Dettaglio Legge Regionale

Assestamento al bilancio di previsione della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste per l’anno 2020 e misure urgenti per contrastare gli effetti dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 (13-7-2020)
Valle Aosta
Legge n.8 del 13-7-2020
n.42 del 13-7-2020
Politiche economiche e finanziarie
/ Rinuncia parziale
7-8-2020 / Impugnata
La legge della regione autonoma Valle d'Aosta del 13/07/2020, n. 8 “Assestamento al bilancio di previsione della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste per l'anno 2020 e misure urgenti per contrastare gli effetti dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale:

ARTICOLO 10
L’articolo 10, a decorrere dal 1° gennaio 2021, novella l'allegato A alla legge regionale 3 dicembre 2007, n. 31, recando modifiche riguardanti in particolare gli importi tariffari per il conferimento di rifiuti speciali non pericolosi di provenienza regionale ed extra regionale ammessi allo smaltimento in discarica per rifiuti non pericolosi, in difformità rispetto a quanto stabilito dalla normativa nazionale vigente.
A tal riguardo occorre porre in rilievo che i criteri determinativi del tributo de quo sono stati stabiliti a livello statale dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica", che all'articolo 3, comma 29, prevede che:
"L'ammontare dell'imposta è fissato, con legge della regione entro il 31 luglio di ogni anno per l'anno successivo, per chilogrammo di rifiuti conferiti: in misura non inferiore ad euro 0,001 e non superiore ad euro 0,01 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per i rifiuti inerti ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 13 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 2003; in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro 0,02582 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi ai sensi degli articoli 3 e 4 del medesimo decreto". - omissis-
La suddetta norma statale, quindi, in relazione ai rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi, nel fissare l'ammontare dell'imposta da applicare a livello regionale in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro 0,025 82, ed in assenza dunque di una specifica previsione che ne ancori la determinazione in base al criterio di provenienza del rifiuto stesso, rimanda agli articoli 3 e 4 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 13 marzo 2003 (recante "Criteri di ammissibi1ita dei rifiuti in discarica"), che alcuna analoga previsione recano al riguardo.
Tale differenza di tassazione applicata in relazione alla medesima tipologia di rifiuto e differenziata solo in base alla provenienza del rifiuto stesso, ovvero se di provenienza regionale od extra regionale, oltre a violare il suddetto parametro statale interposto di cui all'articolo 3, comma 29, della legge n. 549 del 1995, concreta di fatto, in assenza di specifica previsione statale al riguardo, un ostacolo allo smaltimento dei rifiuti speciali prodotti fuori regione, delineando un sistema che viola il principio della libera circolazione sul territorio nazionale dei rifiuti speciali e ponendosi perciò in contrasto con gli articoli 182 e 182-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152 che non ammettono alcuna limitazione sulla circolazione dei rifiuti speciali da e verso altre regioni.
Siffatta previsione, si traduce, dunque, in una misura potenzialmente limitativa all'introduzione di rifiuti speciali non pericolosi di provenienza extraregionale, con il conseguente concretarsi di un ostacolo alla libera circolazione delle cose.
Da quanto dianzi posto in rilievo, deriva il contrasto della norma regionale de qua con i parametri di cui agli artt. 3, 41 e 120 della Costituzione, oltre che il contrasto con l’art. 117, secondo comma 2, lett. s), della Costituzione, atteso che la norma regionale in questione, intervenendo in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato:
- introduce un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti l'attività di smaltimento operanti al di fuori del territorio regionale;
- restringe la libertà di iniziativa economica in assenza di concrete e giustificate ragioni attinenti alla tutela della sicurezza, della libertà e della dignità umana, valori che non possono ritenersi posti in pericolo dall'attività di smaltimento controllato e ambientalmente compatibile dei rifiuti;
- introduce un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le Regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici,' neppure di ordine sanitario o - ambientale (cfr. Corte Cost. sentenza n. 335 del 2001), violando il vincolo generale imposto alle Regioni dall'art. 120, primo comma, della Costituzione, che vieta ogni misura atta ad ostacolare «in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni» (sentenze n. 10 del 2009 ; n. 164 del 2007; n. 247 del 2006; n. 62 del 2005 e n. 505 del 2002).
