Dettaglio Legge Regionale

Disciplina delle aperture nei giorni domenicali e festivi delle attività commerciali. (3-7-2020)
Trento
Legge n.4 del 3-7-2020
n.27 del 3-7-2020
Politiche infrastrutturali
7-8-2020 / Impugnata
La legge provinciale, che reca una “Disciplina delle aperture nei giorni domenicali e festivi delle attività commerciali”, è censurabile con riferimento all’articolo 1 che eccede dalle competenze statutarie della provincia autonoma di Trento, per i motivi di seguito specificati, andando a violare la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione.

Si premette che lo Statuto speciale per il Trentino Alto Adige, all’articolo 9, punto 3), riconosce alle Province Autonome di Trento e di Bolzano potestà legislativa di tipo concorrente in materia di commercio. Tuttavia, in applicazione della clausola di equiparazione di cui all’art. 10 della Legge Costituzionale n. 3 del 2001, ai sensi della quale le disposizioni del nuovo Titolo V della Costituzione si applicano anche alle Regioni ad autonomia speciale per le parti in cui prevedono “forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”, alla Provincia autonoma deve ritenersi attribuita la competenza residuale in materia di commercio in base all’articolo 117, comma 4, della Costituzione.

La norma contenuta nell’art. 1, comma 1, della legge Provinciale in esame introduce nell'ordinamento della Provincia di Trento una disciplina limitativa degli orari degli esercizi commerciali che prevede l'obbligo generalizzato di chiusura domenicale e festiva, nell’asserito fine di “favorire la conservazione delle peculiarità socio-culturali e paesaggistico-ambientali”, con possibilità di deroga a tale obbligo per i soli Comuni ad elevata attrattività turistica o attrattività commerciale/turistica (già individuati dalla Giunta Provinciale con deliberazione della Giunta Provinciale di Trento n. 891/2020 in attuazione dell'articolo 1, comma 2 della stessa legge provinciale in esame) nonché “in occasione di grandi eventi o manifestazioni che richiamano un notevole afflusso di persone, per un massimo di diciotto giornate annue”.
La previsione provinciale introduce una disciplina autoritativa delle aperture degli esercizi commerciali che si risolve in una disciplina parcellizzata e territorialmente differenziata degli orari degli esercizi commerciali, in palese contrasto con la totale e completa liberalizzazione degli orari sancita dall’articolo 31, comma 1, del decreto legge n. 201/2011 che ha modificato l'articolo 3, comma 1, lettera d-bis), del Decreto legge 223/2006 e che ha stabilito che le attività commerciali si svolgono senza limiti e prescrizioni concernenti, fra gli altri, “il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio”.
Detta norma statale , che detta principi in tema di liberalizzazioni degli esercizi commerciali, richiamando esplicitamente la competenza esclusiva dello Stato in materia di “tutela dello concorrenza”, ha stabilito la totale liberalizzazione degli orari dei negozi, fatte salve esigenze di ordine e della sicurezza pubblica, affermando che, secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali. La Provincia di Trento, come stabilito dal comma 2 dell’articolo 31 della legge n. 214/2011, è tenuta ad adeguare a tali principi la propria disciplina.

La disposizione provinciale in esame dunque eccede dalle competenze statutarie, in violazione degli articoli 4, 5 e 9 dello Statuto Speciale di autonomia della regione Trentino Alto Adige, sotto il profilo del vulnus alla competenza esclusiva statale, ed quindi censurabile per violazione dell’articolo 117, secondo comma 2, lettera e) della Costituzione .

