Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed in materia di governo del territorio. Misure straordinarie urgenti e modifiche alle leggi regionali n. 8 del 2015, n. 23 del 1985 e n. 16 del 2017. (18-1-2021)
Sardegna
Legge n.1 del 18-1-2021
n.5 del 19-1-2021
Politiche infrastrutturali
19-3-2021 / Impugnata
La legge regionale , che reca “Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed in materia di governo del territorio. Misure straordinarie urgenti e modifiche alle leggi regionali n. 8 del 2015, n. 23 del 1985 e n. 16 del 2017” è censurabile, relativamente alle disposizioni sotto riportate , in quanto eccede dalle competenze riconosciute alla regione Sardegna dallo Statuto speciale, di autonomia l. Costituzionale n. 3 del 1948, per le motivazioni che di seguito si illustrano .

A. Si premette che la legge regionale in esame n. 1 del 2021 apporta modifiche principalmente:
- alla legge regionale 23 aprile 2015, n. 8, recante “Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed in materia di governo del territorio”, che contiene tra l’altro, al Titolo II, il c.d. nuovo piano casa della Regione Sardegna, a sua volta articolato nelle previsioni del Capo I, che sostituisce il c.d. primo piano casa, originariamente introdotto con la legge regionale 23 ottobre 2009, n. 4 (“Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo”), e del Capo II, recante il c.d. secondo piano casa (previsto dall’art. 5, commi 9 e ss., del decreto legge n. 70 del 2011, c.d. “decreto Sviluppo”), operante a regime; Il Capo I del Titolo II della legge n. 8 del 2015 (che ha assorbito il c.d. primo piano casa del 2009) è già stato oggetto di plurime proroghe da parte della Regione Sardegna (cfr. leggi regionali n. 33 del 2016, n. 11 del 2017, n. 26 del 2017, n. 1 del 2019, n. 8 del 2019, n. 22 del 2019, n. 17 del 2020).
- alla legge regionale 11 ottobre 1985, n. 23, recante “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative”;
- alla legge regionale 28 luglio 2017, n. 16, recante “Norme in materia di turismo”.
Si tratta di una serie sistematica di modifiche all’ordinamento regionale che consentono:
(i) la realizzazione di interventi edilizi, anche di rilevante impatto, in deroga non solo alla pianificazione urbanistica comunale, ma anche a quella paesaggistica;
(ii) l’irrilevanza/sanatoria di illeciti edilizi, al di fuori dei casi e limiti previsti inderogabilmente dalla disciplina statale.
Viene, così, agevolata la massiccia trasformazione edificatoria del territorio, anche in ambiti di pregio, determinando un grave abbassamento del livello della tutela del paesaggio.
Le principali linee di intervento rintracciabili nella legge regionale possono essere sintetizzate nei termini che seguono.

Si rappresenta inoltre che il Consiglio dei ministri, nella seduta del 7 agosto 2020, ha deliberato di impugnare avanti alla Corte costituzionale la legge della Regione Sardegna n. 17 del 2020, recante “Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di proroga di termini”, in quanto l’articolo 1, prorogando ulteriormente il termine del c.d. piano casa di sei mesi, eccede dalle competenze statutarie, in violazione dell’articolo 3 dello Statuto speciale della Regione, e invade altresì la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s), e all’articolo 9 della Costituzione.
Il Governo ha altresì impugnato, nella stesso consiglio dei Ministri, per le medesime motivazioni la l.r. n. 21 del 2020

B. Si rappresenta inoltre che, come noto, che l’articolo 3, lett. f), dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) attribuisce alla Regione potestà legislativa in materia di “edilizia e urbanistica”, mentre l’articolo 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (“Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna”) trasferisce alla Regione alcune competenze già esercitate dagli organi del Ministero della pubblica istruzione, poi attribuite al Ministero per i beni culturali e ambientali.
Va tuttavia rimarcato che, in base al medesimo articolo 3 dello Statuto speciale, la potestà legislativa regionale in materia di edilizia e urbanistica deve essere esercitata “In armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”, e quindi necessariamente nel rispetto delle previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dettate dallo Stato nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
La Corte Costituzionale , anche recentemente, ha chiarito il ruolo e le attribuzioni del legislatore nazionale con riguardo alle previsioni dello Statuto speciale della Regione Sardegna, affermando che “Il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria dell’autonomia speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come «riforme economico-sociali». E ciò anche sulla base – per quanto qui viene in rilievo – del titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali e culturali” (sentenza n. 178 del 2018).
Non vi è dubbio, pertanto, che la Regione Sardegna non gode di potestà normativa primaria in materia di tutela del paesaggio, attribuita in via esclusiva allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, in quanto lo Statuto speciale, come detto, attribuisce alla Regione competenza legislativa esclusiva nella diversa materia “edilizia ed urbanistica”, sostanzialmente corrispondente alla materia “governo del territorio”, in relazione alla quale le Regioni a statuto ordinario dispongono di potestà legislativa concorrente (ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, Cost.).
È pur vero che l’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (“Nuove norme d’attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna”), nel definire i confini delle competenze esclusive della Regione in materia di “edilizia ed urbanistica”, attribuisce all’Ente anche la redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all’articolo 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497. Tale competenza, tuttavia, era riconosciuta anche a tutte le regioni ordinarie, sin dall’emanazione del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 (cfr. art. 1, quarto comma), senza che ciò potesse implicare una competenza normativa in materia di tutela del paesaggio, da sempre appartenente in via esclusiva allo Stato (salvo eventuali previsioni più favorevoli contenute negli Statuti di autonomia per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome). La stessa legge n. 431 del 1985 (c.d. “legge Galasso”), oltre a estendere il vincolo di tutela inerente a zone di particolare interesse ambientale a tutto il territorio nazionale, prevede espressamente che le regioni sottopongano “a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali”.
La tutela del paesaggio resta ben distinta dal “governo del territorio”, pur avendo ambiti in comune, in particolare per quanto riguarda l’attività di pianificazione.
Al riguardo, la Corte ha riconosciuto la prevalenza dell’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, rimarcando che “sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro», prevalendo, comunque, «l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 182 del 2006). E’ in siffatta più ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della “gerarchia” degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004” (sentenza n. 180 del 2008).
La Corte, pertanto, ha sempre ritenuto che la materia “edilizia ed urbanistica” includa anche la possibilità di incidere sulla pianificazione del paesaggio in senso lato, salvi i limiti delle norme statali di grande riforma economico-sociale (tra le quali va annoverato il principio di co pianificazione, di cui agli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice), senza peraltro con ciò riconoscere alla Regione una potestà legislativa primaria in materia di tutela paesaggistica in senso proprio, che non è prevista dallo Statuto.
Nella citata sentenza n. 178 del 2018, prima citata, in una visione di sintesi complessiva, la Corte ha precisato: “Questa Corte ha già avuto modo di affermare, anche di recente, proprio con riferimento alla Regione autonoma della Sardegna, che «la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato [e che ] le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio si impongono al rispetto del legislatore della Regione autonoma della Sardegna, anche in considerazione della loro natura di norme di grande riforma economico-sociale e dei limiti posti dallo stesso statuto sardo alla potestà legislativa regionale (sentenze n. 210 del 2014 e n. 51 del 2006)» (sentenza n. 103 del 2017)”. La Corte, stante la competenza primaria e esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, precisa infine che: “Da ciò deriva che il legislatore della Regione autonoma della Sardegna non può esercitare unilateralmente la propria competenza statutaria nella materia edilizia e urbanistica quando siano in gioco interessi generali riconducibili alla predetta competenza esclusiva statale e risultino in contrasto con norme fondamentali di riforma economico-sociale”.

C. Si rappresenta, inoltre che La Regione Sardegna ha approvato il piano paesaggistico regionale, primo ambito omogeneo, con deliberazione della Giunta regionale n. 36/7 del 5 settembre 2006 (c.d. “PPR dell’ambito costiero”);
In data 19 febbraio 2007 la Regione Sardegna ha sottoscritto con il Ministero per i beni culturali il Protocollo d’Intesa per:
(i) la verifica e l’adeguamento congiunto del Piano paesaggistico regionale – Primo ambito omogeneo (ai sensi degli articoli 143 e 156 del Codice);
(ii) la co pianificazione congiunta con lo Stato del Secondo ambito omogeneo (comprendente le aree interne dell’isola).
La predetta attività di co pianificazione è riferita all’intero territorio regionale, e quindi sia ai beni paesaggistici vincolati, che al paesaggio non vincolato.
Il 1° marzo 2013 è stato sottoscritto tra la Regione e il Ministero il Disciplinare attuativo del suddetto Protocollo d’Intesa, al fine di definire le modalità attuative dei lavori di copianificazione sia per il Primo che per il Secondo ambito. Il predetto Disciplinare è stato aggiornato e sottoscritto congiuntamente dalla Regione e dal Ministero il 18 aprile 2018.
Dall’applicazione delle disposizioni dei suddetti Disciplinari sono state avviate e concluse numerose attività tecniche di co pianificazione paesaggistica tra la Regione ed il Ministero, le quali, tuttavia, non si sono ancora tradotte nell’approvazione del Piano paesaggistico verificato e adeguato alle disposizioni del Codice e nella sua estensione alle aree interne dell’Isola.
La Regione ha, dunque, assunto uno specifico impegno al coinvolgimento dello Stato nel delineare la disciplina di tutela non solo dei beni paesaggistici vincolati (art. 134 del Codice), bensì di tutti i “paesaggi” della Regione, nell’ampia accezione propria della Convenzione europea sul paesaggio di Firenze, ratificata dall’Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14.
In questo quadro, l’intervento regionale in esame risulta manifestamente illegittimo in quanto deroga al piano paesaggistico regionale, Primo ambito omogeneo, che non è derogabile, e per di più lo fa sulla base di una scelta unilaterale della Regione, sottraendosi non solo all’obbligo di copianificazione previsto dal Codice ei beni culturali e del paesaggio d. lgs. n. 42 del 2004, ma anche all’intesa stipulata con lo Stato;
La legge regionale inoltre disciplina unilateralmente il Secondo ambito omogeneo, sottraendosi anche in questo caso all’obbligo di copianificazione previsto dal Codice e alla predetta intesa per di più intervene con legge (e quindi con previsioni generali e astratte, come tali inidonee a tenere conto degli specifici contesti paesaggistici), invece che mediante la pianificazione paesaggistica (unica sede nell’ambito della quale deve essere determinata, sulla base di una valutazione in concreto, la disciplina d’uso dei beni paesaggistici).
Non è, pertanto, sostenibile la tesi della Regione, la quale arriva addirittura a disconoscere il carattere impegnativo degli accordi sottoscritti dal Presidente. È evidente infatti che il Presidente della Regione ha sottoscritto l’impegno con lo Stato in qualità di legale rappresentante della Regione pro tempore e perciò tale atto è pienamente idoneo a vincolare pro futuro gli organi politici regionali. Parimenti vincolanti, in quanto attuativi di tale impegno, sono i successivi Disciplinari sottoscritti a livello tecnico.
Nonostante la stipula di un preciso accordo interistituzionale con il Ministero, volto alla co-pianificazione dell’intero territorio regionale, la Regione, con la legge de qua, ha agito invece unilateralmente, così ponendosi in contrasto sia con il predetto accordo, sia con le previsioni del Codice, che impongono necessariamente la co-pianificazione, quanto meno per i beni paesaggistici.
La Corte, con la sentenza n. 178 del 2018, stante la competenza primaria e esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, ha peraltro precisato che: “Da ciò deriva che il legislatore della Regione autonoma della Sardegna non può esercitare unilateralmente la propria competenza statutaria nella materia edilizia e urbanistica quando siano in gioco interessi generali riconducibili alla predetta competenza esclusiva statale e risultino in contrasto con norme fondamentali di riforma economico-sociale”.
L’intervento normativo della Regione lede pertanto il principio di leale collaborazione nei confronti dello Stato, in quanto la Regione agisce in via unilaterale, in violazione degli Accordi sottoscritti dalla Regione con questo Ministero in materia di pianificazione paesaggistica congiunta (Corte cost. n. 240 del 2020).

Tutto ciò premesso, risultano censurabili, per i motivi che si illustrano le seguenti disposizioni della legge regionale :

1. Capo I – Modifiche alla legge regionale n. 8 del 2015 (Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed in materia di governo del territorio).Il Capo I della legge regionale in parola modifica la legge regionale n. 8 del 2015, attribuendo numerose premialità volumetriche su tutto il territorio regionale, con l’unica esclusione della fascia dei 300 metri dalla linea di battigia.

