Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni in materia di valorizzazione e utilizzazione commerciale e turistica del trabucco molisano. (11-11-2020)
Molise
Legge n.12 del 11-11-2020
n.76 del 16-11-2020
Politiche infrastrutturali
30-12-2020 / Impugnata
Con la legge in esame, la Regione Molise introduce disposizioni in materia di valorizzazione e utilizzazione commerciale e turistica del trabucco molisano.
La norma presenta aspetti di illegittimità costituzionale con riferimento alle disposizioni contenute negli articoli 1,2 e 5, che si pongono in contrasto con numerose disposizioni del Codice dei beni e delle attività culturali - d.lgs. n. 42 del 2004 - le quali, per i motivi che di seguito si illustrano, costituiscono norme interposte nella violazione della competenza statale in materia di paesaggio e beni culturali di cui agli articoli 9, e 117 secondo comma lettera s) della Costituzione.

Si premette che, come noto, il “trabucco” (o “trabocco”) è una macchina da pesca completamente realizzata in legno, la cui presenza è attestata storicamente lungo la costa dell’Abruzzo meridionale (area teatina), nel Molise ed in Puglia (Gargano). Consiste in una piattaforma impostata su pali infissi nel fondo marino, collegata per mezzo di una passerella con la riva, in genere in corrispondenza di uno sperone roccioso o di un manufatto in elevato. Quasi sempre è presente sulla piattaforma un piccolo locale, un “capanno”, con funzioni di deposito di attrezzature per la pesca. Sulla piattaforma sono inoltre ancorati i supporti per le canne da pesca e le attrezzature per manovrare una grande rete di forma rettangolare a “bilancia”. Si tratta di una architettura “povera”, non normata nella sua tecnologia costruttiva, ma caratterizzata da una sapienza realizzativa tradizionale alquanto sofisticata.
Nel breve tratto di costa adriatica molisana ne è documentata l’esistenza a Termoli già a partire dalla prima metà del XIX secolo. Non ci sono, al contrario, notizie sulla presenza in antico ed ai giorni nostri di trabucchi negli altri comuni litoranei della regione (Montenero di Bisaccia, Petacciato, Campomarino).
Tali manufatti rivestono interesse sia sotto il profilo culturale che paesaggistico.
I trabucchi possono infatti essere dichiarati di interesse culturale dal Ministero per i beni e le attività culturali , risultando così sottoposti alle disposizioni di tutela contenute nella Parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, che subordina ogni intervento di trasformazione del bene all’autorizzazione della Soprintendenza (cfr. art. 21).
Sono soggetti anche a tutela paesaggistica, ai sensi della Parte III del citato Codice, in quanto ricadono nella fascia costiera vincolata ope legis ai sensi del comma 1, lett. a), dell’art. 142 del medesimo Codice. Inoltre, sempre sotto il profilo dell’interesse paesaggistico, i trabucchi molisani ricadono in ambiti territoriali (il comune di Termoli e gli altri già citati comuni) sottoposti alle disposizioni del Piano territoriale paesistico di area vasta (PTPAAV) n. 1 Fascia costiera, la cui approvazione equivale a dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497 del 1939 (e ora della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio), come stabilito dalla legge regionale n. 24 del 16 dicembre 1989 (cfr. art. 8, comma 1: “I contenuti dei Piani territoriali paesistico - ambientali di area vasta … equivalgono a dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497 del 1939”).
L’intero ambito è denominato dal predetto PTPAAV n. 1 come “A2N1” e per esso è prevista una specifica normativa degli usi compatibili, in forza della quale “per le strutture edilizie esistenti sono ammessi solo interventi di manutenzione e restauro con esclusione di qualsiasi opera che comporti alterazione delle caratteristiche visive e paesaggistiche d’ambito”.
L’area è classificata dal Piano tra le “aree del sistema insediativo con valore percettivo alte”, nelle quali la trasformazione è condizionata a requisiti progettuali da verificarsi da parte della Soprintendenza in sede di espressione del parere previsto dall’art. 146 del Codice di settore nell’ambito del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Si rileva ancora che la Regione Molise ha già disciplinato gli “Interventi per il recupero della tradizione dei trabucchi della costa molisana” con la legge regionale n. 44 del 1999, con la quale si dispone, all’art. 1, che “La Regione Molise, mediante gli interventi previsti dalla presente legge, promuove la valorizzazione, quale bene storico-culturale e paesistico-ambientale, della tradizione dei trabucchi della costa molisana favorendo il recupero di quelli esistenti e la realizzazione di nuovi trabucchi anche fluviali e lacuali con tipologia in legno e nel rispetto della loro funzione tipica, in armonia con il paesaggio e l’ambiente”.