Lo stesso Giudice delle leggi, in relazione sempre all'anzidetto parametro costituzionale di cui all'articolo 120 Cost. (sentenza n. 107 del 2018), dovendo vagliare la ragionevolezza delle leggi regionali che limitano i diritti con esso garantiti, ha ritenuto ,che «occorre esaminare: a) se si sia in presenza di un valore costituzionale in relazione al quale possano essere posti. limiti alla libera circolazione delle cose o degli animali; b) se, nell'ambito del suddetto potere di limitazione, la regione possegga una competenza che la legittimi a stabilire una disciplina differenziata a tutela di interessi costituzionalmente affidati alla sua cura; c) se il provvedimento adottato in attuazione del valore suindicato e nell'esercizio della predetta competenza sia stato emanato nel rispetto dei requisiti di legge e abbia un contenuto dispositivo ragionevolmente commisurato al raggiungimento delle finalità giustificative dell'intervento limitativo della regione, così da non costituire in concreto un ostacolo arbitrario alla libera circolazione delle cose fra regione e regione (sentenza n. 51 del 1991) ".

Per le esposte motivazioni, si ritiene quindi di impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale la legge della Regione Valle d'Aosta n. 8 del 2020, limitatamente all’articolo 10, per violazione dei limiti delle competenze statutarie e degli articoli 3, 41, 97, 117, comma 2, lett. s) e 120 Cost., in riferimento all’articolo 3, comma 29 della legge 28 dicembre 1995, n. 549.


ARTICOLO 13
L'articolo 13 stabilisce: "Salvo quanto previsto dall'articolo 42, comma 4, della legge regionale 25 gennaio 2000, n. 5 (Norme per la razionalizzazione dell'organizzazione del Servizio socio-sanitario regionale e per il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza delle prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali prodotte ed erogate nella regione), al fine di rafforzare l'offerta sanitaria regionale necessaria a fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, fino al 31 luglio 2022, nelle specialità in cui si constati, con le modalità e sulla base dei criteri stabiliti con deliberazione della Giunta regionale previo parere della Commissione consiliare competente, una rilevante carenza di personale sanitario cui non sia possibile far fronte attingendo dalle graduatorie di cui al predetto articolo 42, l'Azienda regionale USL della Valle d'Aosta (Azienda USL) può assumere, a seguito di procedure concorsuali pubbliche, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato di durata pari a ventiquattro o trentasei mesi, personale della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, senza il preventivo accertamento della conoscenza della lingua francese o italiana, a condizione che detto personale si impegni:
a) a frequentare, fuori dall'orario di servizio, i corsi per l'apprendimento della lingua mancante, organizzati e finanziati, a decorrere dall'entrata in vigore della presente legge, dall'Azienda USL e a sostenere, con esito positivo, la prova di accertamento della conoscenza della lingua francese o italiana entro trentasei mesi dalla data di assunzione a tempo determinato. II rapporto di lavoro si intende risolto di diritto in caso di mancato superamento della prova entro il predetto termine di trentasei mesi dalla data di assunzione a tempo determinato;
b) a partecipare, nei tre anni successivi alla data di superamento della prova di conoscenza della lingua francese o italiana, ai concorsi pubblici per l'assunzione a tempo indeterminato banditi, per la medesima o equipollente specialità, dall'Azienda USL;
c) a prestare servizio, in caso di assunzione all'esito dei concorsi di cui alla lettera b), presso le strutture dell' Azienda USL per un periodo minimo complessivo di tre anni, fermo restando quanto previsto dall' articolo 14, comma 1, ai fini del riconoscimento dell'indennità di attrattività".
Al fine di esplicitare le criticità che detta disposizione presenta, si rammenta, preliminarmente, che, per l'esercizio di una professione sanitaria, in Italia, è obbligatoria, ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. C.P.S. del 13 settembre 1946 n. 233 e s.m.i, l'iscrizione al relativo albo professionale.
Laddove la qualifica professionale sia stata conseguita all’estero, per esercitare in Italia la relativa professione sanitaria, occorre ottenere il riconoscimento della qualifica medesima e, solo a seguito di tale riconoscimento, è possibile l'iscrizione all'Ordine professionale di riferimento, previo accertamento della conoscenza della lingua italiana.
L'art. 53 della Direttiva 2005/36/CE e successive modifiche stabilisce che:
"1. 1 professionisti che beneficiano del riconoscimento delle qualifiche professionali possiedono in conoscenza delle lingue necessaria all' esercizio della professione nello Stato membro ospitante.
2. Uno Stato membro assicura che i controlli effettuati da un’autorità competente o sotto la sua supervisione per controllare il rispetto dell'obbligo di cui al paragrafo 1 siano limitati alla conoscenza di una lingua ufficiale dello Stato membro ospitante o di una lingua amministrativa dello Stato membro ospitante, a condizione che quest' ultima sia anche una delle lingue ufficiali dell'Unione.