1.1 L’art. 1 sostituisce l’articolo 26 della legge regionale n. 8 del 2015, che reca disposizioni in materia di “salvaguardia dei territori rurali”.
Al riguardo, si osserva che i commi 1 e 2 consentono, al di fuori della fascia di 1.000 metri dalla battigia marina, l’edificazione in agro a fini residenziali con una superficie minima di un ettaro (art. 3, comma 3, del d.P.G. n. 228 del 1994, richiamato al comma 1) e senza essere imprenditori agricoli. Si tratta di trasformazioni disciplinate al di fuori del piano paesaggistico, in violazione dei principi co pianificazione obbligatoria e di gerarchia dei piani sanciti dal Codice deli beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs.n. 42 del 2004 (artt. 135, 143, 145 e 156). Viene pertanto impedito alla pianificazione paesaggistica di raggiungere lo scopo a cui è destinata, ossia evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, le singole trasformazioni vengano valutate in modo parcellizzato, e non nell’ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato specificamente demandata al piano paesaggistico, secondo la scelta operata al riguardo dal legislatore nazionale.
Il comma 3 stabilisce che nelle zone agricole è ammesso il cambio di destinazione d’uso degli edifici legittimamente esistenti in edifici a uso residenziale, nel rispetto della superficie minima di intervento e dell’indice massimo di fabbricabilità, fatta salva la limitazione dell’edificazione residenziale nei 1.000 metri dalla costa solo in favore degli imprenditori agricoli tradizionali, e purché i cambi di destinazione d’uso non determinino opere di urbanizzazione a rete.
La disposizione, pur facendo salvo l’indice massimo di fabbricabilità, non fa salva la densità fondiaria di mc. 0,03 per mq specificamente prevista per le abitazioni ai sensi dell’articolo 7, n. 4, del decreto ministeriale 1 aprile 1968, n. 1444 e confermato dall’art. 4 del decreto dell’Assessore regionale degli enti locali, finanze e urbanistica n. 2266/U del 1983 e dall’art. 3 del d.P.G. n. 228 del 1994.
Viene, quindi, introdotta una previsione derogatoria rispetto alla pianificazione urbanistica comunale e, a monte, rispetto alla norma fondamentale di grande riforma economico-sociale, posta dall’art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge n. 1150 del 1942, che impone il rispetto dei limiti inderogabili di densità edilizia previsti per le diverse zone del territorio comunale (Corte cost. n. 217 del 2020).
La previsione in esame si pone quindi in contrasto con la finalità dichiarata di “salvaguardia dei territori rurali”, prestandosi, al contrario, a determinare la trasformazione di insediamenti rurali in insediamenti abitativi, con conseguente grave rischio di fenomeni di c.d. dispersione urbana.
Che questo sia il possibile risultato dell’applicazione della disposizione normativa è testimoniato, del resto, dal fatto che il cambio di destinazione d’uso non è consentito (solo) se comporta la necessità di realizzare “opere di urbanizzazione a rete”, ma non anche se – come è la regola – determina un carico urbanistico comportante, per sua stessa natura, la necessità di realizzare le altre opere di urbanizzazione primaria e secondaria, come tali idonee a stravolgere il contesto agricolo.
L’intero art. 1 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione
Il comma 3 del nuovo articolo 26 della legge regionale n. 8 del 2015 è, inoltre, illegittimo: (i) per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001; (ii) per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001;

1.2 L’art. 2 modifica il termine previsto al comma 4 dell’articolo 26-bis della legge regionale n. 8 del 2015, prorogandolo dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2023.
Deve osservarsi che il predetto articolo 26-bis, prevede, al comma 1, che “Al fine di superare le situazioni di degrado legate alla presenza, all’interno delle zone urbanistiche omogenee agricole, di costruzioni non ultimate e prive di carattere compiuto, alle condizioni di cui al presente articolo, è consentito il completamento degli edifici, le cui opere sono state legittimamente avviate e il cui titolo abilitativo è scaduto o dichiarato decaduto e non può essere rinnovato a seguito dell’entrata in vigore di contrastanti disposizioni”.
Con la novella introdotta mediante la legge in esame, la Regione rinnova quindi la disciplina derogatoria contenuta all’articolo 26-bis della legge regionale n. 8 del 2015, che era venuta a scadenza il 31 dicembre 2020, determinandone la riviviscenza fino al 31 dicembre 2023. Nonostante la dichiarazione di principio, secondo la quale la previsione normativa è diretta al “Superamento delle condizioni di degrado dell’agro”, la norma consente interventi gravemente pregiudizievoli per il territorio, in quanto legittima il completamento di edificazioni in zona agricola rimaste incompiute, nei casi in cui non sarebbe possibile ottenere il rinnovo del titolo edilizio ormai divenuto inefficace, a causa di una sopravvenuta disciplina pianificatoria incompatibile.
Ciò al di fuori del piano paesaggistico, in violazione dei principi co pianificazione obbligatoria e di gerarchia dei piani sanciti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (artt. 135, 143, 145 e 156). Non vale a sanare l’illegittimità della normativa quanto previsto al comma 4, che subordina gli interventi di completamento agli “eventuali atti di assenso relativi a vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico e archeologico e dalle altre normative di settore”. Viene infatti comunque impedito alla pianificazione paesaggistica di raggiungere lo scopo a cui è destinata, ossia evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, le singole trasformazioni vengano valutate in modo parcellizzato, e non nell’ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato specificamente demandata al piano paesaggistico, secondo la scelta operata al riguardo dal legislatore nazionale.
La normativa regionale costituisce inoltre una vistosa deroga rispetto alle norme fondamentali di grande riforma economico-sociale contenute all’articolo 15 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ove si prevede che “La realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire (...)” (comma 3) e che “Il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio.” (comma 4). In forza delle suddette previsioni – applicabili anche nei confronti della Regione Autonoma della Sardegna in quanto attinenti alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni valevoli sull’intero territorio nazionale – deve escludersi che possa essere consentito il completamento di edificazioni rimaste incompiute, ove il privato abbia lasciato decadere il titolo edilizio e non vi siano le condizioni per ottenerne il rinnovo.
Come evidenziato dal Giudice amministrativo, in materia edilizia il permesso di costruire decade espressamente nel caso di mancato rispetto del termine di inizio o di ultimazione dei lavori, fatta salva la possibilità di proroga, che deve essere richiesta prima della scadenza dei detti termini e che deve essere accordata ai sensi dell’art. 15, comma 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2020, n. 4179).
In materia edilizia, pertanto, l’intervenuta decadenza, realizzatasi per superamento dei termini previsti per la realizzazione della costruzione, comporta la impossibilità di realizzare la "parte non eseguita" dell’opera a suo tempo assentita, e la necessità del rilascio di un nuovo titolo edilizio per le opere ancora da eseguire. In sostanza, una volta intervenuta la decadenza, chiunque intenda completare la costruzione necessita di un nuovo ed autonomo titolo edilizio, che deve provvedere a richiedere, sottoponendosi ad un nuovo iter procedimentale, volto a verificare la coerenza di quanto occorre ancora realizzare con le prescrizioni urbanistiche vigenti nell’attualità (Cons. Stato, Sez. IV, 6 agosto 2019, n. 5588).
Di conseguenza, la possibilità prevista ex lege di far “rivivere” titoli decaduti anche da lungo tempo, per di più con dilatazione del termine entro cui è possibile avvalersi di tale facoltà, contrasta con la legislazione statale che stabilisce – con principio generale destinato a imporsi sulla legislazione regionale – la decadenza automatica del titolo abilitativo, qualora i lavori non siano ultimati entro il termine ivi fissato.

Sotto altro profilo, va rimarcato che la norma consente il completamento, in zona agricola, di edifici incompatibili con l’attuale destinazione urbanistica della zona stessa. In questa prospettiva, la previsione censurata deroga anche al principio fondamentale posto dall’art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge n. 1150 del 1942 (attuato mediante il d.m. n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994) secondo il quale il territorio comunale deve essere suddiviso in zone territoriali omogenee, per le quali sono dettati appositi standard e limiti di densità edilizia, volti ad assicurare l’ordinato assetto del territorio.
La previsione determina, inoltre, esiti arbitrari e irragionevoli, in quanto impedisce ai Comuni di disporre la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, doverosa in base ai principi, e determina un aggravio del carico urbanistico nelle aree interessate.
L’art. 2 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, per contrasto con la norma fondamentale di grande riforma economico-sociale, attinente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere assicurati uniformemente sull’intero territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.), costituita dall’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001; (ii) degli artt. 3 e 97 della Costituzione, per gli esiti manifestamente contraddittori e irragionevoli dell’applicazione della previsione normativa; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001; (v) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, (vi) del principio di leale collaborazione:

1.3 L’art. 3 aggiunge l’art. 26-ter nella legge regionale n. 8 del 2015 (“Pianificazione del sistema delle scuderie della Sartiglia di Oristano”).
Per effetto delle previsioni in esame, viene consentita – per asserite finalità di “valorizzazione dal punto di vista paesaggistico” di determinate aree agricole, soggette anche a tutela paesaggistica e del piano paesaggistico regionale – la costruzione di nuove strutture quali le “scuderie”, e ciò in forza di una previsione generalizzata contenuta nella legge regionale, operante in deroga non solo alla pianificazione urbanistica, ma anche a quella paesaggistica.
Viene infatti consentita per legge, in maniera indiscriminata su tutto l’agro comunale di Oristano, l’edificazione di strutture zootecniche, richiamando l’operatività dell’art. 3 “Criteri per l’edificazione nelle zone agricole” del decreto del Presidente della Giunta regionale 3 agosto 1994, n. 228, recante le “Direttive per le zone agricole”, in spregio alle previsioni delle NTA del piano paesaggistico regionale e al di fuori delle previsioni degli strumenti urbanistici.
Inoltre, il legislatore regionale prevede che “la tipologia, le dimensioni e i materiali” di tali “scuderie” siano stabilite dal vigente strumento urbanistico comunale (PUC) “nell’ottica della tutela e valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio”, invece che nel rispetto delle previsioni e prescrizioni del piano paesaggistico regionale, cui sono riservate la salvaguardia, la pianificazione e la gestione di tutto il territorio ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Sotto questo profilo, la nuova disposizione, al di fuori del piano paesaggistico regionale, attribuisce direttamente allo strumento urbanistico comunale la competenza in materia di pianificazione paesaggistica, invece riservata dal legislatore statale al predetto Piano sovraordinato.
L’art. 3, limitatamente all’introduzione del comma 2 del nuovo art. 26-ter, è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio;(ii) del principio di leale collaborazione; (iii) per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, ossia per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001

1.4 L’art. 4 apporta numerose modifiche all’art. 30 della legge regionale n. 8 del 2015, concernente “Interventi di incremento volumetrico del patrimonio edilizio esistente”.
In particolare, il predetto articolo recita:
“1. All’articolo 30 della legge regionale n. 8 del 2015 sono apportate le seguenti modifiche:
a) nel secondo periodo del comma 2 le parole "20 per cento" sono sostituite dalle seguenti: "25 per cento" e le parole "70 metri cubi" sono sostituite dalle seguenti: "90 metri cubi";
b) nel comma 3 la parola "120" è sostituita dalla parola "180";
c) nel comma 4: 1) le parole "5 per cento" sono sostituite dalle seguenti: "10 per cento"; 2) le parole "nelle seguenti ipotesi alternative" sono sostituite dalle seguenti: "in almeno una delle seguenti ipotesi alternative"; 3) (…)";
(…)
g) dopo il comma 7 è aggiunto il seguente: "7-bis. Nelle zone urbanistiche B, C ed F è consentita la realizzazione o l’ampliamento delle verande coperte fino ad un massimo di 1/3 della superficie coperta realizzabile.";
h) nel comma 8 la parola "120" è sostituita con la parola "150";
i) dopo il comma 9 sono inseriti i seguenti: "9-bis. Negli ambiti extraurbani, così come individuati dagli strumenti urbanistici vigenti, classificati quali zone urbanistiche omogenee F, gli incrementi volumetrici per le strutture residenziali possono essere realizzati esclusivamente oltre i 300 metri dalla linea di battigia marina e non possono superare il 35 per cento del volume urbanistico legittimamente esistente e comunque sino ad un massimo di 150 metri cubi, compresi quelli già realizzati in ottemperanza all’articolo 5 della legge regionale n. 4 del 2009, e successive modifiche ed integrazioni. 9-ter. È consentito, per le abitazioni ricadenti in aree prive di pianificazione e regolarmente realizzate, l’incremento volumetrico previsto per le zone E.”.
Tutte le modifiche apportate, sono volte a estendere considerevolmente gli interventi di incremento volumetrico del patrimonio edilizio esistente, già previsti dall’art. 30 della legge regionale n. 8 del 2015, che peraltro interessano le zone urbanistiche omogenee A, B, C, D, E, F e G.
In sintesi, a seguito delle novelle: è consentito l’ampliamento in zona A anche in assenza di Piano Particolareggiato adeguato al PPR; in zona A la percentuale passa dal 20% al 25%, con tetto massimo che passa dagli attuali 70 a 90 metri cubi; il tetto massimo previsto per gli ampliamenti standard nelle zone B e C passa dagli attuali 120 a 180 metri cubi; si apre alla possibilità di ampliare nelle zone F oltre i 300 m dal mare, con un massimo del 30% e fino a 150 metri cubi; il bonus del 5% viene portato al 10% con ulteriori condizioni premianti da rispettare in via alternativa.
Solo per gli interventi ricadenti nella zona urbanistica A la normativa regionale richiede il rispetto della disciplina del piano paesaggistico. Il comma 2, primo periodo, dell’art. 30 prevede infatti : “Nella zona urbanistica A l’incremento volumetrico può essere realizzato unicamente negli edifici che non conservano rilevanti tracce dell’assetto storico e che siano in contrasto con i caratteri architettonici e tipologici del contesto, previa approvazione di un Piano particolareggiato adeguato al Piano paesaggistico regionale ed esteso all’intera zona urbanistica o previa verifica di cui all’articolo 2 della legge regionale 4 agosto 2008, n. 13”. Il successivo comma 9 prevede: “Nella zona urbanistica A o all’interno del centro di antica e prima formazione, in assenza di piano particolareggiato adeguato al Piano paesaggistico regionale, oltre agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia interna, è consentito l’intervento di "ristrutturazione edilizia di tipo conservativo" che mantiene immutati alcuni elementi strutturali qualificanti, con possibili integrazioni funzionali e strutturali, senza incrementi di superficie, di volume e variazioni della sagoma storicamente esistente”.
Ciò evidentemente significa che negli altri casi gli interventi possono essere realizzati anche in deroga al piano paesaggistico regionale (PPR), oltre che in deroga agli strumenti urbanistici comunali.
Al di fuori delle zone A, pertanto, le novelle, prevedendo nuovi e ulteriori incrementi volumetrici, anche in aree vincolate paesaggisticamente – escludendo dall’applicazione le sole fasce costiere di 300 metri dalla linea di battigia marina – comportano una sistematica violazione delle previsioni e prescrizioni del piano paesaggistico regionale, in quanto consentono nuova edificazione in aree paesaggisticamente tutelate e vincolate, tra le quali quelle della “Fascia costiera”, bene paesaggistico tipizzato e individuato dal PPR ai sensi degli articoli 17, comma 3, lett. a), 19 e 20 delle relative Norme tecniche di attuazione (NTA).
In particolare, l’art. 20, comma 1, lett. a), delle NTA vieta nuove costruzioni in aree inedificate, se non già riconducibili alle fattispecie di cui al comma 2 del medesimo art. 20. Non è prevista la possibilità di una nuova edificazione riferita alle abitazioni, come invece introdotta dal nuovo comma 9-bis, sopra richiamato.
Estremamente critica appare la disposizione contenuta nel nuovo comma 7-bis, introdotto dalla lettera g), che consente, nelle zone urbanistiche B, C ed F, la realizzazione o l’ampliamento delle verande coperte fino ad un massimo di 1/3 della superficie coperta realizzabile, senza neppure richiamare il necessario obbligo di autorizzazione paesaggistica (da rendere peraltro in forma semplificata ai sensi della voce n. B.26 di cui all’Allegato B al Regolamento di semplificazione di cui al d.P.R. n. 31 del 2017).
Tutte le previsioni regionali volte a consentire nuovi ampliamenti volumetrici al di fuori del Piano paesaggistico e potenzialmente in deroga ad esso, invadono la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio, di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s).
Il nuovo comma 7-bis, che consente la realizzazione o l’ampliamento delle verande coperte, risulta anche lesivo della potestà dello Stato in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, ai sensi all’articolo 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione, atteso che tali prestazioni includono anche la portata e la valenza dell’autorizzazione paesaggistica, che deve essere necessariamente uniforme sull’intero territorio nazionale e si impongono anche alle Regioni e Province Autonome (cfr., al riguardo, Corte cost. 24 luglio 2012, n. 107, pronunciata nei confronti della Provincia autonoma di Trento, e Corte cost. n. 189 del 2016).
Le previsioni di incrementi volumetrici generalizzati, in deroga alla pianificazione urbanistica, e senza che sia garantito il rispetto degli standard urbanistici comporta, inoltre, la violazione delle norme di grande riforma economico-sociale che si impongono anche nei confronti della Regione Autonoma della Sardegna.
L’art. 4, comma 1, lettere a), b), c) (limitatamente ai numeri 1) e 2), g), h), i), è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, ossia per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001.
L’art. 4, comma 1, lett. g), che introduce il nuovo comma 7-bis dell’art. 30 della legge n. 8 del 2015 è, inoltre, illegittimo per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 117, secondo comma, lett. m) ed s), della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono parametri interposti gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché il d.P.R. n. 31 del 2017.

