Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2022-2024 in materia di entrate e di spese. Modificazioni e integrazioni di leggi regionali. (23-5-2022)
Molise
Legge n.7 del 23-5-2022
n.26 del 25-5-2022
Politiche economiche e finanziarie
21-7-2022 / Impugnata
Legge regionale Molise 23 maggio 2022, n. 7, “Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2022 - 2024 in materia di entrate e spese. Modificazioni e integrazioni di leggi regionali.”
Con riferimento alla legge regionale di cui all’oggetto, si rappresenta quanto segue:

L’articolo 6, comma 2, apporta modifiche e integrazioni alla legge regionale 18 luglio 2008, n. 25, recante “Interventi per il recupero dei sottotetti, dei locali interrati e seminterrati e dei porticati”.
In particolare, la lettera a) prevede che, all’articolo 1, comma 1, ultimo periodo, le parole “30 aprile 2022” sono sostituite dalle seguenti parole “30 aprile 2023”.
Per effetto di tale modifica, il periodo in questione – inserito dall’articolo 7, comma 8, della legge regionale 4 maggio 2021, n. 1 - viene ad essere così formulato: “Nelle more dell’adozione di provvedimenti conseguenziali al predetto accordo e comunque fino al 30 aprile 2023, sono ammessi gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica sulla base di decreti ministeriali ove vigenti.”.
Tale previsione è stata inserita in chiusura del comma 1, dell’articolo 1 della legge n. 25 del 2008, dopo che la Regione Molise, in adempimento di un precedente impegno, aveva inserito nel medesimo comma, per mezzo della legge regionale n. 14 del 2020, i seguenti periodi: “Rimane fermo il rispetto delle disposizioni di cui alla Parte II del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Con riferimento ai beni tutelati ai sensi della Parte III del decreto legislativo n. 42/2004, gli interventi comportanti modifiche all'aspetto esteriore degli edifici sono ammessi soltanto nei casi e nei limiti previsti dai piani paesaggistici di cui agli articoli 135, comma 1, e 143, comma 2, ovvero dalla disciplina d'uso dei beni paesaggistici, di cui agli articoli 140, 141 e 141-bis, ovvero nei casi e nei limiti individuati mediante apposito accordo stipulato tra la Regione e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, destinato a confluire nei piani paesaggistici”.
Orbene, come già osservato in sede di interlocuzioni riguardanti la legge n. 1 del 2021, la Regione, con la disciplina transitoria prevista in chiusura del comma 1, adottata unilateralmente, ha in sostanza “sterilizzato” l’impegno adempiuto per il tramite delle modifiche apportate con la legge n. 14 del 2020, questo volto a riportare interventi edilizi straordinari, che impattano anche sul paesaggio vincolato, nell’alveo della pianificazione paesaggistica.
A fronte della prospettata impugnativa della predetta disposizione per violazione del principio di leale collaborazione, oltreché per contrasto con i principi di copianificazione obbligatoria (artt. 135, 143 e 143 del Codice) e con gli articoli 3, 9 e 97 Cost., il Presidente della Regione Molise, con nota prot. 104241 del 23 giugno 2021, aveva assunto l’impegno a riformulare la previsione in questione nei seguenti termini: “Nelle more della stipulazione dell’accordo di cui al periodo precedente, e in ogni caso non oltre il 31 dicembre 2021, sono ammessi gli interventi comportanti modifiche all'aspetto esteriore degli edifici anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica, ferma restando la necessità di acquisire l’autorizzazione paesaggistica.”.
Sulla scorta di tale impegno e confidando nell’adempimento dello stesso, il Ministero non ha proceduto con l’impugnativa dell’articolo 7, comma 8, della legge regionale 4 maggio 2021, n. 1 che ha inserito il periodo in questione.
Senonché, come appurato, la Regione, con l’articolo 6, comma 2, lettera a), della legge di cui all’oggetto non solo non ha modificato l’ultimo periodo dell’articolo 1, comma 1 della legge regionale 18 luglio 2008, n. 25, nei termini concordati, ma ha altresì disposto una proroga di un anno della disciplina transitoria ivi prevista.
La modifica apportata si pone in netto contrasto con l’impegno puntuale assunto, e ciò in violazione del principio di leale collaborazione. Inoltre, la disciplina transitoria di cui all’ultimo periodo dell’articolo 1, comma 1, della legge regionale n. 25 del 2008, come prorogata dalla legge regionale di cui all’oggetto, si pone in contrasto con l’impegno puntuale assunto in occasione della legge n. 1 del 2020, e poi adempiuto con la legge regionale n. 14 del 2020, e ciò, parimenti, in violazione del principio di leale collaborazione. Tale ultimo impegno si colloca infatti nella scia degli accordi di pianificazione assunti tra la Regione e lo Stato, che vengono ora disattesi con questo intervento e si deve pertanto ritenere applicabile il principio, anche di recente affermato dalla Corte costituzionale, in base al quale “alle Regioni non sono certamente preclusi interventi legislativi nella materia del «governo del territorio» nelle more dell’adozione del piano paesaggistico, sempre che essi non contrastino con i puntuali contenuti delle eventuali intese raggiunte prima dell’approvazione dell’accordo definitivo” (sentenza n. 54 del 2021, che richiama n. 86 del 2019). Tale impegno ben può essere considerato tale, in quanto parte integrante, nei contenuti, delle suddette intese.
L’elaborazione unilaterale, da parte della Regione, della disciplina applicabile agli immobili paesaggisticamente tutelati, al di fuori del piano paesaggistico, sebbene transitoria, contrasta inoltre con il principio di copianificazione obbligatoria e del ruolo di vertice conferito al piano di cui agli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Non spetta infatti alla Regione disciplinare unilateralmente i beni paesaggisticamente tutelati, in quanto la sede di tale disciplina è individuata dal Codice nel piano paesaggistico, da elaborarsi congiuntamente tra la Regione e lo Stato. Si ritiene che questo vizio si estenda conseguentemente anche alle ipotesi ampliative sopra descritte.
Il legislatore nazionale, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, ha assegnato infatti al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale.
L’articolo 135, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio dispone, in particolare, che “Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: "piani paesaggistici". L’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143.”.
I successivi articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono, poi, l’inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l’immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008).
Mediante la suddetta disciplina statale, è stata effettuata una scelta di principio la cui validità e importanza è già stata evidenziata più volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell’impugnazione di leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei Comuni e delle Regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno strumento di pianificazione sovracomunale, definito d’intesa tra lo Stato e la Regione. La Corte ha, infatti, affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte Cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
Pertanto la disposizione in esame deve essere oggetto di impugnativa ex art. 127 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione, oltreché per contrasto con i principi di copianificazione obbligatoria (artt. 135, 143 e 143 del Codice) e con gli articoli 3, 9 e 97 Cost.
Stante il generale abbassamento del livello di tutela, la novella contrasta anche con il valore primario e assoluto del paesaggio, riconosciuto dall’art. 9 Cost. (Corte cost. n. 367 del 2007) e anche per tale aspetto deve essere impugnata.
§§§