3. 1 controlli svolti a norma del paragrafo 2 possono essere imposti se la professione da praticarsi ha ripercussioni sulla sicurezza dei pazienti. I controlli possono essere imposti nei confronti di altre professioni nei casi in cui sussista un serio e concreto dubbio in merito alla sussistenza di una conoscenza sufficiente della lingua di lavoro con riguardo alle attività professionali che il professionista intende svolgere. I controlli possono essere effettuati solo dopo rilascio di una tessera professionale europea a norma dell'articolo 4-quinquies o dopo riconoscimento di una qualifica professionale, a seconda dei casi.
4. II controllo linguistico e proporzionato all' attività da eseguire. II professionista interessato può presentare ricorso ai sensi del diritto nazionale contro tali controlli".
Inoltre, l'articolo 7 del d.lgs. n. 206 del 2007 dispone che:
"1. Fermi restando i requisiti di cui. al titolo II ed al titolo III, per l'esercizio della professione, i beneficiari del riconoscimento delle qualifiche professionali devono possedere le conoscenze linguistiche necessarie.
1-bis. Nel caso in cui la professione ha ripercussioni sulla sicurezza dei pazienti, le Autorità competenti di cui all' articolo 5 devono verificare la conoscenza della lingua italiana. I controlli devono essere effettuati anche relativamente ad altre professioni, nei casi in cui sussista un serio e concreto dubbio in merito alla sussistenza di una conoscenza sufficiente della lingua italiana con riguardo all'attività che il professionista intende svolgere".
Il fatto che la conoscenza della lingua italiana sia indispensabile per l'esercizio di ogni professione sanitaria trova ulteriore conferma nella previsione di cui all'art. 7, paragrafo 2, lettera f), della Direttiva 2005/36/CE in cui è previsto che nel caso in cui il prestatore si sposti, per la prima volta, da uno Stato membro all'altro per fornire servizi, il medesimo debba produrre "per le professioni che hanno implicazioni per la sicurezza dei pazienti, una dichiarazione della conoscenza, da parte del richiedente, della lingua necessaria all'esercizio della professione nello Stato membro ospitante". Depone in tal senso anche l'art. 50, comma 4, del D.P.R. n. 394 del 1999, "Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1,comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286", laddove precisa che "l'iscrizione negli albi professionali e quella negli elenchi speciali di cui al comma 1 sono disposte previo accertamento della conoscenza della lingua italiana e delle speciali disposizioni che regolano l’esercizio professionale in Italia, con modalità stabilite dal Ministero della sanità. All'accertamento provvedono, prima dell'iscrizione, gli ordini e collegi professionali e i1 Ministero della sanità, con oneri a carico degli interessati".
Dal quadro normativo appena tratteggiato si desume che, per poter esercitare in Italia una professione sanitaria, è necessario essere in possesso della conoscenza della lingua italiana.
Recentemente, la Corte costituzionale, con la sentenza 22 novembre 2018, n. 210, ha fugato ogni dubbio in merito, evidenziando che la giurisprudenza della Consulta "ha da tempo riconosciuto che la lingua italiana è l'unica lingua ufficiale del sistema costituzionale (sentenza n. 28 del 1982) e che tale qualificazione «non ha evidentemente solo una funzione formale, ma funge da criterio interpretativo generale delle diverse disposizioni che prevedono l'uso delle lingue minoritarie, evitando che esse possano essere intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da porre in posizione marginale la lingua ufficiale della Repubblica".
II quadro appena delineato induce a concludere che i professionisti sanitari devono necessariamente conoscere la lingua italiana ai fini dell'iscrizione all'albo di riferimento e dell'esercizio della professione, onde evitare pregiudizi per la tutela della salute degli assistiti.
Al riguardo, non appare superfluo evidenziare che, nell'ottica del necessario bilanciamento tra esigenze connesse alla tutela della salute, il Legislatore statale non ha mancato di stabilire deroghe alle norme in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie e in materia di cittadinanza per l'assunzione alle dipendenze della pubblica amministrazione, in considerazione delle difficoltà connesse alla gestione dell'emergenza epidemiologica e limitatamente alla durata dell'emergenza medesima.
Nello specifico, l'articolo 13 del decreto-legge cd. Cura Italia, n. 18 del 17 marzo 2020, convertito dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020, ha stabilito quanto segue:
"1. Per la durata dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga agli articoli 49 e 50 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999 n. 394 e successive modificazioni, e alle disposizioni di cui al decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, è consentito l' esercizio temporaneo di qualifiche professionali sanitarie ai professionisti che intendono esercitare sul territorio nazionale una professione sanitaria conseguita all'estero regolata da specifiche direttive dell'Unione europea. Gli interessati presentano istanza corredata di un certificato di iscrizione all'albo del Paese di provenienza alle regioni e Province autonome, che possono procedere al reclutamento temporaneo di tali professionisti ai sensi degli articoli 2-bis e 2ter del presente decreto.