1.5 L’art. 5 modifica l’art. 31 della legge regionale n. 8 del 2015 – concernente “Interventi di incremento volumetrico delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive, sanitarie e socio-sanitarie”.
Sono previsti nuovi e maggiori incrementi volumetrici delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive, sanitarie e socio-sanitarie. E ciò anche in aree vincolate paesaggisticamente (in quanto restano escluse le sole fasce di 300 metri dalla linea di battigia marina), comportando una sistematica violazione delle previsioni e prescrizioni del piano paesaggistico regionale, le quali non trovano applicazione, essendo sostituite in toto dalle previsioni generalizzate di ampliamenti volumetrici consentiti dalle norme regionali censurate.
La disciplina dell’articolo 31 della legge regionale n. 8 del 2015, come novellata, consente, inoltre, nuove edificazioni in aree paesaggisticamente tutelate e vincolate (cfr. comma 1, lettera b), laddove prevede che gli interventi di ristrutturazione e rinnovamento comportanti incrementi volumetrici possano avvenire “anche mediante la realizzazione di corpi di fabbrica separati”; nello stesso senso il nuovo comma 7-quater, con riferimento all’ampliamento delle strutture destinate all’esercizio di attività di turismo rurale, anche nella “Fascia costiera”, bene paesaggistico tipizzato e individuato dal PPR ai sensi degli articoli 17, comma 3, lett. a), 19 e 20 delle relative NTA. In particolare, le NTA vietano nuove costruzioni in aree inedificate e non prevedono la possibilità di ampliamento delle strutture destinate ad attività turistico-ricettive, né tantomeno di quelle “sanitarie e socio-sanitarie”, di nuova introduzione a opera dell’art. 5 in esame (cfr. comma 1, lettera a).
Si segnala la criticità anche del nuovo comma 7-bis, che consente “… per un periodo non superiore a duecentoquaranta giorni, la chiusura con elementi amovibili, anche a tenuta, delle verande coperte già legittimamente autorizzate nelle singole strutture turistiche ricettive” e ciò anche in aree vincolate paesaggisticamente, senza il necessario rispetto delle previsioni e prescrizioni del piano paesaggistico regionale. Inoltre, non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del Codice, da rendere in forma semplificata ai sensi del d.P.R. n. 31 del 2017 (voce B.26 dell’Allegato B), con conseguente violazione anche dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lett. m) Cost.
Il nuovo comma 7-ter, poi, stabilisce che “… Le coperture per piscine sono assimilate alle opere di edilizia libera di cui all’articolo 15 della legge regionale 11 ottobre 1985, n. 23 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative) e non incidono sulla volumetria e sulla superficie coperta …”.
Con tale previsione la Regione sottrae al regime dei titoli edilizi di cui al d.P.R. n. 380 del 2001 e alle previsioni e prescrizioni del Piano paesaggistico regionale detti interventi di copertura, assimilandoli alle opere di edilizia libera, e ciò anche se realizzati in aree vincolate paesaggisticamente, pur trattandosi di interventi potenzialmente di rilevante impatto paesaggistico (al pari delle piscine; cfr. TAR Lazio, Sez. II bis, 7 ottobre 2019, n. 11586; Cass. Pen., n. 1913 del 2019).
Va rilevato che la copertura di una piscina non è opera destinata a soddisfare esigenze meramente temporanee, posto che la copertura, anche qualora venisse utilizzata stagionalmente, è destinata certamente a permanere in loco con carattere di stabilità. Al riguardo, va ribadito che la nozione di edilizia libera, di cui all’articolo 6 del d.P.R. 380 del 2001 (di cui l’articolo 15 della legge regionale n. 23 del 1985 è riproduttivo), si riferisce a opere che devono essere realizzate in conformità con i vigenti strumenti urbanistici, e che non producano un significativo incremento del carico urbanistico: in particolare, per quanto concerne le opere precarie, queste devono essere destinate a soddisfare esigenze temporanee e contingenti e suscettibili di essere rimosse al cessare della necessità che le ha determinate. Pertanto, la disposizione in esame introduce una significativa e impattante deroga alle disposizioni statali in materia di titoli edilizi, costituenti principi fondamentali della legislazione statale in materia edilizia, esorbitando i limiti dell’autonomia consentita alla disciplina regionale dallo statuto della Regione Sardegna.
L’art. 5 (a eccezione del comma 1, lettera g) è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, ossia per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011); (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001.
Il comma 1, lett. i), che introduce il nuovo comma 7-bis dell’articolo 31 della legge regionale n. 8 del 2015 è, inoltre, costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 117, secondo comma, lett. m) ed s), della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono parametri interposti gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché il d.P.R. n. 31 del 2017.
Nella parte in cui introduce il nuovo comma 7-ter dell’articolo 31 della legge regionale n. 8 del 2015e 7-ter, il medesimo comma 1, lett. i), è illegittimo anche per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con l’articolo 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione, rispetto al quale costituisce parametro interposto l’articolo 6 del d.P.R. n. 380 del 2001.

L’art. 6 reca modifiche all’art. 32 della legge regionale n. 8 del 2015, concernente “Interventi per il riuso e per il recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti”.
In sintesi, le disposizioni sono volte:
- ad ampliare il novero delle ipotesi in cui è configurabile un sottotetto suscettibile di recupero abitativo, includendovi anche agli “spazi” cui si riferisce il comma 1 e ridefinendo la nozione di sottotetto nel nuovo comma 3-ter dell’articolo 32 della legge regionale n. 8 del 2015;
- ad estendere le zone urbanistiche in cui sono consentiti gli interventi di riuso dei sottotetti esistenti per il solo scopo abitativo (sono aggiunte le zone E ed F);
- a consentire sugli edifici ad uso residenziale con copertura a falde modifiche esterne fino a 50 centimetri di altezza all’imposta interna della falda (cfr. nuovo comma 3-quater);
- a estendere anche alle zone urbanistiche A (limitatamente agli edifici che non conservano rilevanti tracce dell’assetto storico e che siano in contrasto con i caratteri architettonici e tipologici del contesto) ed F gli interventi di recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti per il solo scopo abitativo.
Le modifiche apportate alla lettera b) del comma 6 e la soppressione della lettera b) del comma 8 sono rivolte infine a rimuovere alcuni limiti agli interventi di recupero con incremento volumetrico dei sottotetti.
Anche questa disposizione confligge con la normativa statale, laddove disciplina, direttamente e in via autonoma, le possibili trasformazioni delle coperture degli edifici, potenzialmente anche molto rilevanti per il paesaggio. Con riferimento ai sottotetti ricadenti in ambiti paesaggisticamente tutelati, la legge regionale nella sostanza sottrae la disciplina degli interventi alla sede propria del piano paesaggistico, menomando conseguentemente l’impianto sistematico della tutela delineato dalle norme statali di grande riforma economico-sociale.
La deroga sistematica e generalizzata alla pianificazione urbanistica comporta, inoltre, la violazione anche dei principi, già sopra richiamati, posti dall’articolo 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuati dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983.
L’art. 6 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, ossia per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011); (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001.

1.7. L’art. 7 introduce nella legge regionale n 8 del 2015 un nuovo art. 32-bis, concernente gli “Interventi di recupero dei seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra”.
Le disposizioni introdotte consentono il recupero di seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra, e sono applicabili indiscriminatamente anche ai beni paesaggistici, in quanto il comma 6 vieta il recupero nelle sole aree dichiarate di pericolosità idraulica elevata o molto elevata ovvero in aree di pari pericolosità da frana.
Il recupero dei piani pilotis, in particolare, ove comportante la chiusura delle superfici aperte, a piano terra o piano rialzato, delimitate da colonne portanti, appare in grado di alterare profondamente l’aspetto esteriore dei fabbricati, comportandone lo stravolgimento a livello visivo.
La previsione, ancora una volta, di una disciplina generale e astratta dettata dalla Regione, in deroga alla disciplina urbanistica e paesaggistica, determina la violazione delle norme e dei principi già sopra richiamati.
L’art. 7 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, ossia per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001.
Inoltre, il comma 6 di detto nuovo articolo 32 bis alla legge regionale n. 8 del 2015, stabilisce che “il recupero a fini abitativi dei piani e locali di cui al presente articolo è vietato nelle aree dichiarate, ai sensi della legge 18 maggio 1989, n. 183, di pericolosità idraulica elevata o molto elevata (Hi3 o (Hi4) ovvero in aree di pericolosità da frana elevata o molto elevata (Hg3 o Hg4).
Tale disposizione si pone in contrasto con le previsioni del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) della Sardegna, disciplinate dalle Norme di Attuazione (NdA).
Al riguardo si evidenzia che l’articolo 65, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dispone che “Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato”.
Le direttive del PAI, avente valore di Piano Territoriale di Settore ai fini della prevenzione del rischio idrogeologico, nello specifico riguardo dell’uso dei locali interrati e seminterrati sono esplicitate all’art. 49 delle NdA, e stabiliscono che “La Regione, al fine di ridurre la vulnerabilità degli elementi a rischio, approva norme che incentivano la realizzazione volontaria di misure di protezione locale ed individuale degli edifici esistenti, quali misure per la dismissione volontaria e definitiva dei locali interrati e seminterrati esistenti in zone caratterizzate da pericolosità idrogeologica e altre misure di autoprotezione individuale, comprese misure di proofing e retrofitting”.
Questo specifico indirizzo, sia pure di carattere generale, non limita gli effetti alle sole aree a pericolosità e a rischio elevato e molto elevato, ma li estende a tutte le aree a pericolosità idrogeologica, includendo in queste anche quelle non già perimetrate dal PAI, ma considerate nell’art. 30ter recante “Identificazione e disciplina delle aree di pericolosità quale misura di prima salvaguardia” o risultanti dalle attività di pianificazione urbanistica dei Comuni, ai sensi dell’art. 8 dettante “Indirizzi per la pianificazione urbanistica e per l’uso di aree di costa”.
La mancata coerenza della legge regionale con le prescrizioni del PAI, peraltro, non si rileva soltanto nelle succitate disposizioni di carattere generale, ma anche nelle specifiche previsioni di cui al comma 2 bis dell’art. 29 “Disciplina delle aree di pericolosità idraulica media” delle NdA, che espressamenteprevede che “Tutti gli interventi del precedente comma sono consentiti a condizione che per essi non sia prevista la realizzazione di nuovi volumi interrati e seminterrati”.
La disposizione, regionale, quindi , si pone in contrasto anche con l’articolo 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente in quanto viola la norma interposta costituita dall’articolo 65, comma 4 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ( codice dell’Ambiente)