All’art. 2 della medesima legge si prevede che l’individuazione dei beni e dei criteri per il recupero sia avviata dalla Regione in collaborazione con il Ministero per i beni e le attività culturali , censendo in apposito elenco i trabucchi e i loro rispettivi siti.
La predetta normativa regionale appare rispettosa dei limiti della potestà normativa riconosciuta alle Regioni, in quanto mira all’incremento della tutela (sempre consentito alle Regioni, secondo i principi, anche in presenza di una riserva allo Stato della potestà legislativa in tale ambito) e alla valorizzazione del patrimonio culturale nel quadro dei principi ricavabili dalla disciplina statale. La citata normativa regionale assicura infatti il rispetto della funzione tipica dei trabucchi (la pesca) e prevede modalità operative di valorizzazione dei manufatti in collaborazione tra il Ministero e la Regione.
Con la nuova legge regionale in esame, la Regione ha invece introdotto ulteriori disposizioni che appaiono del tutto esorbitanti rispetto alle attribuzioni legislative dell’Ente, oltre che distoniche rispetto alla normativa precedente, e ciò senza chiarire il rapporto della nuova normativa con la precedente legge n. 44 del 1999, il cui rispetto è pure richiamato dall’art. 2, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2020.
Premesso quanto sopra la legge regionale in esame presenta diversi profili di illegittimità costituzionale. In particolare :

1. L’art. 1, comma 2, prevede: “I trabucchi e l’area circostante fino ad una fascia di 50 metri dal sedime sono considerati beni culturali sottoposti alla disciplina di cui al decreto legislativo n. 42/2004”.
Tale disposizione invade manifestamente l’ambito riservato alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. Non spetta infatti alla Regione definire quali beni sono sottoposti alla normativa di tutela, atteso che l’individuazione compete unicamente allo Stato, a cui sono attribuite anche le funzioni amministrative di tutela dei beni culturali.
Come è noto, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, in attuazione dei principi costituzionali espressi dagli articoli 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, rispetto ai quali costituisce normativa interposta (cfr., ex multis, Corte cost. n. 194 del 2013), riserva al Ministero per i beni e le attività culturali le funzioni di tutela, volte primariamente all’individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale, e secondariamente a garantirne la protezione e la conservazione a fini di fruizione, riconoscendo agli altri enti pubblici territoriali funzioni di cooperazione nell’esercizio di tali funzioni (cfr. articoli 4 e 5 del Codice). La scelta del legislatore risponde all’esigenza di garantire l’esercizio unitario della tutela. Anche il Giudice amministrativo ha da sempre riconosciuto che “è patrimonio acquisito quello per cui (ex aliis Consiglio di Stato sez. VI 13/09/2012 n. 4872) le valutazioni in ordine all’esistenza di un interesse particolarmente importante di un immobile, tali da giustificare l’apposizione del relativo vincolo e del conseguente regime, costituiscono espressione di un potere di apprezzamento essenzialmente tecnico, con cui si manifesta una prerogativa propria dell’Amministrazione dei beni culturali nell’esercizio della sua funzione di tutela del patrimonio” (Cons. Stato, Sez. IV, 9 febbraio 2016, n. 514, n. 517, n. 519; Id. 29 febbraio 2016, n. 846).
Soltanto lo Stato può quindi stabilire quali beni siano assoggettati alla disciplina di tutela culturale di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, mentre è radicalmente escluso che una tale scelta possa essere operata da una regione.
Ciò non significa che alle regioni sia assolutamente inibito intervenire in materia di tutela, ma un tale intervento è consentito esclusivamente al di fuori del perimetro di applicazione della disciplina di tutela dettata dallo Stato. La Corte costituzionale ha avuto modo di precisare il contesto e i limiti entro i quali, al di fuori dello schema classico “tutela/valorizzazione”, può legittimamente esercitarsi la potestà legislativa delle regioni, precisando che essa deve svolgersi “non già in posizione antagonistica rispetto allo Stato, ma in funzione di una salvaguardia diversa ed aggiuntiva: volta a far sì che, nella predisposizione degli strumenti normativi, ci si possa rivolgere – come questa Corte ha avuto modo di sottolineare (sentenza n. 232 del 2005) – oltre che ai «beni culturali» identificati secondo la disciplina statale, e rilevanti sul piano della memoria dell’intera comunità nazionale, eventualmente (e residualmenteanche ad altre espressioni di una memoria “particolare”, coltivata in quelle terre da parte di quelle persone, con le proprie peculiarità e le proprie storie” (Corte costituzionale, sentenza n. 194 del 2013).