1-bis. Per la medesima durata, le assunzioni alle dipendenze della pubblica amministrazione per l'esercizio di professioni sanitarie e per la qualifica di operatore socio-sanitario sono consentite, in deroga all' articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2007, n. 165, a tutti i cittadini di Paesi non appartenenti all' Unione europea, titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare, fermo ogni altro limite di legge".
L'articolo 13 della legge regionale in esame non risulta conforme a quanto disposto dall'articolo 13 del d.l. cd. Cura Italia
La disposizione regionale, oltre ad impattare sulla tutela della salute di cui all’articolo 32 della Costituzione, si pone in contrasto con quanto definito dalla giurisprudenza costituzionale in materia di "professioni"; in particolare tale giurisprudenza costituzionale che ha chiarito come la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle "professioni" debba rispettare il principio per cui non solo l'individuazione delle figure professionali, ma anche la definizione dei relativi titoli abilitanti, per il suo carattere necessariamente unitario, è riservata allo Stato (sentenze n. 153 del 2006 e n. 300 del 2007), e si ricorda come tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale (cfr. anche sentenze n. 98 del 2013, n. 138 del 2009, n. 93 del 2008, n. 300 del 2007, n. 40 del 2006).
Si rappresenta ulteriormente che il termine del 31 luglio 2022, previsto dalla norma in esame, al fine di definire l'arco temporale entro cui è possibile stipulare contratti a tempo determinato, non trova riscontro nella normativa nazionale che, allo stesso modo, ha disposto misure di potenziamento del Servizio Sanitario al fine di fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19. Tali misure, infatti, sono praticabili, in linea generale, esclusivamente fino al perdurare dello stato di emergenza sanitaria. Con riferimento specifico poi all'utilizzo dei contratti a tempo determinato, si richiama l'articolo 2-ter, comma 1, del decreto-legge 17/03/2020, n. 18, in forza del quale "Al fine di garantire l'erogazione delle prestazioni di assistenza sanitaria anche in ragione delle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del COVID19, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, verificata l'impossibilità di utilizzare personale già in servizio nonché di ricorrere agli idonei collocati in graduatorie concorsuali in vigore, possono, durante la vigenza dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, conferire incarichi individuali a tempo determinato, previo avviso pubblico, al personale delle professioni sanitarie e agli operatori socio-sanitari di cui all'articolo 2-bis, comma 1, lettera a)" del medesimo D.L. 18/2020.
La norma regionale presenta quindi profili suscettibili di distorsioni della ratio della regolamentazione in materia di ricorso ai contratti a termine, anche rispetto alla normativa nazionale emanata in stato di emergenza.
Per le esposte motivazioni, si ritiene quindi di impugnare innanzi alla Corte costituzionale la legge della regione Valle d’Aosta n. 8 del 2020, limitatamente all’articolo 13, in quanto in contrasto con l’articolo 5 del d.lgs. C.P.S. del 13 settembre 1946, n. 233, e successive modificazioni, con l’articolo 7 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, e con l'articolo 13 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 24 aprile 2020, n. 27, nonché con la normativa unionale, in violazione dei limiti delle competenze statutarie, nonché dell'articolo 117, comma secondo, lettera l), della Costituzione, che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, nonché per contrasto con la normativa nazionale emanata in stato di emergenza epidemiologica, di cui al decreto-legge 17/03/2020, n. 18, e conseguente violazione anche dell'articolo articolo 117, comma secondo, lettera q), Costituzione, in materia di profilassi internazionale, considerata la connessa attrazione allo Stato delle funzioni normative e amministrative necessarie a garantire unitarietà e omogeneità nella gestione dell'emergenza, ed altresì in violazione dell'articolo 117, comma 3, della Costituzione, che assegna allo Stato la competenza a definire i principi fondamentali in materia di "professioni", e dell’articolo 32 della Costituzione, per le finalità di tutela della salute.


ARTICOLI 14, 15, 22
Gli articoli 14, 15 e 22 della legge regionale in questione, al fine di mantenere e rafforzare l'offerta sanitaria regionale necessaria a fronteggiare l'emergenza da COVID-19, prevedono: un'indennità sanitaria valdostana in favore del personale della dirigenza medica, sanitaria e veterinaria, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e determinato sino al 31 dicembre 2020 (art. 14); un'indennità di disagio una tantum da corrispondere al personale dell'Azienda USL, di qualsiasi profilo professionale e tipologia contrattuale, compresi i somministrati, e al personale convenzionato che abbia prestato attività lavorativa nei mesi di marzo, aprile e maggio 2020 in strutture o servizi operanti in forma diretta o indiretta per l'emergenza da COVID-19 (art. 15); un'indennità COVID-19 una tantuni ai lavoratori delle Unités des Communes valdòtaines e del Comune di Aosta, di qualsiasi profilo professionale e tipologia contrattuale (OSS e altri profili professionali), che abbiano prestato servizio in presenza nelle microcomunità per anziani e nel servizio di assistenza domiciliare per l'emergenza epidemiologica da COVID-19 nei mesi di marzo, aprile e maggio (art. 22).