1.8. L’art. 8 reca modifiche all’articolo 33 della legge regionale n. 8 del 2015, concernente gli “Interventi per il riuso degli spazi di grande altezza”.
In particolare, la lett. a) del comma 1 dell’art. 8 prevede che la realizzazione di soppalchi sia consentita non più soltanto nelle zone urbanistiche A, B e C, ma anche nelle zone D, E ed F, in queste ultime oltre la fascia dei 300 metri dalla battigia marina.
Al riguardo, occorre osservare che l’ampliamento del novero degli edifici ai quali si applica la disciplina in esame determina anche l’applicazione dell’eccezione di cui al comma 4 del predetto articolo 33, ove si prevede che “(...) Nelle zone urbanistiche A sono ammesse nuove aperture finestrate solo se previste in sede di piano particolareggiato adeguato al Piano paesaggistico regionale. Per le altre zone urbanistiche l’apertura di eventuali nuove superfici finestrate è ammessa nel rispetto delle regole compositive del prospetto”. Soltanto nelle zone A è quindi assicurato il rispetto del Piano paesaggistico, mentre in tutte le altre zone del territorio comunale gli interventi – si deduce – possono essere realizzati anche in deroga al PPR.
Il nuovo comma 6-bis, aggiunto al predetto articolo 33, stabilisce poi che “In caso di realizzazione di spazi di grande altezza in edifici esistenti, mediante la demolizione parziale di solaio intermedio, è escluso il ricalcolo del volume urbanistico dell’edificio o della porzione di edificio, anche in caso di riutilizzo di spazi sottotetto che originariamente non realizzano cubatura, a condizione che non si realizzino mutamenti nella sagoma dell’edificio o nella porzione di edificio”.
Con questa disposizione si viene, ancora una volta, a derogare all’articolo 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, in quanto si prevede la realizzazione di volumi che non vengono computati ai fini degli standard urbanistici.
L’art. 8 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, ossia per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001.
1.9. L’art. 9 introduce modifiche all’art. 34 della legge regionale n. 8 del 2015, ove sono individuati i casi in cui gli interventi previsti del Capo I “Norme per il miglioramento del patrimonio esistente” del Titolo II della legge n. 15 del 2015 (articoli da 30 a 37) non sono ammessi.
In particolare, l’art. 9 recita:
“1. Nel comma 1 dell’articolo 34 della legge regionale n. 8 del 2015 sono apportate le seguenti modifiche:
a) alla lettera f) le parole "e negli edifici individuati dal piano urbanistico comunale ai sensi dell’articolo 19, comma 1, lettera h), della legge regionale n. 45 del 1989" sono soppresse;
b) le lettere h) ed i) sono soppresse”.
Tutte le modifiche apportate all’art. 34 sono volte a restringere le categorie di beni sottratti all’applicazione della legge, ampliando conseguentemente la portata delle deroghe consentite alla disciplina urbanistica e paesaggistica. Con la modifica della lettera f) gli interventi possono ora riguardare anche “gli ambiti territoriali ove si renda opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente”, nonché i “manufatti e complessi di importanza storico-artistica ed ambientale, anche non vincolati dalla legge 1° giugno 1939, n. 1089, e dalla legge 29 giugno 1939, n. 1487” (cfr. art. 19, comma 1, lettera h), della legge regionale n. 45 del 1989).
Ma, fatto ben più grave, è stata soppressa la lettera h) del medesimo comma, ai sensi della quale gli interventi non erano ammessi “h) negli edifici e nelle unità immobiliari ricadenti nei centri di antica e prima formazione ricompresi in zone urbanistiche omogenee diverse dalla A, ad eccezione di quelli che non conservano rilevanti tracce dell’assetto storico e che siano riconosciuti, dal piano particolareggiato o con deliberazione del consiglio comunale, in contrasto con i caratteri architettonici e tipologici del contesto; la deliberazione deve riguardare l’intero centro di antica e prima formazione, esplicitare i criteri seguiti nell’analisi ed essere adottata in data anteriore a qualsiasi intervento di ampliamento richiesto ai sensi degli articoli 30, 31 e 32, commi 4, 5, 6 e 7; tale delibera è soggetta ad approvazione ai sensi dell’articolo 9 della legge regionale n. 28 del 1998, e successive modifiche ed integrazioni. La presente disposizione non si applica agli interventi di cui agli articoli 32, commi 2 e 3, e 33, per la cui ammissibilità devono essere verificati la compatibilità tipologica con i caratteri costruttivi ed architettonici degli edifici interessati e il rispetto delle regole compositive del prospetto originario nel caso in cui alterino l’aspetto esteriore dell’edificio”.
La lettera h), oggetto di soppressione, comportava l’inapplicabilità degli interventi de quibus per gli immobili ricadenti nei “centri di antica e prima formazione”.
Tali contesti sono stati tipizzati e individuati dal vigente piano paesaggistico regionale come beni paesaggistici di cui all’art. 134, co. 1, lett. c), del Codice (nel testo allora vigente; v. NTA del PPR, art. 47, comma 2, lett. c), punto 2, e art. 51), oltre ad essere soggetti in alcuni casi ad altre disposizioni di tutela paesaggistica (sulla base di dichiarazioni di notevole interesse pubblico).
L’art. 47, comma 2, lettera c) punto 2) delle NTA prevede infatti che le “Aree caratterizzate da insediamenti storici, di cui al successivo art. 51” rientrino nell’assetto territoriale storico culturale regionale quale specifica categoria di beni paesaggistici. A sua volta, l’art. 51 NTA definisce le aree caratterizzate da insediamenti storici.
L’eventuale variazione delle norme di gestione e uso delle aree tutelate paesaggisticamente deve essere oggetto di co pianificazione paesaggistica con il Ministero e non può essere modificata unilateralmente dalla Regione, mediante proprie norme.
L’art. 9 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, ossia per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001.
1.10 L’art. 11 apporta modifiche all’art. 36 della legge regionale n. 8 del 2015, recante disposizioni comuni all’intero Capo I del Titolo II.
In particolare, il comma 1, lettera a), sopprime la parola “non” nel comma 2 del predetto art. 36, che per effetto della modifica viene così riformulato: “I volumi oggetto di condono edilizio sono computati nella determinazione del volume urbanistico cui parametrare l’incremento volumetrico”.
La norma ha l’effetto dirompente di capovolgere il principio statale, posto alla base del c.d. piano casa, in base al quale gli abusi edilizi, benché oggetto di sanatoria, non sono mai computabili ai fini di ottenere premialità edilizie su quei volumi, pur sempre frutto di attività illecita.
Ciò risulta espressamente nell’intesa del 2009 sul c.d. piano casa, nella quale si prevede che “Tali interventi edilizi non possono riferirsi ad edifici abusivi o nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta”.
Inoltre, l’art. 5, comma 10, del decreto-legge n. 70 del 2011 (c.d. “piano casa due”) prevede che “Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria”.
La disposizione regionale ha inoltre come effetto l’evidente incremento dell’edificazione anche in aree vincolate paesaggisticamente, per le quali, a far data dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, è stato stabilito il principio c.d. del “divieto di sanatoria ex post” (salvi i limitatissimi casi previsti dall’art. 167, comma 4, del Codice).
Le ulteriori modifiche introdotte dall’art. 11, comma 1, lettere b), f), g) e h), quest’ultima con riferimento al neo introdotto comma 15-ter, sono tutte volte a consentire ampliamenti volumetrici in deroga alla disciplina urbanistica e paesaggistica, o a consentire la monetizzazione degli standard per parcheggi.
Si evidenzia peraltro che l’inciso posto alla fine della lettera c-bis) del comma 3 dell’attuale art. 36 “e ferme le eventuali ulteriori limitazioni derivanti dalle vigenti disposizioni paesaggistiche” (riferito agli incrementi volumetrici in zona E) rende ancora più evidente l’intento derogatorio alla disciplina paesaggistica del legislatore regionale in tutti gli altri casi.
L’art. 11 (ad eccezione delle lettere c) ed e) del comma 1) è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011, nonché con l’espresso divieto di applicazione del c.d. primo piano casa agli immobili condonati, previsto dall’Intesa del 2009; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001.

1.11 L’art. 12 della legge regionale n. 1 del 2021 apporta modificazioni all’art. 38 della legge regionale n. 8 del 2015, concernente gli “Interventi di trasferimento volumetrico per la riqualificazione ambientale e paesaggistica”.
Il predetto art. 38 prevede, al comma 1, che “La Regione promuove, al fine di conseguire la riqualificazione del contesto, il miglioramento della qualità dell’abitare e la messa in sicurezza del territorio, il trasferimento del patrimonio edilizio esistente mediante interventi di demolizione e ricostruzione con differente localizzazione degli edifici” ricadenti in alcuni contesti indicati. Il successivo comma 2 prevede, per i predetti interventi, la concessione di una premialità volumetrica, da deliberarsi da parte del Consiglio comunale.
Le novelle apportate all’art. 38 della legge regionale n. 8 del 2015 sono volte:
(i) a stabilire che la premialità volumetrica per gli interventi di demo-ricostruzione con delocalizzazione sia sempre “del 40 per cento”, e non più al massimo del 40 per cento (cfr. modifica apportata al comma 2 dell’art. 38);
(ii) a sostituire il comma 3 con la seguente previsione “Per il conseguimento dell’incremento volumetrico del 40 per cento è consentita, qualora necessaria, la variante allo strumento urbanistico generale, anche su proposta del privato interessato che individua, nel rispetto dei parametri urbanistici ed edilizi previsti dalle disposizioni regionali, una idonea localizzazione per il trasferimento dei volumi, anche se provenienti da diverse zone omogenee e senza limiti di distanza tra le medesime. Nelle zone E ed H non è ammesso il trasferimento dei volumi. Nelle zone F il trasferimento dei volumi è ammesso nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 38, comma 4”;
(iii) a incrementare da 3 metri a 4,5 metri per ciascun livello fuori terra esistente l’altezza cui ragguagliare la determinazione del volume, con riferimento alle destinazioni artigianale e industriale, commerciale e agricolo-zootecnica (cfr. modifica al comma 7);
(iv) a imporre la dotazione dell’edificio da ricostruire di un idoneo impianto di elevazione per il trasporto verticale delle persone, qualora pluriimmobiliare con almeno tre livelli fuori terra, laddove prima tale obbligo era previsto anche per gli edifici con due livelli fuori terra (cfr. modifica al comma 9); modifica, questa, che appare pregiudicare persino le esigenze di abbattimento delle barriere architettoniche.
Le suddette modifiche riformano e rendono di maggiore impatto sul territorio la disciplina del predetto articolo 38, mediante la quale la Regione ha dettato unilateralmente, in deroga alla pianificazione paesaggistica e urbanistica, la disciplina della delocalizzazione degli edifici.
Per tali interventi non vale inoltre la clausola di esclusione per i beni culturali, di cui all’art. 34 della legge regionale n. 8 del 2015, riferita al solo Capo I del Titolo II della legge n. 8 del 2015.
Se è vero che gli edifici potenzialmente oggetto della norma sono (tra l’altro) quelli ricadenti “in aree ricadenti all’interno delle zone urbanistiche omogenee E ed H ed interne al perimetro dei beni paesaggistici di cui all’articolo 142, comma 1, lettere a), b), c), ed i) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e successive modifiche ed integrazioni” (comma 1, lett. a) e “all’interno del perimetro di tutela integrale e della fascia di rispetto condizionata dei beni dell’assetto storico culturale del Piano paesaggistico regionale” (comma 1, lett. e-bis), tuttavia casi e modi di tale delocalizzazione (incluse le eventuali premialità volumetriche) avrebbero dovuto essere previsti esclusivamente nell’ambito del piano paesaggistico regionale, in modo da assicurare l’armonico inserimento degli interventi nei diversi contesti territoriali, e non invece mediante una previsione di portata generale dettata unilateralmente dalla Regione. Occorre, infatti, tenere presente che spetta al piano paesaggistico la “individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela” (cfr. art. 143, comma 1, lett. g), del Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Per di più, il comma 6 del predetto art. 38 stabilisce che “Le disposizioni del presente articolo si applicano agli edifici legittimamente realizzati entro la data di entrata in vigore della presente legge, nonché nei casi di edifici successivamente legittimati a seguito di positiva conclusione del procedimento di condono o di accertamento di conformità e, ove necessario, dell’accertamento di compatibilità paesaggistica.”. In altri termini, la disciplina regionale apre la strada alla possibilità di condonare edifici in contrasto con il contesto, e dunque non meritevoli di sanatoria, per poi consentirne la delocalizzazione. É, pertanto, evidente come l’ampliamento della portata applicativa di una tale disciplina non possa che ritenersi di per sé manifestamente incostituzionale.
L’art. 12 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) degli articoli 3 e 5 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011 e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011, nonché per i profili di manifesta irragionevolezza concernenti la delocalizzazione degli immobili condonati, persino successivamente all’entrata in vigore della legge.
1.12. L’art. 13 della legge regionale n. 1 del 2021 introduce, dopo l’art. 38 della legge regionale n. 8 del 2015, un nuovo art. 38-bis, concernente il “Trasferimento dei volumi realizzabili ricadenti nelle zone Hi4, Hi3, Hg4 ed Hg3 del Piano stralcio per l’assetto idrogeologico (PAI)”.
Il comma 1 del nuovo art. 38-bis dispone che “Al fine di conseguire la riqualificazione dei relativi contesti e la messa in sicurezza del territorio, la Regione promuove ed incentiva interventi di trasferimento dei volumi previsti come realizzabili previa approvazione di piani attuativi nelle zone urbanistiche C, D e G ricadenti nelle zone Hi3, Hi4, Hg3 ed Hg4 del PAI. Nei limiti di cui al presente articolo, la Regione promuove analoghi interventi di trasferimento dei volumi previsti come realizzabili nelle zone urbanistiche B ricadenti nelle zone Hi3, Hi4, Hg3 ed Hg4 del PAI”.
Il successivo comma 2 stabilisce, poi, che “Gli interventi di cui al comma 1 sono estesi ai volumi esistenti, legittimamente realizzati nelle zone urbanistiche B, C, D, F e G ricadenti nelle zone Hi3, Hi4, Hg3 ed Hg4 del PAI per i quali è consentito il trasferimento, previa approvazione di piani attuativi, in altre zone urbanistiche B, C, D, F e G del territorio comunale situate al fuori delle aree a rischio idraulico o geologico, con incremento del volume del 35 per cento. I lavori di realizzazione dei volumi trasferiti possono avere inizio solo dopo l’avvenuta demolizione dell’edificio esistente”.
I successivi commi disciplinano casi e modalità di tale delocalizzazione.
Al riguardo, oltre alle considerazioni già svolte diffusamente in ordine alla “fuga” dal piano paesaggistico, operata illegittimamente dalla Regione, deve soprattutto osservarsi che le delocalizzazioni oggetto della disciplina in esame riguardano non solo e non tanto già edifici esistenti, legittimamente realizzati in ambiti successivamente risultati a elevato rischio idrogeologico (fattispecie contemplata al comma 2), ma anzitutto e principalmente edifici non ancora realizzati in ambiti a rischio idrogeologico. In tali casi, la conseguenza dell’approvazione del PAI dovrebbe essere semplicemente quella di escludere o limitare le edificazioni, secondo le modalità previste dal predetto piano, e non già di consentire l’edificazione in altre aree del territorio comunale, aggravando il relativo carico urbanistico.
La disciplina regionale riconosce invece ai privati proprietari di aree astrattamente edificabili in base a un originario strumento urbanistico comunale, sul quale si siano imposte previsioni confliggenti del PAI, una sorta di “diritto quesito” all’edificazione (come è noto, inconfigurabile nell’ordinamento: cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3571), da attuare in ogni caso, senza che sia neppure garantito che la diversa dislocazione delle volumetrie, potenzialmente di impatto dirompente sul territorio, sia disciplinata nel quadro organico della pianificazione paesaggistica.
Il legislatore ha infatti identificato nel PRG lo strumento che incide sul territorio e sui diritti edificatori.
Il Giudice civile ha ribadito, anche di recente, che i diritti edificatori non sono diritti reali né obbligazioni propter rem (Cassazione civile, Sez. Un. 29 ottobre 2020, n. 23902), affermando peraltro che: “E tuttavia, la disciplina di fonte regionale, limitata al governo del territorio ed alle relative prescrizioni conformative, non potrebbe in alcun modo spingersi a riempire di contenuto civilistico o dominicale gli istituti in questione, così da sovrapporsi alla potestà legislativa esclusiva ed unitaria dello Stato in materia di ordinamento civile e di diritto di proprietà; ciò secondo quanto dettato dall’art. 117 Cost., come più volte inteso dal giudice delle leggi, nel senso che la limitazione conformativa del diritto di proprietà volta ad assicurarne la funzione sociale ben può essere esercitata, nelle materie di competenza, dalla legge regionale, ferma però restando la preclusione per il legislatore regionale di interferire sulla disciplina dei diritti soggettivi per quanto riguarda “i profili civilistici dei rapporti da cui derivano, cioè i modi di acquisto e di estinzione, i modi di accertamento, le regole sull’adempimento delle obbligazioni e sulla responsabilità per inadempimento, la disciplina della responsabilità extracontrattuale, i limiti dei diritti di proprietà connessi ai rapporti di vicinato, e via esemplificando” (C.Cost. sent. n. 391/89 ed altre)”.
L’art. 13 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’articolo 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, stante la previsione del riconoscimento di un diritto soggettivo al trasferimento delle volumetrie non realizzabili a causa dei vincoli idrogeologici; (ii) degli articoli 3 e 5 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011 e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (iii) del principio di leale collaborazione; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011, nonché per i profili di manifesta irragionevolezza concernenti il cumulo delle volumetrie; (v) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001.