In sintesi, alle Regioni è consentita unicamente una tutela aggiuntiva, la quale può legittimamente estrinsecarsi negli spazi non coperti dalla disciplina statale, in senso per così dire praeter legem e non contra legem. La Consulta ha tuttavia specificato che una eventuale disciplina regionale in tale ambito deve evitare di sovrapporsi alla disciplina dello Stato, prendendo in considerazione soltanto beni per i quali sia stato espressamente escluso un interesse culturale ai sensi del Codice. Nella pronuncia già richiamata si evidenzia, infatti, che per evitare tale (non consentita) sovrapposizione non è neppure sufficiente che la Regione dichiari di riferirsi a beni diversi da quelli di cui all’art. 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma è necessario che la legge regionale preveda espressamente “di rivolgersi soltanto a quelle cose che, in quanto non riconosciute o non dichiarate di “interesse culturale”, all’esito dei previsti procedimenti, risultassero, perciò, escluse, come previsto, dall’applicazione delle disposizioni del codice (art. 12, comma 4, e artt. 13 e seguenti del codice dei beni culturali), in quanto non ricomprendibili nel novero dei beni culturali di cui al predetto art. 10” (Corte cost. n. 194 del 2013).
Con ogni evidenza, la disposizione regionale qui censurata si pone del tutto al di fuori dei canoni indicati dalla Corte costituzionale, atteso che non solo la Regione è intervenuta con riferimento a beni (i trabucchi) vincolati o suscettibili di vincolo ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma ha anche inteso stabilire per tali beni proprio l’assoggettamento allo specifico regime di tutela della Parte II del Codice, che è esercitato esclusivamente dallo Stato.
Oltre all’invasione della potestà statale, la previsione regionale è anche in contrasto con la disciplina sostanziale del Codice, in quanto pretende di sottoporre a tutela culturale tutti i trabucchi, indipendentemente dall’epoca di realizzazione, che potrebbe anche essere recente, atteso che la stessa legge incentiva la realizzazione di nuovi trabucchi, come si dirà. Sotto questo profilo, è evidente la distonia della disposizione censurata rispetto alla disciplina del Codice, la quale prevede che non possano essere assoggettate a tutela culturale le cose che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni (art. 10, comma 5)
Conclusivamente, la norma risulta illegittima per invasione della potestà esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali di cui all’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione , stante la violazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio, costituente normativa interposta, e in particolare delle norme che attribuiscono esclusivamente allo Stato le funzioni di tutela (art. 4) e disciplinano le modalità di individuazione dei beni di interesse culturale (articoli 10, 13 e 14 del Codice).

2. L’articolo 2 dispone che “I Comuni, per le finalità di cui all’articolo 1, devono redigere piani per il recupero, il ripristino, la conservazione e la costruzione dei trabucchi, disponendo gli ambiti localizzativi per le nuove costruzioni e le norme tecniche attuative, nel rispetto delle prescrizioni contenute nel Piano degli Arenili Comunale (PSC), nonché di quanto previsto dalla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 44 (Interventi per il recupero della tradizione dei trabucchi della costa molisana)” (comma 1) e che “I Piani di cui al comma 1 devono essere recepiti nel «Piano Paesaggistico Regionale»” (comma 2).
La disciplina regionale rimette dunque esclusivamente ai Comuni la disciplina pianificatoria inerente ai trabucchi e agli ambiti paesaggistici interessati dai manufatti, con ciò sovvertendo il sistema di competenze nonché il rapporto di gerarchia tra gli strumenti di pianificazione stabilito dal Codice di settore, che attribuisce al piano paesaggistico regionale la disciplina pianificatoria dei contesti tutelati, conferendogli altresì una posizione di primazia rispetto a tutti gli altri piani.
Il legislatore nazionale, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, ha assegnato infatti al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale.
L’articolo 135, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio dispone, in particolare, che “Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: "piani paesaggistici". L’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143.”. I successivi articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono, poi, l’inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l’immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008).