L’istituzione di indennità extra-ordinem si pone al di fuori della cornice della contrattazione collettiva nazionale, con caratteristiche peraltro indefinite nel quantum e nei presupposti per la percezione.
I citati articoli 14, 15 e 22 intervengono su aspetti, quali quelli del trattamento economico del personale dipendente della Regione, che sono riservati, per consolidato orientamento del giudice delle leggi, alla competenza esclusiva dello Stato in quanto attinenti all'ordinamento civile, violando, comunque, le disposizioni degli artt. 40 e ss del d.lgs n. 165/2001 che riconducono la disciplina del rapporto di lavoro pubblico privatizzato al codice civile e alla contrattazione collettiva. Al riguardo si evidenzia che ai sensi dell'art. 1, comma 3, del d.lgs n. 165/2001, le disposizioni del medesimo decreto legislativo n. 165/2001 vengono espressamente riportate a principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione - come quelle della legge-delega 421 del 1992- e come tali si impongono anche alle Regioni a statuto speciale (ex multis Corte Cost. sentenze n. 189/2007,160/2017 e 81/2019).
Per quanto concerne tali disposizioni finalizzate a riconoscere indennità al personale, si rileva che il DL 34/2020 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77/2020, ha esteso la finalizzazione delle risorse di cui all’art. 1, comma 1, del DL n. 18/2020, oltre che alla remunerazione del lavoro straordinario, prioritariamente alla remunerazione delle prestazioni correlate alle particolari condizioni di lavoro del personale dipendente, ivi incluse le indennità previste dall’articolo 86, comma 6, del CCNL 2016 – 2018, nonché, per la restante parte, ai relativi fondi incentivanti (articolo 2, comma 6, lettera a), consentendo altresì alle Regioni ed alle province autonome di incrementare, fino al doppio delle risorse ivi previste, con proprie risorse disponibili a legislazione vigente, fermo restando l’equilibrio economico sanitario della regione e provincia autonoma (articolo 2, comma 6, lettera b). Inoltre, si fa presente che il citato decreto ha disposto che “A valere sulle predette risorse destinate a incrementare i fondi incentivanti, le regioni e le province autonome possono riconoscere al personale dipendente un premio, commisurato al servizio effettivamente prestato nel corso dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020, di importo non superiore a 2.000 euro al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente e comunque per una spesa complessiva, al lordo dei contributi e degli oneri a carico dell'amministrazione, non superiore all'ammontare delle predette risorse destinate a incrementare i fondi incentivanti.”
Le disposizioni legislative nazionali, emanate per fronteggiare l’emergenza sanitaria determinata dal diffondersi del Covid- 19, hanno riguardato, in un’ottica di unitarietà di sistema e di omogeneizzazione e perequazione dei trattamenti e di coordinamento finanziario, sia le regioni (ivi comprese quelle a statuto speciale) che le province autonome. Proprio ai fini del perseguimento delle predette finalità, le risorse stanziate dallo Stato sono state ripartite tra tutti i predetti enti e la possibilità di stanziare ulteriori risorse al livello territoriale è stata prevista anche per le regioni a statuto speciale e per le province autonome secondo i medesimi criteri previsti per le regioni. Infatti, l’articolo 2, comma 6, lettera b), del predetto dl n. 34/2020 ha previsto la possibilità per le regioni e province autonome, di incrementare, con risorse proprie, gli importi indicati nella citata tabella A del dl n. 18/2020, assegnati dallo Stato per l’incremento dei fondi del trattamento accessorio del personale, fino al doppio degli stessi. In tali termini si è consentito di incrementare i fondi in parola,
di un importo complessivo - quale somma tra il finanziamento statale e quello regionale/provinciale - non superiore al doppio della quota di finanziamento statale attribuita a ciascuna regione e provincia autonoma.