1.13. L’art. 14 modifica l’art. 39 della legge regionale n. 8 del 2015, concernente il rinnovo del patrimonio edilizio con interventi di demolizione e ricostruzione.
In particolare, il comma 1 del predetto art. 39 stabilisce che “La Regione promuove il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente mediante interventi di integrale demolizione e successiva ricostruzione degli edifici esistenti che necessitino di essere adeguati in relazione ai requisiti qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici, di sicurezza strutturale e per il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche”.
Tali interventi sono disciplinati nei successivi commi, i quali sono fatti oggetto, dalle norme in esame, di una serie sistematica di modifiche, volte ad ampliare enormemente l’ambito applicativo della disciplina normativa e l’impatto sul territorio degli interventi di demo-ricostruzione consentiti.
In particolare, le lettere a) e b) intervengono sui commi 2 e 3 dell’art. 39, che subordinavano gli interventi di demo-ricostruzione con premialità volumetrica alla deliberazione del consiglio comunale, rimettendo alla medesima delibera, nel caso in cui fosse prevista la ricostruzione nel medesimo lotto urbanistico, la determinazione dei parametri urbanistico-edilizi dell’intervento nel rispetto delle disposizioni vigenti, con eventuale superamento dei parametri volumetrici e dell’altezza previsti dalle vigenti disposizioni comunali e regionali. L’effetto della novella è sostituire la predetta deliberazione con la mera determina dell’ufficio comunale, con violazione del principio fondamentale espresso dal comma 11 dell’art. 5 del decreto-legge n. 70 del 2011, che prevede “Decorso il termine di cui al comma 9, e sino all’entrata in vigore della normativa regionale, agli interventi di cui al citato comma si applica l’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d’uso”. Come è noto, l’art. 14 del predetto d.P.R. n. 380 del 2001 richiede la delibera del Consiglio comunale per consentire, nei soli casi in cui sussista un pubblico interesse, la realizzazione di interventi in deroga agli strumenti urbanistici. Tale previsione è senz’altro una norma fondamentale di grande riforma economico-sociale, non derogabile dalla Regione Sardegna ai sensi dell’art. 3 dello Statuto di autonomia speciale. Conseguentemente, le deroghe e le eccezioni a tale principio, proprio perché legate da un rapporto di coessenzialità o di integrazione necessaria, partecipano della stessa natura di riforma economico-sociale e possono, se del caso, essere stabilite solo con legge dello Stato.
Se è vero, poi, che ai sensi dell’art. 5, comma 11, d.l. n. 70 del 2011 l’entrata in vigore della disciplina regionale esclude l’applicabilità del predetto art. 14, ciò non significa che sia consentito superare il principio alla base della suddetta previsione e, soprattutto, che sia possibile rimettere la deroga degli strumenti urbanistici a una mera determinazione degli uffici tecnici, senza passare per il necessario vaglio degli organi politici comunali.
La lettera d) del comma 1 modifica il comma 6 dell’art. 39, sostituendo le parole “entro la data di entrata in vigore della presente legge” con le seguenti: “entro il 31 dicembre 2020”. L’effetto della novella è quello di estendere l’ambito applicativo degli interventi di demo-ricostruzione, prima consentiti solo sugli immobili realizzati o condonati entro la data di entrata in vigore della legge n. 8 del 2015, anche “agli edifici legittimamente realizzati entro il 31 dicembre 2020, nonché nei casi di edifici successivamente legittimati a seguito di positiva conclusione del procedimento di condono o di accertamento di conformità e, ove necessario, dell’accertamento di compatibilità paesaggistica”. Si tratta di un’estensione arbitraria e irragionevole rispetto alle finalità di riqualificazione e rigenerazione urbana della normativa, che non hanno ragion d’essere nei confronti di immobili appena edificati. La normativa regionale si pone, inoltre, del tutto al di fuori della disciplina di principio di cui all’art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011; disciplina peraltro anch’essa eccezionale (Corte cost. n. 217 del 2020) e destinata ad avere applicazione per un tempo limitato.
La lettera g) interviene sulla lettera e) del comma 13 dell’art. 39, che individua le aree, anche di rilievo culturale e paesaggistico (“interne al perimetro dei beni paesaggistici di cui all’articolo 142, comma 1, lettere a), b), c), ed i) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”), all’interno delle quali non sono consentiti gli interventi previsti dal medesimo articolo. La novella ha lo scopo di delimitare la portata della esclusione alle sole aree già individuate prima della presentazione dell’istanza, indipendentemente dall’esito del procedimento. Ciò rende di fatto inefficace la (successiva) individuazione di ulteriori aree d’interesse paesaggistico ope legis per il solo fatto della mera presentazione della istanza di intervento.
La lettera h) interviene sulle ricostruzioni nelle fasce costiere tutelate ope legis, inserendo l’inciso volto a precisare che le stesse sono assentibili “senza l’obbligo del rispetto dell’ubicazione, della sagoma e della forma del fabbricato da demolire”, con ciò disciplinando direttamente gli interventi, in spregio al Piano paesaggistico approvato d’intesa con lo Stato, al quale spetta la disciplina d’uso dei beni tutelati. La Regione interviene così, ancora una volta autonomamente e unilateralmente, a dettare la disciplina sui beni paesaggistici.
Inoltre, il comma 13 dell’art. 39, nel perimetrare l’ambito applicativo della disciplina del rinnovo del patrimonio edilizio con interventi di demolizione e ricostruzione, non esclude i beni tutelati ai sensi della Parte II del Codice. La predetta disciplina può, perciò, applicarsi indiscriminatamente anche ai beni culturali, in violazione degli articoli 4, 20 e 21 del Codice, da considerare norme di grande riforma economico-sociale, non derogabili dalla Regione Sardegna.
L’art. 14 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) degli articoli 3 e 5 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico sociale , ossia per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011.
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1.14 L’art. 15 modifica l’art. 40 della legge regionale n. 8 del 2015 (Misure di promozione dei programmi integrati per il riordino urbano).
In particolare, la lettera c) del comma 1 sostituisce il secondo periodo del comma 7 dell’art. 40 con il seguente: “Nessuna zona urbanistica omogenea è aprioristicamente esclusa”. Il testo precedente del periodo era così formulato: “Sono esclusi dall’ambito di intervento i centri di antica e prima formazione e le zone urbanistiche omogenee E e H”. Per effetto della novella, il comma 7 dell’art. 40 risulta ora così formulato: “I comuni, con deliberazione del consiglio comunale, individuano, con riferimento alle destinazioni dello strumento urbanistico vigente ed in conformità con il Piano paesaggistico regionale, gli ambiti territoriali nei quali realizzare gli interventi previsti dai programmi per il riordino urbano, localizzandoli prioritariamente nelle zone urbanistiche omogenee C contigue all’ambito urbano e, quindi, nelle zone D e G contigue all’ambito urbano e non completate o dismesse. Nessuna zona urbanistica omogenea è aprioristicamente esclusa”.
Benché nella disposizione sia espressamente richiesta la conformità al piano paesaggistico per l’individuazione degli ambiti territoriali nei quali realizzare gli interventi previsti, tuttavia la Regione anche in questo caso interviene autonomamente a variare le norme di gestione e uso delle aree tutelate paesaggisticamente, che invece devono essere oggetto di copianificazione paesaggistica con lo Stato.
La modifica unilaterale della Regione viola inoltre quanto concordato con il Protocollo d’Intesa del 2007 e il relativo Disciplinare attuativo del 2018, ai sensi degli articoli 143 e 156 del Codice.
Come già evidenziato in relazione all’art. 9, si deve osservare che i “centri di antica e prima formazione” sono beni paesaggistici tipizzati e individuati dal vigente Piano paesaggistico regionale ai sensi dell’allora vigente art. 134, co. 1, lett. c), del Codice (v. Norme Tecniche di Attuazione – NTA del PPR, art. 47, co. 2, lett. c, punto 2, e art. 51), oltre ad essere soggetti eventualmente anche ad altre disposizioni di tutela paesaggistica, in caso di dichiarazioni di notevole interesse pubblico.
Inoltre, le stesse NTA del Piano paesaggistico regionale contemplano la tutela delle aree agricole (zone omogenee E – usi agricoli) come “componenti di paesaggio con valenza ambientale” suddivise nelle categorie di “aree naturali e subnaturali”, “aree seminaturali” e “aree ad utilizzazioni agro-forestale” (cfr. NTA, articoli 21 e 22-30), le cui previsioni di conservazione e tutela costituiscono norme di gestione e uso per i beni paesaggistici dell’Assetto ambientale del PPR (NTA, art. 18, comma 4), tra i quali beni paesaggistici ricadono anche quelli di cui all’art. 142, comma 1, lettere g), f) , h) e l) (NTA, art. 17, comma 4).
Le zone omogene H – salvaguardia ambientale (di cui alla definizione del Decreto Assessoriale 20.12.1983 n.2266/U,) sono costituite invece dalle “… parti del territorio non classificabili secondo i criteri in precedenza definiti e che rivestono un particolare valore speleologico, archeologico, paesaggistico o di particolare interesse per la collettività, quali fascia costiera, fascia attorno agli agglomerati urbani, fascia di rispetto cimiteriale, fascia lungo le strade statali provinciali e comunali”. In merito al loro rapporto, attraverso il Piano Urbanistico Comunale (PUC) con il PPR, è stabilito che “… dovranno sostanzialmente essere individuate in corrispondenza dei beni paesaggistici, così come identificati e classificati dalle NTA del PPR, salve le eccezioni dovute ai beni paesaggistici altrimenti classificabili (es. gli insediamenti storici identificati come zona A). Poiché tra i beni paesaggistici rientrano sia beni puntualmente localizzati (sia di valenza di tipo naturalistica (es. geositi) che storico culturale (es. chiese)) e sia beni cosiddetti categoriali (es. fasce dei fiumi), in sede di redazione del PUC, il Comune sottopone all’Ufficio del Piano regionale una proposta di individuazione di tali aree, supportata da studi approfonditi afferenti le singole categorie di beni. A tale perimetrazione dovranno essere giustapposte, in via del tutto generale, delle “aree di rispetto” contenenti delle limitazioni alla fruizione ed all’uso del territorio. L’efficacia di tale definitiva individuazione del bene paesaggistico si avrà con la pubblicazione sul BURAS della determinazione del DG della PUTVE dell’esito positivo della verifica di coerenza del PUC effettuata ai sensi dell’art. 31 LR 7/2002” (cfr. Piano paesaggistico regionale legge regionale 25 novembre 2004, n. 8 Linee guida per l’adeguamento dei piani urbanistici comunali al PPR e al PAI del febbraio 2007).
La nuova previsione della legge regionale n. 1 del 2021, che sopprime il divieto di localizzare gli interventi nei centri antichi tutelati e nelle zone omogenee E e H eccede quindi le competenze regionali in materia di copianificazione paesaggistica obbligatoria, diminuendo per tali aree la tutela ad esse riconosciuta dal PPR.
Inoltre, la norma regionale presenta criticità anche in relazione ai beni culturali, poiché dai predetti programmi integrati per il riordino urbano, che prevedono interventi di riqualificazione, di sostituzione edilizia, di modifica di destinazione d’uso di aree e di immobili con un incremento volumetrico massimo del 40 per cento della volumetria demolita, non sono esclusi i beni culturali.
L’art. 15 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) degli articoli 3 e 5 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011; (ii) del principio di leale collaborazione.
1.15 L’art. 16 modifica l’art. 41 della legge regionale n. 8 del 2015, recante “Disposizioni transitorie della legge regionale n. 4 del 2009”.
La disposizione prevede che:
“1. All’articolo 41 della legge regionale n. 8 del 2015 sono apportate le seguenti modifiche:
a) nel comma 3 le parole "lettera e)" sono sostituite con le seguenti: "lettere d) ed e)";
b) nel comma 4 le parole "nei comuni dotati di piano urbanistico comunale ai sensi della legge regionale n. 45 del 1989, e successive modifiche ed integrazioni, " sono soppresse e dopo "zone urbanistiche omogenee C, D e G" la parola "tutte" è soppressa.”.
Tali modifiche si inseriscono nell’art. 41, che regola la disciplina transitoria del vecchio “piano casa”, mantenuta in vita per i procedimenti già pendenti, e che al comma 1 prevede: “1. Le disposizioni di cui al capo I della legge regionale n. 4 del 2009, e successive modifiche ed integrazioni, continuano ad applicarsi per l’espletamento e fino alla conclusione solamente per i procedimenti instaurati dalla presentazione, entro il termine del 29 novembre 2014, della denuncia di inizio di attività o dell’istanza volta all’ottenimento della concessione edilizia, ancorché le disposizioni medesime siano divenute inefficaci o siano state modificate al tempo della loro applicazione”.
I commi 3 e 4 del medesimo art. 41, novellati dalla legge n. 1 del 2021, fanno riferimento all’art. 13 della legge regionale n. 4 del 2009, che disciplina gli interventi ammissibili nella fase di adeguamento degli strumenti urbanistici al Piano paesaggistico regionale e che è stato abrogato dall’art. 44, comma 3, della legge regionale n. 8 del 2015.
Trattandosi di una disciplina abrogata, mantenuta in vita transitoriamente soltanto per i procedimenti avviati entro una certa data, le nuove previsioni non possono che essere rivolte a modificare, in senso retroattivo, i presupposti per l’accoglimento delle istanze presentate entro il termine del 29 novembre 2014 (ai sensi del comma 1 dell’art. 41 sopra richiamato), con questo introducendo una sorta di sanatoria.
Sono infatti ampliate, a posteriori, le ipotesi derogatorie alle previsioni e prescrizioni del piano paesaggistico regionale, alle quali gli strumenti urbanistici comunali devono adeguarsi (v. art. 145, co. 4, del Codice). Ciò contrasta anche con il divieto di sanatoria ex post di cui all’art. 167, del Codice.
L’art. 16 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’articolo 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011 e per gli esiti manifestamente arbitrari e irragionevoli cui conduce la modifica ex post delle condizioni di accoglimento delle domande di c.d. piano casa già presentate nel 2014; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011.
1.16. L’art. 17, recante “Differimento dei termini”, prevede:
“1. I termini temporali di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b), e di cui all’articolo 41, comma 4, della legge regionale n. 8 del 2015, sono differiti alla data di entrata in vigore della presente legge.
2. Il termine previsto dall’articolo 37, comma 1, della legge regionale n. 8 del 2015 e successive modifiche ed integrazioni, è differito al 31 dicembre 2023 e opera conseguentemente la reviviscenza della disciplina del capo I del titolo II della legge regionale n. 8 del 2015, così come modificata dalla presente legge, che mantiene la sua vigenza sino a tale data”.
Con il primo comma sono differiti i termini richiamati dagli articoli citati della legge regionale n. 8 del 2015 “alla data di entrata in vigore della presente legge”. In particolare, l’art. 34, comma 1, lettera b), dispone la non applicabilità delle disposizioni del Capo I del Titolo II negli edifici completati successivamente alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 8 del 2015. L’art. 41, comma 4, consente l’attuazione degli interventi localizzati nelle zone urbanistiche omogenee C, D e G, contigue al centro urbano, e previsti nei piani attuativi adottati alla data di entrata in vigore della legge n. 8 del 2015, in attuazione dell’articolo 13, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 4 del 2009.
La novella di fatto prolunga per ulteriori 6 anni le disposizioni che consentono alcuni interventi previsti dal c.d. piano casa sardo, in contrasto con il carattere straordinario ed eccezionale della normativa del piano casa. Il carattere retroattivo della disposizione contrasta inoltre con il divieto di sanatoria ex post disposto dall’art. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Il comma 2 dell’art. 17 della legge regionale n. 1 del 2021 differisce, poi, “al 31 dicembre 2023” il termine di operatività delle disposizioni del Capo I del Titolo II della legge regionale n. 8 del 2015, ossia il Capo recante il c.d. secondo Piano Casa della Sardegna. Il termine in esame è già stato prorogato al 31 dicembre 2020 con la legge n. 17 del 2020, che è stata a suo tempo impugnata dal Governo innanzi alla Corte costituzionale. Si tratta, peraltro, di termine scaduto al momento dell’entrata in vigore della novella.
Sembrerebbe quindi che la Regione Sardegna, dopo aver fatto decadere la norma di proroga del c.d. Piano Casa impugnata, voglia comunque far salva l’efficacia della proroga stessa, persino nel caso di soccombenza in esito al giudizio pendente sulla legge regionale n. 17 del 2020.
Peraltro, in più occasioni la Corte costituzionale ha sottolineato l’esistenza di un principio generale di non prorogabilità dei termini dopo la loro scadenza, ciò che comporta l’illegittimità della norma anche in relazione anche a questo profilo (Corte costituzionale, ex multis nn. 174 del 1992 e 155 del 2014).
L’art. 17 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’articolo 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011, nonché per gli esiti manifestamente arbitrari e irragionevoli cui conduce la reiterata proroga della disciplina del c.d. piano casa, nonché la proroga di un termine già scaduto; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011.
1.17. L’art. 18 detta una “Norma transitoria” che prevede:
“1. Sono fatte salve le richieste di titoli abilitativi di cui alla legge regionale n. 8 del 2015 e successive proroghe, presentate fino alla data del 31 dicembre 2020, per le quali continua ad applicarsi la normativa suddetta. In relazione ad esse, resta validamente compiuta anche l’attività eventualmente svolta e gli atti adottati dagli uffici pubblici statali, regionali o comunali.
2. Qualora i soggetti richiedenti intendano usufruire delle modifiche introdotte con la presente legge, ove più favorevoli, presentano esclusivamente le integrazioni o modifiche alla documentazione già presentata.
3. Le eventuali richieste di titoli abilitativi presentate tra il 1° gennaio 2021 e la data di entrata in vigore della presente legge sono ripresentate a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
L’art. 18 fa salve le istanze e gli atti già prodotti rispetto alla pregressa normativa regionale, che la legge regionale n. 17 del 2020 aveva prorogato fino al 31 dicembre 2020. Con questa previsione, considerato che all’entrata in vigore della legge n. 1 del 2021 il termine era già scaduto, il legislatore regionale fa salvi gli atti e le istanze già presentate sulla base della norma previgente, la quale presenta anch’essa profili di illegittimità costituzionale, che ne hanno motivato l’impugnativa avanti alla Corte.
L’art. 18 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione (i) dell’articolo 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011, nonché per gli esiti manifestamente arbitrari e irragionevoli cui conduce la reiterata proroga della disciplina del c.d. piano casa; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011.1.17. L’art. 18 detta una “Norma transitoria” che prevede:
“1. Sono fatte salve le richieste di titoli abilitativi di cui alla legge regionale n. 8 del 2015 e successive proroghe, presentate fino alla data del 31 dicembre 2020, per le quali continua ad applicarsi la normativa suddetta. In relazione ad esse, resta validamente compiuta anche l’attività eventualmente svolta e gli atti adottati dagli uffici pubblici statali, regionali o comunali.
2. Qualora i soggetti richiedenti intendano usufruire delle modifiche introdotte con la presente legge, ove più favorevoli, presentano esclusivamente le integrazioni o modifiche alla documentazione già presentata.
3. Le eventuali richieste di titoli abilitativi presentate tra il 1° gennaio 2021 e la data di entrata in vigore della presente legge sono ripresentate a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
L’art. 18 fa salve le istanze e gli atti già prodotti rispetto alla pregressa normativa regionale, che la legge regionale n. 17 del 2020 aveva prorogato fino al 31 dicembre 2020. Con questa previsione, considerato che all’entrata in vigore della legge n. 1 del 2021 il termine era già scaduto, il legislatore regionale fa salvi gli atti e le istanze già presentate sulla base della norma previgente, la quale presenta anch’essa profili di illegittimità costituzionale, che ne hanno motivato l’impugnativa avanti alla Corte.
L’art. 18 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione (i) dell’articolo 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011, nonché per gli esiti manifestamente arbitrari e irragionevoli cui conduce la reiterata proroga della disciplina del c.d. piano casa; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011.
1.17. L’art. 18 detta una “Norma transitoria” che prevede:
“1. Sono fatte salve le richieste di titoli abilitativi di cui alla legge regionale n. 8 del 2015 e successive proroghe, presentate fino alla data del 31 dicembre 2020, per le quali continua ad applicarsi la normativa suddetta. In relazione ad esse, resta validamente compiuta anche l’attività eventualmente svolta e gli atti adottati dagli uffici pubblici statali, regionali o comunali.
2. Qualora i soggetti richiedenti intendano usufruire delle modifiche introdotte con la presente legge, ove più favorevoli, presentano esclusivamente le integrazioni o modifiche alla documentazione già presentata.
3. Le eventuali richieste di titoli abilitativi presentate tra il 1° gennaio 2021 e la data di entrata in vigore della presente legge sono ripresentate a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
L’art. 18 fa salve le istanze e gli atti già prodotti rispetto alla pregressa normativa regionale, che la legge regionale n. 17 del 2020 aveva prorogato fino al 31 dicembre 2020. Con questa previsione, considerato che all’entrata in vigore della legge n. 1 del 2021 il termine era già scaduto, il legislatore regionale fa salvi gli atti e le istanze già presentate sulla base della norma previgente, la quale presenta anch’essa profili di illegittimità costituzionale, che ne hanno motivato l’impugnativa avanti alla Corte.
L’art. 18 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione (i) dell’articolo 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011, nonché per gli esiti manifestamente arbitrari e irragionevoli cui conduce la reiterata proroga della disciplina del c.d. piano casa; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011.
2. Capo II – Modifiche alla legge regionale n. 23 del 1985 e alla legge n. 24 del 2016.
Il Capo II della legge regionale n. 1 del 2021 modifica la legge regionale n. 23 del 1985, recante “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative”.

