del Ministro per la pubblica amministrazione

L’articolo 55 prevede che "al comma 2, dell'articolo 2, della legge regionale 25 settembre 2012, n. 27 (Prosecuzione della ricostruzione post sisma 2002 nell'area della provincia di Foggia e seconda variazione al bilancio di previsione 2012), le parole: "al 31 dicembre 2021" sono sostituite dalle seguenti: "al 31 dicembre 2022". Per effetto della novella i Comuni interessati e titolari dei finanziamenti assegnati dal Commissario delegato con i piani di ricostruzione dell'edilizia pubblica e di interesse pubblico e dell'edilizia privata, per la prosecuzione delle attività, hanno facoltà di avvalersi, dal 10 maggio 2012 al 31 dicembre 2022, di personale esterno specificamente contrattualizzato a tempo determinato, nel limite di spesa e nel numero dei contratti in essere alla data del 30 aprile 2012. Detto eventuale personale esterno può essere utilizzato anche da due o più Comuni convenzionati tra loro. La Regione assegna ai Comuni interessati le risorse necessarie per l'attuazione del presente comma, in base alle risorse disponibili in bilancio.

Al riguardo si evidenzia che l'utilizzo di personale esterno con contratti a tempo determinato nelle attività di ricostruzione post sisma di cui si discorre, si inserisce nel solco di precedenti proroghe, a far data dal 2012. Ciò nonostante, la possibilità, prevista nell'articolo in esame, di avvalersi per un ulteriore anno, ovvero fino al 31 dicembre 2022, di risorse esterne con contratti a termine appare non in linea con il mutato quadro legislativo nazionale che, anche nell'ambito delle attività di ricostruzione connesse alla gestione degli eventi sismici, ha dettato disposizioni finalizzate a limitare l'utilizzo di rapporti di lavoro flessibili e a preservare le professionalità acquisite.

Tanto si rappresenta per segnalare le criticità, specie alla luce del sopravvenuto citato contesto normativo nazionale, che l'articolo in esame presenta rispetto alle condizioni di legittimo impiego dei contratti a termine, rinvenibili nell'art. 36, comma 2, del d.lgs. d.lgs. 165/2001. Si richiama in particolar modo l'attenzione sul tempo di utilizzo dei contratti in parola, che non può superare i 36 mesi, pena, tra l'altro, il rischio di possibili contenziosi, con conseguenti esiti negativi in termini di responsabilità per le amministrazioni soccombenti, nonché dell'avvio di procedure d'infrazione da parte della Commissione Europea per abuso del ricorso alla predetta tipologia contrattuale.

In ragione di quanto esposto, l'articolo in esame appare suscettibile di porsi in contrasto con le disposizioni di cui all'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, con conseguente violazione dell'articolo 117, secondo comma, lett. 1) della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia dell'ordinamento civile.

Su richiesta del Ministero dell’economia e delle finanze

Articolo 11: la norma apporta modifiche al comma 2 dell'articolo 6 della legge regionale 29 maggio 2017, n. 17 (Organizzazione e funzionamento degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) di diritto pubblico della Regione Puglia) che disciplina il rapporto di lavoro del direttore amministrativo e sanitario nei predetti Istituti, disponendo che all'atto del conferimento dell'incarico le citate figure di direttore amministrativo e sanitario non devono aver compiuto sessantacinque anni. Tale disposizione non risulta coerente con la normativa statale dettata in materia, atteso che, ai sensi del Dlgs. n. 288 del 2003 recante 'Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'articolo 42, comma 1, della L. 16 gennaio 2003, n. 3 ", le funzioni di direttore sanitario e di direttore amministrativo cessano al compimento del sessantacinquesimo anno di età.

Ne consegue che la norma regionale in esame presenta profili di incostituzionalità atteso che, con la norma in esame, verrebbe introdotta con legge regionale una deroga alla disciplina statale dettata in materia, in quanto viene previsto che le predette figure non cesserebbero dall'incarico di direttore amministrativo e sanitario al compimento del sessantacinquesimo anno di età, con conseguente violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi).

Articolo 61: la disposizione in esame sostituisce l'art. 28 (Comitato per la V.I.A.) della l.r. n. 11/2001 prevedendo, in luogo del Comitato per la Valutazione di impatto ambientale, la Commissione Tecnica quale organo collegiale tecnico-consultivo che fornisce il supporto tecnico-scientifico necessario all'Autorità competente per i procedimenti contemplati dalla parte seconda del D.lgs. n. 152/2006, nonché dalla normativa in materia di valutazione di incidenza ambientale. La Commissione Tecnica svolge, altresì, funzioni di assistenza ai fini dell'istruttoria necessaria alla risoluzione di questioni tecniche o giuridiche che possono insorgere nel corso del procedimento.

Al comma 2 si dispone, inoltre, che in caso di complessità dei procedimenti da istruire, da eterogenee professionalità che consigliano specifico supporto tecnico-scientifico, le funzioni della commissione di cui al comma 1 sono attribuite a una o più commissioni tecniche nominate dalle autorità competenti. Le commissioni regionali operano presso la struttura regionale che svolge le funzioni di Autorità competente nei procedimenti di valutazioni ed autorizzazioni ambientali.

Al riguardo, preliminarmente, si osserva che la precedente formulazione del comma 6 prevedeva espressamente che "tali componenti esterni, non dipendenti regionali, spetta il compenso e il trattamento economico di missione nella misura stabilita dalla legge regionale 22 giugno 1994, della citata legge." Il testo novellato dalla presente disposizione prevede, invece, che '[a]i componenti delle Commissioni tecniche spetta un gettone unico onnicomprensivo." Stante la previsione dell'attribuzione di un "gettone unico onnicomprensivo" senza definizione però del quantum dello stesso e mancando, altresì, qualsiasi riferimento al rispetto delle disposizioni di cui all'art. 6 del dl n. 78/2010, la disposizione viola l’art. 117, terzo comma, Cost, in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Articolo 74: la disposizione in esame appare suscettibile di comportare nuovi e maggiori oneri a carico del bilancio regionale, senza prevederne la quantificazione e la necessaria copertura finanziaria. Pertanto, appare opportuno che il Dipartimento per gli Affari Regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri acquisisca dalla Regione idonei elementi informativi riguardanti la quantificazione e la copertura finanziaria degli oneri discendenti dalla disposizione in esame, utili ai fini della valutazione della compatibilità della stessa con l’articolo 81, terzo comma, della Costituzione.

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