L’Articolo 6, comma 3.
reca quanto segue: "3. All'articolo 21 della legge regionale 30 marzo 1995, n. 10 (Nuovo ordinamento della formazione professionale), il comma 2 è sostituito dal seguente comma:
"2. Tutte le attività di cui al comma 1 possono essere espletate anche mediante ricorso a figure esterne all'Amministrazione regionale, ove il dirigente del settore istruzione e formazione professionale ne ravvisi l'opportunità." In virtù della novella legislativa, viene, pertanto, disposto che le funzioni inerenti all'accertamento dei requisiti per il riconoscimento del Centro di Formazione Professionale e delle sedi di svolgimento dei corsi e la vigilanza ed il controllo tecnico, didattico, amministrativo e a contabile sullo svolgimento delle attività concorsuali di competenza della Regione o delle Province – nel caso in cui il dirigente del settore istruzione e formazione professionale ne ravvisi l'opportunità – possono essere espletate anche mediante ricorso a figure esterne all'Amministrazione regionale.

Al riguardo, si evidenzia che la disposizione in esame non chiarisce in virtù di quali istituti giuridici possa eventualmente attuarsi il suddetto "ricorso a figure esterne dell'Amministrazione regionale ".
Si segnala poi che il ricorso a personale esterno, qualora attuato mediante contratti di collaborazione, deve avvenire nel rispetto della normativa statale vigente, contenuta nell'art. 7, commi 6 e 6-bis del d.lgs. 165/2001, nonché nell'art. 19, commi 6, 6-bis, 6-ter del medesimo d.lgs. per le ipotesi di incarichi dirigenziali.

Tali disposizioni dettano specifici requisiti di legittimità che trovano applicazione nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni in quanto afferiscono alla materia dell'ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato, posto che l'avvalimento del personale di cui trattasi avviene mediante la stipulazione di un contratto di diritto privato.