2.1. L’art. 19 modifica l’art. 7-bis della legge regionale n. 23 del 1985, concernente le “Tolleranze edilizie”, inserendo i seguenti due nuovi commi:
“1-ter. Per i fabbricati realizzati con licenza di costruzione antecedente all’entrata in vigore della presente legge, sono considerate tolleranze edilizie, con conseguente inapplicabilità delle disposizioni in materia di parziale difformità, le violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 5 per cento delle misure progettuali.
1-quater. Nell’osservanza del principio di certezza delle posizioni giuridiche e di tutela dell’affidamento dei privati, costituiscono inoltre tolleranze edilizie le parziali difformità, realizzate nel passato durante i lavori per l’esecuzione di un titolo abilitativo cui sia seguita, previo sopralluogo o ispezione da parte di funzionari incaricati, la certificazione di conformità edilizia e di agibilità nelle forme previste dalla legge e le parziali difformità rispetto al titolo abilitativo legittimamente rilasciato, che l’amministrazione comunale abbia espressamente accertato nell’ambito di un procedimento edilizio e che non abbia contestato come abuso edilizio o che non abbia considerato rilevanti ai fini dell’agibilità dell’immobile. È fatta salva la possibilità di assumere i provvedimenti di cui all’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990, nei limiti e condizioni ivi previsti.”.
Le disposizioni dell’art. 19 contrastano con la disciplina statale contenuta nell’art. 34-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, introdotto con l’art. 10, comma 1, lettera p), del decreto-legge n. 76 del 2020 (c.d. “decreto Semplificazioni”), da considerare norma di grande riforma economico-sociale, non derogabile dalle Autonomie Speciali.
In particolare, il comma 1 dell’art. 34 –bis del d.P.R. n. 380 del 2001 prescrive che il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia solo se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo.
Inoltre, il comma 2 del predetto art. 34-bis prevede che fuori dai casi del comma precedente, e per gli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice, costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile.
La norma regionale pertanto, è illegittima sia ove prevede, nel comma 1, il limite del 5 per cento, molto più alto di quello statale, sia ove consente, nel comma 2, una sorta di sanatoria ex post considerando “tollerabili” ulteriori parziali difformità (senza che ne sia indicato il limite e la rilevanza effettivi) rispetto al titolo edilizio in ragione di alcune acquisizioni procedimentali, in difformità alle previsioni del legislatore statale, e senza che siano esclusi gli immobili tutelati.
Si osserva, inoltre, l’assoluta contrarietà ai principi e la manifesta illegittimità costituzionale:
- della previsione di un affidamento tutelabile del privato alla conservazione di opere abusive (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 9 del 2017: “non può ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può in alcun modo legittimare”);
- dell’attribuzione di un effetto di sanatoria alla mera mancata contestazione degli abusi rilevabili da parte dell’Amministrazione ovvero al rilascio del certificato di agibilità, che è un atto di mera certificazione dell’esistenza delle condizioni per l’utilizzazione dell’immobile in conformità alla sua destinazione;
- della previsione che gli effetti di sanatoria riconnessi al certificato di agibilità o alla mera mancata contestazione degli abusi siano eliminabili soltanto mediante il ricorso all’autotutela.
Con le suddette previsioni, la disciplina regionale si pone in contrasto con l’art. 3 dello statuto e con la norma di grande riforma economico sociale costituita dal predetto art. 34-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, dettato dal legislatore nazionale nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere assicurati uniformemente a livello nazionale (art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.).
L’ampliamento dell’area delle tolleranze edilizie comporta anche l’effetto di depenalizzare abusi edilizi che dovrebbero ricadere nella fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente violazione anche della potestà esclusiva dello Stato in materia di ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.)
L’articolo 19 della legge regionale reca anche la violazione degli articoli 3 e 5 dello Statuto, come attuato dal d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione. Ciò sia perché non viene esclusa la configurabilità di tolleranze eccedenti il 2 per cento in relazione agli immobili sottoposti a tutela (in contrasto, come detto, con l’art. 34-bis, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001), sia perché incrementando dal 2 al 5 per cento la misura delle c.d. tolleranze edilizie, si determina l’irrilevanza edilizia di una serie di abusi che, se eseguiti su immobili sottoposti a vincolo, costituirebbero addirittura variazioni essenziali (e non mere variazioni parziali), ai sensi dell’articolo 32, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001. Per questa via, la Regione determina un significativo abbassamento del livello della tutela degli immobili vincolati, esonerando dalle sanzioni penali e amministrative le variazioni essenziali eseguite su immobili vincolati.
2.2 L’art. 21 L’art. 21 modifica l’art. 16 della legge regionale n. 23 del 1985, in materia di “Accertamento di conformità”, aggiungendo il seguente comma:
“1-bis. Fatti salvi gli effetti penali dell’illecito, il permesso di costruire o l’autorizzazione all’accertamento di conformità possono essere ottenuti, ai soli fini amministrativi, qualora gli interventi risultino conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda”.
La novella ha un effetto dirompente, consentendo di sanare a regime una serie di abusi non sanabili in base all’attuale disciplina statale (cfr. artt. 36 e 37 del TUE), la quale richiede inderogabilmente la c.d. doppia conformità, ossia la conformità dell’intervento realizzato senza titolo sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell’abuso, che a quella in vigore al momento della presentazione della domanda.
In base alla disciplina introdotta dalla norma in esame, è infatti sufficiente che l’immobile sia conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda, e non anche al tempo dell’abuso. La Regione Sardegna consente quindi di regolarizzare ex post, rendendole legittime, opere che, al momento della loro realizzazione, sono in contrasto con gli strumenti urbanistici di riferimento, dando corpo ad una ipotesi di sanatoria, in linea con iniziative legislative analoghe puntualmente sanzionate dalla Corte costituzionale (sentenze n. 233 del 2015, n. 209 del 2010, n. 290 e n. 54 del 2009).
In particolare, nella sentenza n. 232 del 2017, pronunciata nei confronti della Regione Siciliana, si legge che “Questa Corte si è più volte occupata del principio dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 t.u.edilizia e ha affermato che esso, che costituisce «principio fondamentale nella materia governo del territorio» (da ultimo, sentenza n. 107 del 2017), è «finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità» (sentenza n. 101 del 2013). Tale istituto si distingue dal condono edilizio, in quanto «fa riferimento alla possibilità di sanare opere che, sebbene sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia, sono state realizzate in assenza del titolo stesso, ovvero con varianti essenziali», laddove il condono edilizio «ha quale effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia» (sentenza n. 50 del 2017).
Anche a prescindere da tali classificazioni, occorre ricordare che, sebbene questa Corte abbia riconosciuto che la disciplina dell’accertamento di conformità attiene al governo del territorio, ha comunque precisato che spetta al legislatore statale la scelta sull’an, sul quando e sul quantum della sanatoria, potendo il legislatore regionale intervenire solo per quanto riguarda l’articolazione e la specificazione di tali disposizioni (sentenza n. 233 del 2015). Quanto alle Regioni ad autonomia speciale, ove nei rispettivi statuti si prevedano competenze legislative di tipo primario, si è puntualizzato che esse devono, in ogni caso, rispettare il limite della materia penale e di «quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di grande riforma», come nel caso del titolo abilitativo edilizio in sanatoria (sentenza n. 196 del 2004).”
La norma è pertanto illegittima per contrasto con il principio fondamentale in materia di governo del territorio della c.d. “doppia conformità”; principio che attiene ai livelli essenziali delle prestazioni che devono essere assicurati uniformemente sull’intero territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione) e norma di grande riforma economico-sociale, come tale non derogabile dalle Autonomie speciali. Al riguardo, occorre tenere presente che la valenza di norma di grande riforma economico sociale del predetto art. 36 è stata espressamente affermata nella richiamata sentenza n. 232 del 2017, ove, come sopra riportato, si è espressamente ritenuta la valenza di norma di grande riforma dell’articolo 36 della Costituzione.
La Regione, inoltre, pur facendo salvi gli effetti penali dell’illecito, non fa salve le relative sanzioni civili e fiscali, previste dagli artt. 46 e 49 del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente invasione della sfera di competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile di cui alla lettera l) ed e) del secondo comma dell’art. 117 Cost.
Realizzando un sostanziale intervento in sanatoria, la Regione Sardegna ha dunque invaso un ambito legislativo estraneo ai titoli di sua legittimazione, rendendo ancor più evidente la marcata incoerenza sistematica da ascrivere alle disposizioni impugnate.
3. Capo III – Modifiche alla legge regionale n. 16 del 2017 e disposizioni varie.
Il Capo III della legge regionale n. 1 del 2021 modifica la legge regionale n. 16 del 2017 (“Norme in materia di turismo”) e reca disposizioni varie.