Mediante la suddetta disciplina statale, è stata effettuata una scelta di principio la cui validità e importanza è già stata evidenziata più volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell’impugnazione di leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei Comuni e delle Regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno strumento di pianificazione sovracomunale, definito d’intesa tra lo Stato e la Regione. La Corte ha, infatti, affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte Cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
In contrasto con i suddetti principi, l’articolo 2 della legge regionale censurata rimette esclusivamente ai Comuni la disciplina d’uso degli ambiti tutelati, finalizzata al recupero e alla realizzazione di trabucchi, che dovrebbe essere invece dettata dal Piano paesaggistico da approvarsi previa intesa con lo Stato; per di più, la previsione regionale stabilisce che tale disciplina comunale debba essere recepita dal piano paesaggistico, con ciò sovvertendo il rapporto di gerarchia tra i piani stabilito dal legislatore statale.
L’art. 143, comma 9, del Codice stabilisce infatti che a far data dall’approvazione del piano paesaggistico “le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici”, mentre il successivo art. 145, comma 3, dispone che “Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette”. Conseguentemente, il comma 4 del medesimo art. 145 prevede che “I comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo”.
Emerge da quanto illustrato la violazione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, disposizione rispetto alla quale costituiscono norme interposte le previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio che specificamente disciplinano la pianificazione paesaggistica, e in particolare gli articoli 135, 143 e 145.
È, inoltre, violato anche l’art. 9 della Costituzione, in quanto la disciplina regionale determina un abbassamento del livello della tutela del paesaggio, costituente valore primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007).

3. L’art. 5 della legge regionale, recante “Disposizioni tecniche”, prevede i limiti dimensionali che devono essere osservati dai Comuni, in sede di redazione dei Piani comunali di recupero di cui all’art. 2, per la realizzazione di nuovi trabucchi.
In particolare, il comma 1 prevede: “Per la realizzazione di nuovi trabucchi, in sede di redazione dei Piani comunali di cui all’articolo 2, i Comuni, osservano i seguenti limiti dimensionali:
a) la struttura destinata alla ristorazione aperta al pubblico, esclusa l’area occupata dalla rete e dalle passerelle, non può eccedere la superficie di 180 metri quadrati calpestagli e la parte di struttura destinata ai servizi accessori connessi alla ristorazione, quali cucina e servizi, e ai servizi igienici non può eccedere la superficie di 60 metri quadrati calpestagli;
b) la passerella di accesso, la cui superficie è esclusa dal computo dei parametri massimi individuati dalla lettera a), deve avere una larghezza compresa tra metri 2 e metri 2,30, per una lunghezza massima di metri 50. Le passerelle laterali, ove previste, devono avere una larghezza compresa tra metri 2 e metri 2,30 e una lunghezza compatibile con le necessità funzionali;
c) la rete da pesca deve rispettare le dimensioni normative. Il trabucco può essere dotato di una rete di arredo, simbolica, fissa e non fruibile per la pesca, di dimensioni non superiori a metri quadrati 300;
d) altezza massima della piattaforma dal livello mare compresa tra metri 5,20 e metri 6;
e) utilizzo di materiali naturali (legno massello), opportunamente verniciati con strato protettivo, con esclusione delle parti di fondazione e quelle a contatto con il mare e con gli scogli, che possono essere realizzate in metallo idoneo. È data facoltà di utilizzare una tipologia costruttiva in cemento armato solo per la parte delle fondazioni profonde totalmente al di sotto del fondale come pali o plinti a bicchiere a cui possono essere appoggiate le parti strutturali in legno o metallo idoneo. È escluso l’utilizzo di materiali plastici e legno lamellare;
f) i collegamenti tra le travi portanti devono essere realizzati esclusivamente con bullonatura in acciaio, adeguatamente dimensionata;
g) tutti gli impianti a servizio del trabucco (idrico, elettrico) devono essere resi non visibili mediante condotti scatolari in legno di idonea dimensione e sezione;
h) le porte e gli infissi devono essere in legno massello opportunamente verniciato con protettivo;
i) non è consentito pavimentare il tavolato e le passerelle;
j) le coperture delle superfici possono essere protette con impermeabilizzante non visibile esternamente;
k) i tiranti devono essere realizzati con filo metallico zincato di idonea sezione;
I) deve essere garantito il carattere provvisorio dei manufatti”.
Il comma 2 precisa che i predetti limiti dimensionali, riferiti a un eventuale utilizzo del trabucco per attività di ristorazione (cfr. comma 1, lett. a), si applicano anche in caso di ristrutturazione e ampliamento dei trabucchi esistenti, se pur nel rispetto della normativa regionale e statale vigente in materia.