Detto ciò si evidenzia che, sulla base del quadro di interventi sopra delineato, l’importo stanziabile a livello regionale per la predetta finalità non potrebbe superare la quota, pari a 526.051 euro, assegnata dallo Stato alla regione Valle D’Aosta. Con la legge in esame, invece, si prevede di destinare al trattamento economico del personale impegnato nell’emergenza, risorse di importo di gran lunga superiore a quello previsto, anche in un’ottica di omogeneità dei trattamenti, dalle richiamate disposizioni statali.
Quanto sopra in deroga, oltre che al citato articolo 23, comma 2, d.lgs n. 75, anche alla normativa contrattuale, cui è riservata la disciplina del rapporto di lavoro del personale contrattualizzato, ivi compreso il relativo trattamento economico.
Si palesa quindi la non coerenza di tali previsioni regionali con le finalità del predetto DL n. 34/2020 e con quelle del precedente DL 18/2020 e la loro incompatibilità con l’attuale sistema di determinazione dei trattamenti economici previsti in linea generale dalla contrattazione collettiva a cui è riservata la relativa disciplina.
Per le esposte motivazioni, si ritiene quindi di impugnare la legge regionale della Valle d’Aosta n. 8 del 2020, limitatamente agli articoli 14, 15 e 22, per violazione dei limiti delle competenze statutarie e dell'articolo 117, secondo comma, lettera l), Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile, con riferimento agli artt. 40 e ss del d.lgs n. 165/2001, nonché per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione in quanto in contrasto con le finalità perequative e di omogeneizzazione dei trattamenti tra operatori del settore sanitario operanti in ambito nazionale ed esposti al medesimo rischio, ed altresì in violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, con riferimento all’art. 23, comma 2, del d.lgs n. 75/2017 e con riguardo alla violazione degli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica perseguiti anche nel periodo emergenziale dal complesso delle misure introdotte dal legislatore nazionale, di cui al decreto-legge 34/2020, convertito, con modificazioni, in legge n. 77/2020, ed al precedente DL 18/2020.

ARTICOLO 46
L’articolo 46 della legge regionale in questione dispone che al personale, regionale e degli enti locali, compreso quello degli Uffici stampa, che abbia prestato a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa presso la struttura regionale di primo livello denominata Dipartimento Protezione Civile e Vigili del fuoco, nei mesi di marzo e aprile 2020, per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, spetta un'indennità di disagio una tantum, pari a curo 20 curo lordo busta, per ogni giornata effettivamente lavorata nel predetto periodo. L'articolo 46, disciplinando il trattamento economico del personale della regione, presenta anch'esso i medesimi profili di illegittimità costituzionale già illustrati con riguardo agli art. 14, 15 e 22.
Per le esposte motivazioni, si impugna la legge regionale della Valle d’Aosta n. 8 del 2020, limitatamente all’articolo 46, per violazione dei limiti delle competenze statutarie e dell'articolo 117, secondo comma, lettera l), Costituzione, con riferimento agli artt. 40 e ss del d.lgs n. 165/2001.

ARTICOLO 77
L’articolo 77 della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta n. 8 del 2020 reca disposizioni che violano i limiti statutari posti al legislatore regionale nella disciplina dei contratti pubblici nonché l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost..
In particolare, l'articolo 77, comma 1, prevede che le misure di semplificazione della legge regionale in questione debbano applicarsi alle procedure avviate dal 14 luglio e fino al 31 dicembre 2020, ponendosi in contrasto con la normativa statale che, in relazione all'aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia (art. 1 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76) e sopra soglia (art. 2 decreto legge n. 76/2020), introduce una diversa disciplina di accelerazione che si applica alle procedure di affidamento e alla disciplina dell'esecuzione del contratto qualora la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 luglio 2021.
L'articolo 77, comma 2, stabilisce l'applicazione di modelli procedurali di affidamento in contrasto con le modalità di affidamento dei contratti c.d. sottosoglia disciplinate nell'articolo 1, comma 2, lettere a) e b) del decreto legge n. 76 del 2020 e nelle disposizioni dell'articolo 36 del decreto legislativo n. 50 del 2016;
Sempre il comma 2 (lettere a), b), c), e) e f) ) prevede la "individuazione degli operatori economici da valutare prioritariamente tra quelli con sede legale o operativa in Valle d'Aosta, attingendo dagli elenchi di operatori economici già formati o a seguito di indagine di mercato". Ciò configura un trattamento di favore per gli operatori radicati nel territorio regionale, determinando un ostacolo alla concorrenza, in quanto, consentendo una riserva di partecipazione, altera la par condicio fra gli operatori economici interessati all'appalto.
Si rappresenta che, in base alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, le disposizioni «regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e [..] le Regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n. 322 del 2008)» (cfr. sentenza n. 39 del 2020). Ciò vale «anche per le disposizioni relative ai contratti sotto soglia (sentenze n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007), [..] senza che rilevi che la procedura sia aperta o negoziata (sentenza n. 322 del 2008)» (in tal senso, sentenza n. 39 del 2020).