Alla luce di quanto sopra, e per le motivazioni suesposte, non essendo pervenuti i chiarimenti richiesti alla Regione, la norme è illegittima in quanto si pone in violazione degli articoli 97 e 117, comma 2, lett. 1) della Costituzione.

L’articolo 6, comma 6, apporta modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 30 del 2009 (c.d. piano casa), che prevede la possibilità di realizzare numerosi interventi edilizi, di ampliamento, di recupero, di rinnovamento, anche nei centri storici, in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici comunali, con l’effetto di ampliare ulteriormente le ipotesi previste, da considerare invece frutto di un intervento legislativo del tutto eccezionale, la cui durata (ipotizzata nell’intesa Stato-Regioni del 1 aprile 2009) era temporalmente limitata, fino a un massimo di soli 18 mesi.
In particolare, la lettera b) del comma 6, interviene sull’articolo 2-bis, comma 1. Tale comma, prima della novella portata dalla legge di cui all’oggetto, prevedeva che “1. Al fine di rigenerare il patrimonio edilizio ricadente nei centri storici di cui all’articolo 2 del decreto ministeriale n. 1444/1968, è consentito l'ampliamento degli edifici ad uso residenziale esistenti alla data del 31 dicembre 2014, fino al 20 per cento del volume esistente, se diretto all’esclusivo scopo di migliorarne la vivibilità o l’efficienza energetica oppure la fruibilità attraverso la eliminazione delle barriere architettoniche”.
Orbene, la lettera b) del comma 6 ha previsto che le parole ricomprese tra “ampliamento degli edifici” ed “esistenti alla data del 31 dicembre 2014” sono soppresse.
In disparte l’incongrua formulazione della previsione normativa, l’effetto sostanziale della novella è quello di consentire l’incremento volumetrico fino al 20 per cento per tutti gli edifici, e non già soltanto per quelli a uso residenziale. Inoltre, l’ambito applicativo della disposizione non è più limitato ai soli edifici esistenti alla data del 31 dicembre 2014, ma è esteso a qualsivoglia costruzione, realizzata in qualunque tempo, e persino a quelle di futura realizzazione.