Tali disposizioni contrastano irragionevolmente con la stessa normativa regionale, laddove, all’art. 3, dispone: “I trabucchi devono conservare la finalità di pesca per diletto e luogo di incontro” (comma 1). Il comma 3 dell’art. 3 prevede inoltre: “È fatto divieto assoluto di utilizzare i trabucchi per scopi diversi da quelli previsti dalla presente legge e dalle leggi regionali e statali in materia, nonché di realizzare qualunque intervento di trasformazione edilizia, ad eccezione di quelli strettamente necessari per la conservazione, l’ottimizzazione della funzionalità e il superamento delle barriere architettoniche”.
Con le previsioni dell’art. 5, invece, il legislatore regionale, contraddicendo apertamente le più stringenti previsioni dell’art. 3 della medesima legge sopra richiamate, prevede l’utilizzo dei trabucchi anche per finalità di ristorazione, fissando conseguentemente parametri dimensionali del tutto sproporzionati e tali da snaturare le caratteristiche tipiche di tali manufatti, i quali – giova ricordarlo – dovrebbero essere realizzati in ambiti costieri, come tali soggetti a vincolo paesaggistico, al di fuori del quadro necessario della pianificazione paesaggistica (cfr. quanto sopra detto con riferimento all’art. 2).
Per di più, tale disciplina viene estesa anche ai trabucchi esistenti, tra i quali sono compresi, potenzialmente, anche quelli dichiarati (pure) di interesse culturale (oltre che paesaggistico).
Sotto altro profilo, le disposizioni censurate, nell’intervenire sui parametri di superficie, incidono, di fatto, sui Piani degli arenili, i quali contengono prescrizioni specifiche molto più restrittive di quelle previste dalla legge regionale.
Si riporta, come esempio, un estratto delle norme tecniche degli arenili del Comune di Termoli che all’art. 6.3 individua le norme per la realizzazione dei nuovi trabucchi, in conformità a quanto previsto all’art. 9, punto 9, del Piano regionale di utilizzazione delle aree del demanio marittimo a finalità turistico-ricreative (PRUA).
6.3 Trabucchi
6.3.1 I trabucchi, come noto, sono delle strutture da pesca da terra di antica tradizione. Sono ubicati come risulta dalla tavola di zonizzazione del Comune di Termoli, sulla scogliera nord di protezione del Borgo Vecchio e del Porto. Dovranno essere realizzati con strutture rigorosamente ed esclusivamente lignee utilizzando tecniche e materiali del passato e conservando anche l’aspetto estetico antico.
Le caratteristiche plano altimetriche:
L’altezza sul livello del mare dovrà essere inferiore a 5 mt
La superficie scoperta dovrà essere non superiore a 50 mq
La superficie coperta del capanno dovrà essere non superiore a 20 mq
All’interno dell’ambito di applicazione del Piano Spiaggia Comunale ricadono aree soggette a vincoli paesaggistici dettati dal Piano Territoriale Paesistico di Area vasta.
Non vi è chi non veda, da un confronto con i parametri dimensionali previsti dal Piano degli arenili con quelli contenuti nella legge regionale de qua, che questi ultimi sono oltre tre volte i primi e che i “nuovi” trabucchi niente hanno a che vedere con i trabucchi storici: si tratta invece di manufatti del tutto nuovi, con i quali si vuole consentire la realizzazione di veri e propri “ristoranti sul mare” assumendoli come beni meritevoli di tutela.
Seppure la Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 138 del 2020 , ha riconosciuto la legittimità delle disposizioni della legge regionale Abruzzo n. 7 del 2019, volte a regolamentare l’utilizzazione dei trabocchi mediante la fissazione di appositi criteri di parametri di superficie e di presenze nei loro limiti massimi, ritenendole comprese nella materia concorrente della “valorizzazione” del patrimonio culturale, giova evidenziare come la predetta normativa della Regione Abruzzo prevedeva comunque, rispetto alla normativa in esame, parametri dimensionali inferiori, nonché ulteriori previsioni, volte a far salvo espressamente il rispetto della disciplina di tutela, in particolare in presenza di vincoli culturali e paesaggistici. La normativa abruzzese è stata, inoltre, contestata sotto profili non coincidenti rispetto a quelli qui enucleati.