Gli articoli 4, 5 e 9 del d.P.R. n. 670/1972 recante lo Statuto Speciale della Regione Autonoma Trentino Alto Adige risultano violati , avendo la Provincia esorbitato dai limiti della propria potestà legislativa in materia di Commercio , in quanto dette norme statutarie stabiliscono la competenza legislativa della Provincia nella materia del Commercio e prevedono che tale competenza possa essere esercitata nei limiti di cui agli artt. 4 e 5 dello Statuto, ossia “nei limiti dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato” e “in armonia con la costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica”, nonché “delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”.
Su questo specifico punto la Corte Costituzionale ha già più volte ribadito che “dalla natura trasversale della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza deriva che il titolo competenziale delle Regioni a statuto speciale in materia di commercio non è idoneo ad impedire il pieno esercizio della suddetta competenza statale e che la disciplina statale della concorrenza costituisce un limite alla disciplina che le medesime regioni possono adottare in altre materie di loro competenza” (Sentenza Corte Costituzionale 299/2012).
Si tratta di conclusione coerente con il carattere finalistica e trasversale della materia della tutela della concorrenza, la quale esige che “affinché l'obiettivo perseguito dal legislatore possa ottenere gli effetti sperati in termini di snellimento degli oneri gravanti sull'esercizio dell'iniziativa economica, l’azione di tutte le Pubbliche Amministrazioni - centrali regionali e locali- deve essere improntata ai medesimi principi, per evitare che le riforme introdotte ad un determinato livello di governo siano, nei fatti, vanificate dal diverso orientamento dell'uno o dell'altro degli ulteriori enti che compongono l'articolato sistema delle autonomie. Quest'ultimo, infatti, risponde ad una logica che esige il concorso di tutti gli enti territoriali all'attuazione dei principi di simili riforme. A titolo esemplificativo, si può rammentare che persino gli statuti di autonomia speciale prevedono che le norme fondamentali delle riforme economico-sociali costituiscono vincoli ai rispettivi legislatori regionali e provinciali, che sono tenuti ad osservarle nell'esercizio di ogni tipo di competenza ad essi attribuita. Per queste ragioni, il principio di liberalizzazione delle attività economiche -adeguatamente temperato dalle esigenze di tutela di altri beni di valore costituzionale- si rivolge tanto al governo centrale, quanto a Comuni Province, Città Metropolitane e Regioni, perché solo con la convergenza dell'azione di tutti i soggetti pubblici esso può conseguire risultati apprezzabili” (Sentenza Corte Costituzionale n. 8/2013).
Nel caso in esame, l'art. 1 della legge provinciale in esame non solo invade la competenza esclusiva statale ex articolo 117, secondo comma, lettera e) Costituzione, ma opera addirittura in senso diametralmente opposto rispetto ai principi fondamentali di riforma socio-economica adottate dal legislatore statale in materia di tutela della concorrenza con l'articolo 31 legge n. 214/2011 in materia di orari, e con gli art. 3 legge n. 148/2011, articolo 34 legge n. 214/2011 e articolo 1 legge 27/2012 in tema di liberalizzazione delle attività commerciali.
Su questo punto si richiama la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha ribadito la necessità di una disciplina uniforme sul territorio nazionale degli orari e delle chiusure degli esercizi commerciali, per evitare che l'Ordinamento sia frammentato in una molteplicità di ordinamenti locali differenti fra loro. Con Sentenza 19 dicembre 2012 n. 299, la Corte Costituzionale ha infatti ascritto l'articolo 31 della Legge n. 2014/2001, alla materia tutela della concorrenza di competenza legislativa esclusiva statale (articolo 117, comma 2, lettera e), Costituzione, ricordando che tale disposizione “attua un principio di liberalizzazione, rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche”. L'eliminazione dei limiti agli orari e ai giorni di apertura al pubblico degli esercizi commerciali favorisce, a beneficio dei consumatori, la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all'ingresso di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore. Si tratta, dunque, di misure coerenti con l'obiettivo di promuovere la concorrenza, risultando proporzionate allo scopo di garantire l'assetto concorrenziale nel mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale.
La Corte Costituzionale ha inoltre dichiarato l'illegittimità costituzionale di ogni disposizione regionale e provinciale limitativa intervenuta in materia di orari degli esercizi commerciali: la Sentenza 15 marzo 2013 n. 38, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 5 della legge provinciale di Bolzano n. 7/2012, in ragione del fatto che la disposizione provinciale, “autorizzando la Giunta ad emanare appositi indirizzi in materia di orari di apertura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio, si presta a reintrodurre limiti e vincoli in contrasto con la normativa statale di liberalizzazione, così invadendo la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e violando, quindi, l'art. 117, secondo comma, lettera e), Costituzione”. La Corte ha aggiunto, inoltre, che “nel caso di specie, il vulnus al menzionato parametro costituzionale è già insito nell'attribuzione alla Giunta provinciale del potere di assumere “appositi indirizzi” in materia devoluta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato;