3.1. L’art. 23 modifica la legge regionale n. 16 del 2017 e, in particolare, l’art. 21 concernente le “Aree di sosta temporanea a fini turistici”, introducendo il seguente comma: “3-bis. Le aree di sosta temporanea degli autocaravan e caravan possono essere proposte ai comuni in aree private. I comuni possono rilasciare l’autorizzazione una volta verificata la sussistenza dei requisiti di cui al comma 3.”.
Al riguardo si osserva che i requisiti di cui si richiede la verifica, indicati nel comma 3, sono unicamente quelli richiesti dall’art. 185 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (“Nuovo codice della strada”) e dell’articolo 378 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (“Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada”), essendo inoltre richieste le dotazioni minime e ulteriori appositamente indicate.
Si ritiene pertanto necessario specificare che la realizzazione delle richiamate aree di sosta debba comunque essere conforme alle previsioni del piano paesaggistico e autorizzata sotto il profilo paesaggistico.
Si deve inoltre osservare che i commi 1 e 2 dell’art. 21 distinguono tra le aree destinate alla sosta temporanea a seconda che le stesse siano attrezzate o non attrezzate, e che solo per le aree attrezzate si richiede il rispetto dei requisiti di cui al comma 3. Tuttavia, il nuovo comma 3-bis non specifica che le aree di sosta, che possono essere proposte ai comuni in aree private, sono “attrezzate”, pur richiedendo i requisiti di cui al comma 3 (previsti per le aree attrezzate).
Al riguardo, si precisa che le aree di sosta temporanea attrezzate non sono consentite nell’ambito del bene paesaggistico tipizzato e individuato dal Piano paesaggistico regionale della “Fascia costiera”, in quanto la realizzazione di “aree attrezzate di camper” non sono ammesse dalle relative NTA (cfr. art. 20, comma 1, lett. b, punto 3) e quindi la norma, in quanto riferita anche alle aree attrezzate, risulta contraria alle previsioni delle predette NTA del PPR.
L’art. 23 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 117, secondo comma, lett. m) ed s), della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono parametri interposti gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché il d.P.R. n. 31 del 2017; (ii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, ossia per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001.

3.2. L’art. 24 introduce nella legge regionale n. 16 del 2017 l’art. 19-bis, concernente la “Realizzazione dei campeggi oltre la fascia dei 300 metri dalla linea di battigia”, con il quale si dispone che:
“1. Oltre la fascia dei 300 metri dalla linea di battigia è consentita la realizzazione di campeggi, a basso indice di impatto paesaggistico e ad alto indice di reversibilità”.
La previsione contrasta con il piano paesaggistico regionale e in particolare con la disciplina d’uso (NTA) del bene paesaggistico tipizzato e individuato della “Fascia costiera”, e con eventuali ulteriori vincoli paesaggistici che vi ricadono.
Anche in questo caso la Regione Sardegna viola la normativa di tutela paesaggistica e il connesso obbligo di copianificazione previsto dagli articoli 135 e 143 del Codice. Non è inoltre specificato se la realizzazione di campeggi sia soggetta o meno all’autorizzazione paesaggistica.
La previsione è illegittima per le medesime ragioni illustrate con riferimento all’art. 23, ossia: per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 117, secondo comma, lett. m) ed s), della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono parametri interposti gli articoli 146 e 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché il d.P.R. n. 31 del 2017; (ii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione, per le ragioni illustrate; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, ossia per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001.


3.3. L’art. 25 fornisce l’interpretazione autentica dell’articolo 4 del decreto dell’Assessore regionale degli enti locali, finanze e urbanistica n. 2266/U del 1983 e prevede: “1. L’articolo 4 del decreto dell’Assessore regionale degli enti locali, finanze e urbanistica n. 2266/U del 1983 si interpreta nel senso che, in sede di nuova pianificazione, le limitazioni imposte dalla legge regionale 25 novembre 2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale) inerenti il dimensionamento della capacità insediativa alberghiera, non si applicano per i comuni che non abbiano raggiunto la potenzialità volumetrica originariamente prevista dal decreto assessoriale n. 2266/U del 1983 a condizione che le relative volumetrie siano finalizzate alla promozione turistica mediante la realizzazione di strutture alberghiere, para alberghiere a 5 o 6 stelle. È consentito trasferire la residenza anagrafica e/o domicilio nelle strutture ricettive definite dalla legge regionale n. 16 del 2017, a prescindere dalla classificazione urbanistica delle aree in cui le medesime ricadono”.
L’art. 4 del decreto 2266/U del 1983 (oggetto di interpretazione autentica) reca i limiti di densità edilizia per le diverse zone nella Regione Sardegna.
Con l’art. 25 si introduce, sostanzialmente, una modifica alla previsione dell’art. 6 (“Zone F turistiche”) della legge regionale n. 8 del 2004, recante “Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale” – sulla cui base fu approvato il vigente piano paesaggistico regionale – ove si prevede che: “Il dimensionamento delle volumetrie degli insediamenti turistici ammissibili nelle zone F non deve essere superiore al 50 per cento di quello consentito con l’applicazione dei parametri massimi stabiliti per il calcolo della fruibilità ottimale del litorale dal Dec.Ass. 20 dicembre 1983, n. 2266/U dell’Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica”.
L’art. 25 introduce pertanto la possibilità di individuare, in sede di redazione degli strumenti urbanistici comunali (non ancora adeguati al PPR, che a sua volta necessita di essere verificato e adeguato ai sensi di quanto previsto dal Protocollo d’Intesa del 2007), nuove previsioni edificatorie, anche negli ambiti tutelati paesaggisticamente, in contrasto con il principio di copianificazione obbligatoria di cui agli articoli 135 e 143 del Codice.
L’interpretazione autentica di una norma risalente a oltre quarant’anni prima appare inoltre irragionevole e contraria al buon andamento.
L’art. 25 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione, per le ragioni illustrate; (iii) degli articoli 3 e 97 della Costituzione, per la manifesta irragionevolezza della “intepretazione autentica” di una previsione molto risalente nel tempo.

3.4. L’art. 26 (“Insediamenti turistici. Specificazioni”) prevede:
“1. Al fine di favorire lo sviluppo delle località non costiere e la destagionalizzazione dei flussi turistici, in deroga all’articolo 61, comma 1, lettera b), e all’articolo 89, comma 1, lettera b), delle Norme tecniche di attuazione (NTA) del Piano paesaggistico regionale (PPR), approvato con D.P.Reg. 7 settembre 2006, n. 82, qualora non siano perseguibili le modalità di cui all’articolo 90, comma 1, lettera a), delle stesse NTA, i comuni possono localizzare nuovi interventi turistici e relativi servizi generali, che non siano in connessione ed integrazione con assetti insediativi esistenti, nelle vicinanze di un fattore di attrazione motivatamente individuato”.
Le NTA del PPR prevedono che i comuni, nell’adeguamento degli strumenti urbanistici al PPR, debbano localizzare i nuovi interventi residenziali e turistici e i servizi generali in connessione e integrazione strutturale e formale con l’assetto insediativo esistente (art. 61, comma 1, lettera b) e favorire le nuove localizzazioni turistiche in zone contigue e/o integrate agli insediamenti (art. 89, comma 1, lettera b).
L’art. 90, comma 1, lettera a), delle NTA prevede poi, come norma di indirizzo degli insediamenti turistici, che i comuni debbano prevedere lo sviluppo della potenzialità turistica del territorio attraverso l’utilizzo degli insediamenti esistenti quali centri urbani, paesi, frazioni e agglomerati, insediamenti sparsi del territorio rurale e grandi complessi del territorio minerario.
L’art. 26 della legge regionale n. 1 del 2021 introduce, in via autonoma e unilaterale, previsioni derogatorie alle NTA del PPR, consentendo la localizzazione di nuovi interventi turistici e relativi servizi generali non conformi alla vigente disciplina di tutela, e ciò al di fuori degli obblighi di verifica ed adeguamento del Piano paesaggistico regionale di cui agli art. 143 e 156 del Codice, sulla base del Protocollo d’Intesa, sottoscritto tra la Regione e il Ministero nel 2007 e del relativo Disciplinare attuativo del 2018.
L’art. 26 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione.