Ancora, la lettera d) del comma 6, interviene sull’articolo 11, comma 1, della legge n. 30 del 2009, apportando le seguenti modifiche:
1) al primo periodo, le parole “31 dicembre 2022” sono sostituite dalle parole “31 dicembre 2024”;
2) all’ultimo periodo, le parole “30 aprile 2022” sono sostituite dalle parole “30 aprile 2023”.
Per effetto di tale novella, viene dunque anzitutto prorogata l’operatività temporale della legge sul piano casa, disponendo che le segnalazioni certificate di inizio attività o la denuncia di inizio attività di tutti gli interventi previsti nella legge possono essere presentate non più fino al 31 dicembre 2022, bensì fino 31 dicembre 2024.
La seconda modifica interviene sull’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 11, introdotto dall’articolo 7, comma 7, lettera d) della legge regionale n. 1 del 2021, prevedendo, come visto, che le parole “30 aprile 2022” sono sostituite dalle parole “30 aprile 2023”.
Per effetto di tale modifica, il periodo risulta dunque così formulato: “Nelle more dell’adozione di provvedimenti conseguenziali al predetto accordo e comunque fino al 30 aprile 2023, sono ammessi gli interventi comportanti modifiche all'aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica sulla base di decreti ministeriali ove vigenti.”.
Tale previsione è stata inserita in chiusura del comma 1, dell’articolo 11 della legge n. 30 del 2009, dopo che la Regione Molise aveva inserito, in precedenza, nel medesimo comma, per mezzo della legge regionale n. 14 del 2020, i seguenti periodi:
“Rimane fermo il rispetto delle disposizioni di cui alla Parte II del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Con riferimento ai beni tutelati ai sensi della Parte III del decreto legislativo n. 42/2004, gli interventi comportanti modifiche all'aspetto esteriore degli edifici sono ammessi soltanto nei casi e nei limiti previsti dai piani paesaggistici di cui agli articoli 135, comma 1, e 143, comma 2, ovvero dalla disciplina d'uso dei beni paesaggistici, di cui agli articoli 140, 141 e 141-bis, ovvero nei casi e nei limiti individuati mediante apposito accordo stipulato tra la Regione e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo destinato a confluire nei piani paesaggistici”.
Tale intervento normativo era seguito, a sua volta, a un preciso impegno del Presidente della Regione Molise, assunto, su proposta di questo Ministero, in sede di interlocuzione in ordine alla legge regionale n. 1 del 2020, con la quale si era prorogata l’efficacia del piano casa.
In tale occasione si era infatti evidenziato che la continua proroga di interventi non assentibili in via ordinaria presenta delle criticità con la disciplina di tutela dei beni culturali e paesaggistici contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, e quindi con la potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione. Infatti tali interventi, proprio a fronte della loro ammissibilità, in origine, per un arco di tempo limitato, sono collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento che dovrebbe essere costituito dalle previsioni del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore. Soltanto a quest’ultimo strumento, elaborato d’intesa tra Stato e Regione, spetta infatti di stabilire, per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e di individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
Si era pertanto concordato con la Regione di inserire nel testo normativo il necessario quadro di riferimento, costituito dal piano paesaggistico regionale.
Ciononostante, come visto, la Regione, con l’art. 7, comma 7, lettera d), della legge regionale n. 1 del 2021, ha introdotto una disciplina transitoria, appunto prevedendo che, nelle more dell’adozione di provvedimenti conseguenziali al predetto accordo e comunque fino al 30 aprile 2022, fossero ammessi gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica sulla base di decreti ministeriali ove vigenti.
In sede di interlocuzioni riguardanti la legge n. 1 del 2021, questo Ministero aveva già stigmatizzato la legittimità di tale ultima previsione.
L’impegno puntuale assunto in occasione della legge n. 1 del 2020, e poi concretizzato con la legge regionale n. 14 del 2020, si collocava infatti sulla scia degli accordi di pianificazione assunti tra la Regione e lo Stato, che venivano a essere disattesi con l’anzidetto intervento.
A fronte della prospettata impugnativa della predetta disposizione, il Presidente della Regione Molise, con nota prot. 104241 del 23 giugno 2021, aveva assunto l’impegno a riformulare la previsione in questione nei seguenti termini: “Nelle more della stipulazione dell’accordo di cui al periodo precedente, e in ogni caso non oltre il 31 dicembre 2021, sono ammessi gli interventi comportanti modifiche all'aspetto esteriore degli edifici anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica, ferma restando la necessità di acquisire l’autorizzazione paesaggistica.”.
Sulla scorta di tale impegno e confidando nell’adempimento dello stesso, il Ministero non ha proceduto con l’impugnativa dell’articolo 7, comma 7, lettera d), della legge regionale 4 maggio 2021, n. 1 che ha inserito il periodo in questione.
Senonché, come appurato, la Regione, con l’articolo 6, comma 6, lettera d), della legge di cui all’oggetto non solo non ha modificato l’ultimo periodo dell’articolo 1, comma 1 della legge regionale 18 luglio 2008, n. 25, nei termini concordati, ma ha altresì disposto una proroga di un anno della disciplina transitoria ivi prevista.
La modifica apportata si pone in netto contrasto con l’impegno puntuale assunto, e ciò in violazione del principio di leale collaborazione. Inoltre, la stessa disciplina transitoria, elaborata unilateralmente dalla Regione, risulta illegittima, in quanto in contrasto con l’impegno puntuale assunto in occasione della legge n. 1 del 2020, e poi adempiuto con la legge regionale n. 14 del 2020. Tale impegno si colloca nello stesso solco degli accordi finalizzati alla elaborazione congiunta del piano, e si deve pertanto ritenere applicabile il principio, anche di recente affermato dalla Corte costituzionale, in base al quale “alle Regioni non sono certamente preclusi interventi legislativi nella materia del «governo del territorio» nelle more dell’adozione del piano paesaggistico, sempre che essi non contrastino con i puntuali contenuti delle eventuali intese raggiunte prima dell’approvazione dell’accordo definitivo” (sentenza n. 54 del 2021, che richiama n. 86 del 2019). Tale impegno ben può essere considerato tale, in quanto parte integrante, nei contenuti, delle suddette intese.
L’elaborazione unilaterale, da parte della Regione, della disciplina applicabile agli immobili paesaggisticamente tutelati, al di fuori del piano paesaggistico, sebbene transitoria, contrasta inoltre con il principio di copianificazione obbligatoria e del ruolo di vertice conferito al piano di cui agli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Non spetta infatti alla Regione, unilateralmente, disciplinare i beni paesaggisticamente tutelati, la cui disciplina è rimessa dal Codice inderogabilmente al piano paesaggistico, da elaborarsi congiuntamente tra la Regione e lo Stato.