Inoltre la Sentenza 12 aprile 2013 n. 65 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'articolo 3 della legge regionale Veneto n. 30/2011 poiché la Corte ha rilevato che tale disposizione “detta una serie di rilevanti limitazioni e restrizioni degli orari e delle giornate di apertura e di chiusura al pubblico delle attività di commercio al dettaglio” che si pongono in contrasto con la disciplina statale in materia di orari e giornate di apertura e chiusura degli esercizi commerciali e, in particolare, con l'art. 3 (Legge n. 248/2006, come novellato dall'art. 31 Legge 214/2011); la Sentenza 11 novembre 2016 n. 239 la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale anche dell'articolo 9 della legge regionale Puglia 2482015 e, in questa occasione la Corte è stata ferma nel ribadire che “la legislazione statale vigente è perentoria nell'affermare che l'attività commerciale è esercitata senza limiti e prescrizioni concernenti gli orari. Il divieto previsto riguarda, pertanto, ogni forma di regolazione, diretta o indiretta, degli orari di esercizio: sia quelle prescritte per via normativa, sia quelle frutto di accordi tra operatori economici”' (Corte Cost. 239/2016).
In questo senso, le disposizioni regionali/provinciali limitative della libertà di apertura degli esercizi commerciali sono state dichiarate “in contrasto con il perentorio e assoluto divieto contenuto nella descritta legislazione statale” e, in quanto tali, idonee a “determinare un vulnus dell'articolo 117, secondo comma, lettera e) Cost.” (Sentenza Corte Costituzionale 239/2016).
Per l'effetto, “nel vigore del divieto di imporre limiti e prescrizioni sugli orari, stabilito dallo Stato nell'esercizio della sua competenza esclusiva a tutela della concorrenza, la disciplina regionale che intervenga per attenuare il divieto risulta illegittima sotto il profilo della violazione del riparto di competenze”. (Corte Costituzionale 239/2016).
Anche la differenziazione territoriale e per tipologie, di attività, che deriva dalla disciplina applicabile ai Comuni ad elevata intensità turistica o attrattività commerciale/turistica (articolo 1, comma 2) e ai Comuni interessati da grandi eventi o manifestazioni che richiamano un notevole afflusso di persone (articolo 1, comma 4) nonché ad alcune categorie di attività commerciali di vendita al dettaglio, risulta costituzionalmente illegittima, posto che la “per sua natura (la concorrenza) non può tollerare, anche per aspetti non essenziali, differenziazioni territoriali che finirebbero per limitare, o addirittura neutralizzare, gli effetti delle norme di garanzia” (Corte Costituzionale 299/2012).
La Corte Costituzionale con Sentenza 10 maggio 2017 n. 98 ha, infatti, riconosciuto l'incompatibilità con la Carta Costituzionale di analoga disposizione adottata dalla Regione Friuli Venezia Giulia (articoli 1 e 3 legge regionale Friuli Venezia Giulia n. 41/2016) “in quanto interviene nella disciplina delle giornate di apertura degli esercizi commerciali, ascrivibile appunto alla tutela della concorrenza di competenza esclusiva dello Stato”, precisando altresì che la “dichiarazione di illegittimità costituzionale colpisce, inoltre, anche l'impugnato art. 3 “essendo divenuta priva di ragione d'essere una tale disposizione, tesa ad individuare i Comuni classificati come località a prevalente economia turistica, dal momento che in questi, al pari degli altri Comuni, dovrà operare la liberalizzazione del commercio senza distinzioni”. (Corte Costituzionale 98/2017).
L'articolo 31 della legge n. 214/2011 aveva, quindi, superato le ragioni di questa possibile distinzione, e la giurisprudenza della Corte costituzionale non ha mancato di sottolineare la ragione profonda di interesse pubblico ad essa sottesa.
La norma provinciale ripropone invece, con effetti immediati, un principio di discriminazione irragionevole, inattuale e non più giustificabile, non solo e non tanto per i consueti criteri interpretativi (che pure conducono alla illegittimità della norma provinciale per violazione dei principi di riparto delle competenze legislative in materia di tutela della concorrenza e dei livelli essenziali delle prestazioni), ma perché incompatibile con il nuovo disegno della Costituzione “economica” quale risulta dalla stagione di riforme e liberalizzazioni che nell'articolo 31 della Legge n. 214/2011 e nell'articolo 1 della legge n. 27/2012 ha trovato la sua sintesi.

Per i motivi esposti, la legge provinciale, limitatamente alle norme indicate, deve essere impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell'articolo 127, della Costituzione.

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