3.5 L’art. 27, recante “Disciplina degli interventi ammissibili nella fase di adeguamento degli strumenti urbanistici al Piano paesaggistico regionale”, prevede:
“1. Negli ambiti di paesaggio costiero di cui all’articolo 14, comma 1, delle NTA del PPR, fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni del PPR, è consentita, in aggiunta ai casi di cui all’articolo 15, comma 1, delle NTA, l’adozione e l’approvazione dei piani attuativi previsti nello strumento urbanistico vigente, che ricadono nelle zone territoriali omogenee C, D e G, contigue o interne al tessuto urbano.
2. Ai fini dell’applicazione della disciplina transitoria di cui all’articolo 15, comma 1, delle NTA del PPR, i confini amministrativi comunali sono considerati elementi geografici di interclusione.”
L’art. 15, comma 1, delle NTA, detta la disciplina transitoria per gli ambiti di paesaggio costieri, prevedendo che, fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle previsioni del PPR, è consentita l’attività edilizia e la relativa realizzazione delle opere di urbanizzazione nelle zone omogenee A e B dei centri abitati e delle frazioni individuate dai Comuni ai sensi dell’articolo 9 della legge 24 dicembre 1954 n. 1228, purché delimitate ed indicate come tali negli strumenti urbanistici comunali. Inoltre, sono realizzabili in conformità ai vigenti strumenti urbanistici comunali gli interventi edilizi ricadenti nelle zone C immediatamente contigue al tessuto urbano consolidato ed intercluse da elementi geografici, infrastrutturali ed insediativi che ne delimitino univocamente tutti i confini.
L’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2021 introduce nelle NTA del PPR, in via autonoma e unilaterale, una ulteriore fattispecie derogatoria agli obblighi di adeguamento al Piano paesaggistico regionale dei PUC (Piani Urbanistici Comunali), consentendo l’adozione e approvazione di Piani attuativi derogatori alla obbligatoria disciplina di tutela definita dal PPR.
Tale disposizione è inoltre resa ancor più grave, nelle sue conseguenze per la tutela del paesaggio (comprensivo dell’intero territorio), dalla introduzione con il comma 2 di una sorta di presunzione, in base alla quale i “confini amministrativi comunali” sono considerati come un elemento pari a quello dell’edificazione o infrastrutturazione esistente, nel cui solo ambito sarebbe stato possibile, ai sensi delle NTA, operare ulteriori trasformazioni del territorio.
La disposizione, pertanto, non solo aggiunge, rispetto alle NTA, le zone omogenee D e G, ma consente di edificare ulteriormente, con piani attuativi, in aggiunta a quanto già previsto dal vigente PPR, anche in ambiti tutelati paesaggisticamente, e ciò senza il coinvolgimento obbligatorio del Ministero in sede di copianificazione obbligatoria.
L’art. 27 è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (ii) del principio di leale collaborazione.

3.6. L’art. 28 “Disposizioni di salvaguardia delle zone umide” reca:
“1. Fino all’adeguamento del PPR e delle relative NTA il vincolo paesaggistico relativo alle zone umide di cui all’articolo 17, comma 3, delle vigenti NTA si interpreta sistematicamente con l’articolo 18 delle medesime NTA nel senso che le zone umide rappresentano beni paesaggistici oggetto di conservazione e tutela per l’intera fascia di 300 metri dalla linea di battigia dei laghi naturali, degli stagni, delle lagune e degli invasi artificiali, a prescindere dalle perimetrazioni operate sulle relative cartografie in misura inferiore.
2. Nelle zone urbanistiche A, B, C, D, E ed F dei comuni che non abbiano provveduto all’adeguamento del piano urbanistico comunale al PPR, le aree libere da volumi regolarmente accatastati alla data di approvazione della presente legge, che ricadano nella fascia di tutela di cui al comma 1, sono inedificabili e non possono essere oggetto di alcuna trasformazione urbanistica o edilizia.
3. Sugli edifici esistenti nella fascia di tutela di cui al comma 1 restano consentiti gli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a), b), c) e d) del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)), e successive modifiche ed integrazioni”.
Al contempo, l’art. 29 della legge regionale n. 1 del 2021 abroga l’art. 27 (“Estensione del vincolo paesaggistico”) della legge regionale n. 8 del 2015, che recitava: “1. Sono beni paesaggistici le zone umide di cui all’articolo 17, comma 3, lettera g) delle Norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico regionale, individuate e rappresentate nella cartografia di piano nella loro dimensione spaziale. Il vincolo paesaggistico non si estende, oltre il perimetro individuato, alla fascia di tutela dei 300 metri dalla linea di battigia, riferita ai soli laghi naturali e invasi artificiali”.
Al riguardo, occorre anzitutto evidenziare che l’art. 17, comma 1, lettera g), delle NTA del PPR elenca, tra le categorie di beni paesaggistici, tipizzati e individuati nella cartografia del PPR, la seguente: “Zone umide, laghi naturali ed invasi artificiali e territori contermini compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi”. Si tratta di zone umide individuate dal PPR e, quindi, diverse e ulteriori rispetto a quelle tutelate ai sensi della Convenzione di Ramsar (queste ultime soggette a vincolo ex lege ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. i), del Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Tale norma era stata oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato n. 2188 del 2012, con la quale si era ritenuto che la fascia di rispetto della profondità di 300 metri “deve allora ritenersi valere per tutti i beni elencati in tale lettera g)”.
Successivamente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 308 del 2013, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione autonoma Sardegna 12 ottobre 2012, n. 20 (Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici), che prevedeva: “1. La Giunta regionale, nel rispetto della norma fondamentale di riforma economico-sociale del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137), e successive modifiche ed integrazioni, assume una deliberazione di interpretazione autentica dell’articolo 17, comma 3, lettera g), delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale nel senso che la fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia è da riferirsi esclusivamente, come in tali disposizioni già stabilito, ai laghi naturali e agli invasi artificiali, e non si applica alle citate zone umide tipizzate e individuate ai sensi dell’articolo 134, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 42 del 2004, come modificato dall’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio. 2. I comuni e gli altri enti competenti, in conformità alla deliberazione di interpretazione autentica della Giunta regionale di cui al comma 1, sono tenuti ad adottare i necessari atti conseguenti con riferimento ai titoli abilitativi rilasciati a decorrere dal 24 maggio 2006, data di adozione del Piano paesaggistico regionale”.
In tale occasione la Corte ha ritenuto, tra l’altro, che “… la volontà del legislatore deve ravvisarsi, alla luce di quanto statuito nella legge regionale n. 8 del 2004 e nelle relative norme del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, nella volontà di assicurare un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio, in primo luogo attraverso lo strumento del Piano paesistico regionale (art. 1 della legge regionale n. 8 del 2004; art. 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio). L’effetto prodotto dalla norma regionale impugnata, all’opposto, risulta essere quello di una riduzione dell’ambito di protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici, le zone umide, senza che ciò sia imposto dal necessario soddisfacimento di preminenti interessi costituzionali. E ciò, peraltro, in violazione di quei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla portata retroattiva delle leggi, con particolare riferimento al rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario. Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2012”.
Con la legge regionale n. 8 del 2015, la Regione Sardegna era nuovamente intervenuta a precisare la nozione delle “zone umide” tipizzate e individuate dal PPR, questa volta senza dichiarare la natura di norma di interpretazione autentica della previsione introdotta. In particolare, mediante il richiamato art. 27 – ora abrogato – la Regione specificava come, tenuto conto della distinzione tra “zone umide” e “laghi naturali e invasi artificiali”, solo a questi ultimi dovesse considerarsi riferita la fascia di rispetto di 300 metri di cui all’art. 17 delle NTA.
L’art. 28, comma 1, della legge regionale in esame introduce una nuova (ulteriore e diversa) interpretazione autentica della stessa previsione di cui all’art. 17, comma 3, lettera g), delle NTA, ancora più restrittiva della portata del vincolo.
La tutela delle zone umide oggetto di vincolo paesaggistico tipizzato e individuato dal PPR, subisce una doppia limitazione: non solo le predette zone non sono dotate di una propria fascia di rispetto di 300 metri, ma la relativa individuazione è limitata alla sola porzione che rientra nella fascia di rispetto dei 300 metri prevista per i laghi naturali, gli stagni, le lagune e gli invasi artificiali, di fatto riconducendo e “assorbendo” la tutela delle zone umide alla tutela già riconosciuta dal PPR alla fascia di rispetto di altri beni paesaggistici. La Regione opera, quindi, una riduzione della tutela specificatamente riconosciuta alle zone umide come bene paesaggistico autonomo, in contrasto con le previsioni delle NTA.
Occorre rilevare che la disposizione censurata, seppure qualificata dallo stesso legislatore regionale in termini di norma di interpretazione autentica, non si pone in linea con le indicazioni offerte dalla Corte Costituzionale nello scrutinare, attraverso il parametro offerto dall’art. 3 Cost., la legittimità delle norme di interpretazione autentica o comunque delle norme dotate di efficacia retroattiva: non assegna, infatti, alla norma interpretata un significato già in questa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario; né, ancora, vale a chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto, o consente di ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore a tutela della certezza del diritto e della eguaglianza dei cittadini, principi di preminente interesse costituzionale. Piuttosto, lungi dal fornire un’interpretazione possibile del testo della legge impugnata, ne restringe all’evidenza l’estensione, al solo scopo di diminuire la portata applicativa della disciplina di tutela riferibile alle zone umide.
Né, ancora, la retroattività della disposizione de qua finisce comunque per trovare giustificazione nella tutela di principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; si mostra, per contro, lesiva dei principi prima richiamati ed in particolare della certezza dell’ordinamento giuridico e dell’affidamento dei soggetti destinatari.
Nella richiamata sentenza n. 308 del 2013, la Corte ha anche ricordato, richiamando il proprio orientamento, i limiti costituzionali che devono essere rispettati dalle norme di “interpretazione autentica”. Si tratta di “una serie di limiti «attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, anche di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza […]; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010)» (sentenza n. 78 del 2012)”.
La disposizione si pone in contrasto frontale peraltro, con i principi enunciati dalla Corte costituzionale e dal Giudice amministrativo in materia di tutela delle zone umide proprio con riferimento a norme regionali della Sardegna che si proponevano di ridurre la tutela assegnata dal Piano paesaggistico ai predetti beni.
In materia di tutela del paesaggio, il Codice dei beni culturali e del paesaggio costituisce per la Regione espressione della competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. s), nonché limite per quanto attiene alle norme di grande riforma in esso contenute in materia di “edilizia ed urbanistica”, attribuita alla Regione in via esclusiva. Conseguentemente, non spetta alla Regione sottrarre unilateralmente categorie di beni paesaggistici già sottoposti a tutela al principio fondamentale di copianificazione con lo Stato posto dal predetto Codice.
Posto quanto illustrato, se l’articolo 29 della legge regionale in esame , in quanto abroga un disposizione che non era condivisibile di cui risulta legittima e opportuna l’eliminazione, risulta invece costituzionalmente illegittimo l’art. 28, commi 1 e 3 per violazione: (i) degli artt. 3 e 9 della Costituzione, in considerazione dei profili di arbitrarietà e irragionevolezza insiti nella norma di interpretazione autentica, che determina l’effetto della diminuzione della tutela di beni di pregio paesaggistico; (ii) dell’art. 3 art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio; (iii) del principio di leale collaborazione.

4. Capo IV – Disposizioni finali.
Il Capo IV detta disposizioni finali.
4.1 In particolare l’art. 30 (“Clausola di non onerosità”) prevede, al comma 2, che:
“Gli articoli della presente legge, trattandosi di disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio coniugate con la riqualificazione, la razionalizzazione ed il miglioramento della qualità architettonica e abitativa, della sicurezza strutturale, della compatibilità paesaggistica e dell’efficienza energetica del patrimonio edilizio esistente nel territorio regionale, anche attraverso la semplificazione delle procedure, sono cogenti e di immediata applicazione e prevalgono sugli atti di pianificazione, anche settoriale, sugli strumenti urbanistici generali e attuativi e sulle altre vigenti disposizioni normative regionali”.
Si tratta di una disposizione manifestamente illegittima, in quanto assicura la prevalenza delle disposizioni regionali rispetto alle previsioni e prescrizioni del Piano paesaggistico regionale, in contrasto con le previsioni del Codice (art. 145), che costituiscono norme interposte rispetto agli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, come più volte affermato dalla Corte Costituzionale, la quale ha sancito l’inderogabilità del piano paesaggistico da parte del legislatore regionale (sentenze n. 11 e 189 del 2016).
L’art. 30, comma 2, è pertanto costituzionalmente illegittimo per violazione: (i) dell’articolo 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lett. s), Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011; (ii) del principio di leale collaborazione; (iii) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli articoli 3 e 97 della Costituzione, per violazione delle norme di grande riforma economico sociale costituite dai principi di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, all’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, all’intesa sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione dell’articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all’articolo 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011, nonché per gli esiti manifestamente arbitrari e irragionevoli cui conduce deroga indiscriminata della disciplina del territorio; (iv) dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, stante il contrasto con le norme fondamentali di grande riforma economico-sociale di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), nonché di cui all’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto legge n. 70 del 2011.

Per le ragioni esposte la legge regionale, con riferimento alle note sopra descritte, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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