La disposizione regionale non risulta coerente con il disposto di cui all’articolo 36 del decreto legislativo n. 50/2016, secondo cui l’affidamento degli appalti deve avvenire “nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti”, individuando gli operatori economici “sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici”, senza prevedere alcuna indicazione di provenienza o svolgendo indagini di mercato senza alcuna limitazione territoriale.
Inoltre, la disposizione si pone anche in contrasto con l’articolo 30, comma 1, del decreto legislativo n. 50/2016, che “impone il rispetto dei principi di libera concorrenza e non discriminazione” laddove prevede che le stazioni appaltanti, ai fini dell’aggiudicazione del contratto di lavori, servizi o forniture, possono consultare prioritariamente gli operatori economici aventi sede legale o operativa nel territorio regionale.
Dall’esame delle norme richiamate, si evince che la norma regionale in esame - dalla ratio simile ad una legge regionale recentemente scrutinata negativamente dalla Corte Costituzionale nel giudizio di legittimità costituzionale del 5 maggio 2020 con la sentenza n. 98 – introduce una possibile riserva di partecipazione a favore degli operatori economici con sede nel territorio della regione non consentita dalla legge statale, con discriminazione degli operatori economici in base alla territorialità.
Con la pronuncia sopra richiamata, la Corte Costituzionale ha osservato che l’esistenza di una sede operativa prossima al luogo di esecuzione della prestazione “può essere richiesta solo in relazione a particolari modalità di esecuzione della specifica prestazione (…) non in modo generalizzato e valevole per tutti i contratti” (Corte Cost., sentenza 5 maggio 2020, n. 98).
La disposizione regionale, pertanto, potrebbe impedire un confronto competitivo tra gli operatori economici e rivelarsi lesiva del principio di non discriminazione e di parità di trattamento in quanto, consentendo una riserva di partecipazione, che altera la par condicio fra gli operatori economici interessati all’appalto. In sostanza, la norma, nel permettere alle stazioni appaltanti di valutare con preferenza le offerte economiche delle imprese con sede legale o operativa in Valle d’Aosta, potrebbe determinare il mancato rispetto dei criteri generali previsti per la selezione delle imprese da invitare, e conseguentemente, potrebbe giustificare l’invito di imprese che dovrebbero essere escluse dalla gara.
La norma, pertanto, nel riservare un trattamento di favore per le imprese radicate nel territorio regionale sarebbe di ostacolo alla concorrenza, alterando la par condicio fra gli operatori economici, determinando una “limitazione della concorrenza che non è giustificata da alcuna ragione se non quella – vietata – di attribuire una posizione di privilegio alle imprese del territorio per favorire l’economia regionale” (Corte Cost., sent. 5 maggio 2020, n. 98).
Secondo la giurisprudenza costituzionale in materia di appalti pubblici gli aspetti relativi alle procedure di selezione e ai criteri di aggiudicazione “sono riconducibili alla tutela della concorrenza” (Corte Cost., sent. n. 320 del 2008 e n. 401 del 2007), di esclusiva competenza del legislatore statale, ragion per cui le regioni, anche ad autonomia speciale, non potrebbero “prevedere in materia una disciplina difforme da quella statale” (Corte Cost., sent. n. 263 del 2016; n. 36 del 2013 e n. 328 del 2011).Si rappresenta che l’articolo 2 del decreto legislativo n. 50/2016, con riferimento alle competenze legislative di Stato, regioni e province autonome prevede, al secondo comma, che le regioni a statuto ordinario esercitano le proprie funzioni nelle materie di competenza regionale ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione e, al terzo comma, che le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano debbano adeguare la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione.
Dall’esame dello Statuto Speciale per la Valle d’Aosta – Legge Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, non si rilevano possibilità di derogare le disposizioni del codice dei contratti pubblici. Peraltro, l’articolo 10 della legge della regione autonoma della Valle d’Aosta del 2 agosto 2016, n. 16, recante “Disposizioni in materia di contratti pubblici. Modificazione alla legge regionale 19 dicembre 2014, n. 13”, ha disposto, a far data dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 50/2016, l’abrogazione di ogni disposizione di legge regionale in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture incompatibile con la disciplina del codice dei contratti pubblici, con ciò denotando una volontà legislativa regionale di adeguarsi totalmente alle disposizioni del citato decreto legislativo n. 50/2016.