Merita in questa sede di rimarcare che costituisce un principio cardine del sistema della disciplina dei beni culturali e del paesaggio che la valorizzazione, essenzialmente rivolta alla promozione e al sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale, non può svolgersi in pregiudizio della tutela, la quale è finalizzata a preservare la consistenza materiale del bene (cfr. art. 6, comma 2, del Codice: “La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze”).
Il concetto di valorizzazione non può essere dilatato in via di mera interpretazione fino a comprendere attività più propriamente rientranti nella tutela, preordinate alla protezione e alla conservazione del bene, nelle quali sono certamente comprese le modalità di trasformazione e gli usi compatibili di cui agli articoli 20 e 21 del Codice (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514).
L’art. 5 della legge regionale in esame presenta pertanto i seguenti profili di illegittimità costituzionale.
a) Con riferimento al profilo paesaggistico, i commi 1 e 2, laddove dettano i parametri dimensionali dei nuovi trabucchi, applicabili anche ai trabucchi esistenti, siti in contesti paesaggisticamente vincolati ope legis, contrastano con il principio di co-pianificazione obbligatoria previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Così facendo, la normativa regionale invade la sfera di competenza esclusiva riservata allo Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, e pregiudica l’interesse costituzionale alla tutela del paesaggio, di cui all’art. 9 della Costituzione, che, come rilevato dalla Corte costituzionale, costituisce valore primario e assoluto (sentenza n. 367 del 2007).
Le disposizioni regionali contrastano infatti con la scelta del legislatore statale di rimettere alla pianificazione paesaggistica la disciplina d’uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli) ai fini dell’autorizzazione degli interventi, come esplicitata negli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturale e del paesaggio, costituenti norme interposte rispetto al parametro costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
Al riguardo, occorre tenere presente che la Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio delinea un sistema organico di tutela paesaggistica, inserendo i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell’autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione. Tale pianificazione concordata prevede, per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
Il legislatore nazionale, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia, ha assegnato dunque al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono infatti l’inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l’immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008).
Questo profilo di illegittimità non viene meno per il fatto che la disciplina regionale richiami, in maniera peraltro del tutto generica, il necessario rispetto della disciplina statale, in quanto la normativa regionale comunque consente, a monte e in astratto, possibili ampie trasformazioni degli immobili e quindi del contesto tutelato, a scapito della sua “conservazione” e “integrità”.
Viene pertanto compromessa la possibilità di una valutazione complessiva della trasformazione del contesto tutelato, quale dovrebbe avvenire nell’ambito del Piano paesaggistico, adottato previa intesa con lo Stato, rimettendo alla Soprintendenza una valutazione caso per caso degli interventi.
b) Con riguardo ai profili di tutela culturale, il comma 2 dell’art. 5, potendo astrattamente riguardare trabucchi gravati da vincolo imposto ai sensi della Parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio, contrasta anche con la normativa statale di tutela riferita a tale ambito.
Deve infatti tenersi presente che, in base all’art. 20, comma 1, del medesimo Codice, “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. Il Codice, inoltre, non prevede la predeterminazione di una disciplina di trasformazione del bene tutelato, rimettendo la valutazione caso per caso degli interventi al Soprintendente (art. 21).
È pertanto del tutto estranea alle attribuzioni regionali la disciplina delle possibili variazioni delle destinazioni d’uso e modificazioni della consistenza materiale di beni culturali sottoposti a tutela, essendo tale disciplina rimessa esclusivamente allo Stato.
Sulla questione, si richiamano i costanti orientamenti della Corte costituzionale, la quale ha posto una precisa linea di distinzione tra le competenze legislative statali e regionali, riservando allo Stato la competenza tutte le volte in cui oggetto della disciplina sia un bene tutelato, anche avendo riguardo al “supporto materiale” inciso dalla normativa.
In particolare, già con la sentenza n. 9 del 2004 la Corte ha evidenziato come rientri tra le attività costituenti tutela, riservata in via esclusiva allo Stato, quella diretta “a conservare i beni culturali e ambientali”, ossia volta “principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale”. Non spetta, invece, alla Regione dettare una disciplina volta a individuare le modificazioni consentite di manufatti sottoposti a tutela ai sensi della Parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
L’art. 5 della legge regionale risulta pertanto illegittimo, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 20, 21, 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché per violazione dell’art. 9 della Costituzione, in considerazione del significativo abbassamento della tutela determinato dalle previsioni contestate.
La legge regionale deve quindi essere impugnata, limitatamente alle disposizioni contenute negli articoli sopra indicati, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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