Parimenti illegittima deve ritenersi la proroga della legge sul piano casa disposta fino al 31 dicembre 2024.
Finalità della legge regionale n. 30 del 2009, recante il c.d. piano casa, era quella di consentire interventi “straordinari” per un periodo temporalmente limitato.
La stessa Corte costituzionale, intervenuta al riguardo, non ha mancato di rilevare come il c.d. piano casa si configuri alla stregua di “misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio” predisposta nel 2008 dal legislatore statale, contenuta nell’art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
In particolare l’art. 11, comma 5, lettera b), prevedeva che detto piano potesse realizzarsi anche attraverso possibili “incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”.
Nel 2009, per dare attuazione a tale norma fece seguito l’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, stipulata in data 1° aprile 2009, che ha consentito ai legislatori regionali “(...) aumenti volumetrici (pari al 20 per cento o al 35 per cento in caso di demolizione e ricostruzione) a fronte di un generale miglioramento della qualità architettonica e/o energetica del patrimonio edilizio esistente.” (Corte cost. n. 70 del 2020).
La predetta finalità pare tuttavia essere stata snaturata dalla Regione, la quale, attraverso le continue proroghe apportate con le leggi regionali che si sono susseguite nel tempo – da ultimo quella prevista con la legge regionale in esame – ha determinato la sostanziale stabilizzazione delle deroghe consentite dalla legge n. 30 del 2009, con il risultato di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi assentibili in deroga alla pianificazione urbanistica.
La scelta così operata dalla Regione presenta delle criticità rispetto alla disciplina di tutela dei beni culturali e paesaggistici contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, risultando invasiva della potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
Ciò in quanto gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia, proprio a fronte della loro ammissibilità, in origine, per un arco di tempo estremamente limitato, sono collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento che dovrebbe essere costituito dalle previsioni del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore. Soltanto a quest’ultimo strumento, elaborato d’intesa tra Stato e Regione, spetta infatti di stabilire, per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e di individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
L’articolo 11, comma 1 della legge regionale n. 30 del 2009, come modificato dalla legge di cui all’oggetto, contrasta dunque con la scelta del legislatore statale di rimettere alla pianificazione la disciplina d’uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli) ai fini dell’autorizzazione degli interventi, come esplicitata negli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturale e del paesaggio, costituenti norme interposte rispetto al parametro costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
Al riguardo, occorre tenere presente che la parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio delinea un sistema organico di tutela paesaggistica, inserendo i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell’autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione.
Il legislatore nazionale, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono infatti l’inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l’immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008).
Come già ricordato, la Corte costituzionale ha, infatti, affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
In linea con la propria costante giurisprudenza, la Corte costituzionale, anche di recente, ha affermato, con riguardo alla proroga delle normative di c.d. piano casa, che “È proprio l’indefinito succedersi delle proroghe, ancorate all’entrata in vigore di una nuova legge regionale sul governo del territorio o a termini di volta in volta differiti, che interferisce con la tutela paesaggistica e determina il vulnus denunciato dal ricorrente.
La previsione impugnata, nel sancire per un tempo apprezzabile un’ulteriore proroga di disposizioni che derogano alla pianificazione urbanistica, consente reiterati e rilevanti incrementi volumetrici del patrimonio edilizio esistente, isolatamente considerati e svincolati da una organica disciplina del governo del territorio, che lo stesso legislatore regionale individua come la sede più appropriata per la regolamentazione di interventi di consistente impatto, nel rispetto dei limiti posti dallo statuto di autonomia alla potestà legislativa primaria.
La legge regionale, consentendo interventi parcellizzati, svincolati da una coerente e stabile cornice normativa di riferimento, trascura l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio, proprio della pianificazione urbanistica, e così danneggia «il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale» (sentenza n. 219 del 2021, punto 4.2. del Considerato in diritto)».” (Corte cost. n. 24 del 2022, § 6.5.2. in diritto).