Inoltre, la giurisprudenza amministrativa ha sancito l'illegittimità della "(...) clausola presente nel bando di gara secondo cui ogni impresa concorrente deve dimostrare, in sede di prequalifìca, la capacità di gestire i servizi mediante contratti di rete territoriali stipulati esclusivamente con soggetti già radicati sul territorio, o meglio, già presenti nel luogo dell'esecuzione dei servizi oggetto dell'appalto specifico, (che) introduce un limite inderogabile che estromette dalla procedura selettiva i soggetti interessati ad operare in loco ma che non sono già radicati sul territorio di riferimento e che costringe l'offerente a non avere altra scelta che avvalersi degli operatori di rete locali, già attivi in loco" (cfr. TAR Toscana, Sez. III, 28 marzo 2020, n. 371).
La disposizione regionale è quindi invasiva della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, con riferimento agli articoli 30, comma 1, e 36 del decreto legislativo n. 50/2016,

L'articolo 77, comma 5, stabilisce che per i contratti pubblici in corso di esecuzione alla data di entrata della legge regionale, è consentita ogni modifica necessaria ad adeguare le modalità di esecuzione alla sopravvenuta normativa, statale e regionale, di contrasto e contenimento dell'emergenza epidemiologica da COVID- 19, anche ricorrendo a soluzioni tecniche e organizzative non previste dai documenti di gara e dal contratto, da ritenersi equivalenti, tenuto conto delle mutate condizioni, per la tutela della continuità del rapporto contrattuale e il perseguimento delle finalità di pubblico interesse della stazione appaltante. E' previsto, poi, che nell'autorizzare le modifiche, il responsabile unico del procedimento indica, ove necessario, il nuovo termine contrattuale.
La previsione della legge regionale si discosta dalla disciplina di derivazione statale dettata con riferimento alle modifiche, connesse alla situazione emergenziale da COVID - 19, nella fase esecutiva del contratto. Ed invero, l'articolo 8, comma 4, del decreto legge n. 76 del 2010, con riferimento ai lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del decreto, anche in deroga alle previsioni contrattuali, prevede: alla lettera a) misure che consentono di effettuare immediatamente il pagamento delle lavorazioni già realizzate al momento dell'entrata in vigore del decreto; alla lettera b) il rimborso dei conseguenti maggiori oneri sopportati dagli appaltatori a valere sulle somme a disposizione della stazione appaltante indicate nei quadri economici dell'intervento, ove necessario, utilizzando anche le economie derivanti dai ribassi d'asta; alla lettera c) che, ove il rispetto delle misure di contenimento in parola impedisca, anche solo parzialmente, il regolare svolgimento dei lavori ovvero la regolare esecuzione dei servizi o delle forniture, ciò costituisce causa di forza maggiore, ai sensi dell'articolo 107, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Si precisa che, qualora il rispetto delle misure di contenimento in parola impedisca di ultimare i lavori, i servizi o le forniture nel termine contrattualmente previsto, ciò costituisce circostanza non imputabile all'esecutore ai sensi del comma 5 del citato articolo 107 ai fini della proroga di detto termine, ove richiesta, e che, in considerazione della qualificazione della pandemia COIVD- 19 come "fatto notorio" e della cogenza delle misure di contenimento disposte dalle competenti Autorità, non si applicano, anche in funzione di semplificazione procedimentale, gli obblighi di comunicazione all'Autorità nazionale anticorruzione e le sanzioni previste dal terzo e dal quarto periodo del comma 4 dell'articolo 107 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Sempre il comma 5 dell'articolo 77 contrasta anche con le disposizioni, a regime del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, che, agli articoli 106 e 107, prevede un'apposita disciplina con riguardo alla modifica dei contratti durante il periodo di efficacia (dove tra l'altro si prevedono delle soglie economiche oltre le quali le modifiche contrattuali non sono ammesse senza la previsione di indizione di una nuova gara) e sulla sospensione dell'esecuzione del contratto (nella quale, tra l'altro, sono dettate apposite disposizioni in relazione ai compiti del RUP).
Si ritiene quindi di impugnare innanzi alla Corte costituzionale la legge della Regione Valle d’Aosta n. 8 del 2020, limitatamente alle disposizioni di cui all’articolo 77, commi 1, 2 e 5, che disciplinano istituti afferenti le procedure di gara e l'esecuzione dei contratti violando i limiti statutari posti al legislatore regionale nella disciplina dei contratti pubblici e l'articolo 117, secondo comma, lettera e), Cost., in riferimento agli articoli 1, 2 e 8 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, ed agli articoli 36, 106 e 107 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nonché prevedono la possibilità di riservare un trattamento di favore per gli operatori radicati nel territorio regionale, alterando la par condicio fra gli operatori economici, in contrasto con l'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.

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