Per quanto esposto le disposizioni indicate devono essere impugnate per le norme di proroga di interventi non assentibili in via ordinaria in quanto risultano evidenti contrasti criticità con la disciplina di tutela dei beni culturali e paesaggistici contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, e quindi con la potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. s)
Per altro, l’elaborazione unilaterale regionale, della disciplina applicabile agli immobili paesaggisticamente tutelati, al di fuori del piano paesaggistico contrasta con il principio di copianificazione obbligatoria e del ruolo di vertice conferito al piano di cui agli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio e non spetta infatti alla Regione, unilateralmente, disciplinare i beni paesaggisticamente tutelati, la cui disciplina è rimessa dal Codice inderogabilmente al piano paesaggistico, da elaborarsi congiuntamente tra la Regione e lo Stato. E inoltre illegittima la proroga della legge sul piano casa disposta fino al 31 dicembre 2024. Finalità della legge regionale n. 30 del 2009, recante il c.d. piano casa, era quella di consentire interventi “straordinari” per un periodo temporalmente limitato. La scelta così operata dalla Regione contrasta con la disciplina di tutela dei beni culturali e paesaggistici contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, risultando invasiva della potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione. L’articolo 11, comma 1 della legge regionale n. 30 del 2009, come modificato dalla legge di cui all’oggetto, contrasta dunque con la scelta del legislatore statale di rimettere alla pianificazione la disciplina d’uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli) ai fini dell’autorizzazione degli interventi, come esplicitata negli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturale e del paesaggio, costituenti norme interposte rispetto al parametro costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
Per le indicate violazioni le disposizioni regionali indicate devono essere impugnate ex art. 127 della Costituzione.




L’articolo 6, comma 11, apporta molteplici modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 aprile 1997, n. 9, recante “Tutela, valorizzazione e gestione del demanio tratturi”.
In particolare, e per quel che qui rileva, le lettere b) e c) sostituiscono, rispettivamente, gli articoli 6 e 7 della legge con i seguenti:
"Art. 6 - Tratturi da sclassificare e alienare
1. La Giunta regionale, sulla base dei piani di alienazione trasmessi dai Comuni interessati entro e non oltre il 31 dicembre di ogni anno, provvede ad elaborare l'elenco dei suoli fratturali irrimediabilmente compromessi dalla presenza di manufatti e strutture non amovibili. Per tali suoli si prevede la sdemanializzazione, il trasferimento e la vendita.
2. A seguito dell’approvazione da parte del Consiglio regionale dell’elenco di cui al comma 1, il Presidente della Giunta regionale provvede alla sclassificazione e alla alienazione dei suoli tratturali per i quali è prevista la vendita e il trasferimento, tutelando comunque la continuità del percorso fratturale, secondo le seguenti priorità:
a) enti pubblici territoriali;
b) possessori attuali o loro eredi sulla base di titolo legittimo.
3. Il prezzo di vendita è calcolato sulla base della normativa vigente in materia di esproprio ed è riferito al valore del suolo.
4. I soggetti che ricevono, per trasferimento o vendita, le aree tratturali su cui ricadono fabbricati e i proprietari di fabbricati confinanti con le medesime aree hanno priorità nella fase di rinnovo delle concessioni riguardanti aree adiacenti e/o confinanti con gli immobili.
Art. 7 - Piano di alienazione
1. A seguito dell’approvazione dei piani di alienazione, i soggetti di cui all'articolo 6, comma 2, lettere a) e b), interessati all'acquisto o al trasferimento dei suoli tratturali, possono presentare apposita domanda al competente servizio regionale.
2. Con cadenza annuale, la Regione elabora il piano di alienazione dei propri suoli.
3. Il piano contiene:
a) l’elenco dei potenziali acquirenti, anche di quelli a titolo gratuito, secondo quanto stabilito dall'articolo 6;
b) i prezzi di vendita stabiliti sulla base di quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 6;
c) una relazione generale.
4. I possessori dei suoli tratturali, che intendono procedere all’acquisto degli stessi ai sensi della presente legge, sono comunque tenuti al pagamento delle somme dovute e non corrisposte per canoni pregressi a norma delle disposizioni delle leggi vigenti in materia”.

Tali previsioni si inseriscono nell’ambito di una legge che, all’articolo 4, riconosce espressamente che i tratturi, in quanto beni di notevole interesse storico, archeologico, naturalistico e paesaggistico, nonché utili all’esercizio dell’attività armentizia, vengono conservati al demanio regionale e costituiscono un sistema organico della rete tratturale denominato “Parco dei tratturi del Molise”. Ancora, il comma 2 del medesimo articolo prosegue prevedendo che i tratturi, come sopra definiti, vengono gestiti e amministrati dalla Regione nel rispetto dei vincoli disposti dal Ministero per i beni culturali ed ambientali (ora Ministero della cultura), ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Orbene, nonostante tale espresso riconoscimento, la Regione, agli articoli 6 e 7 della legge regionale n. 9 del 1997, come sostituiti dalla legge regionale di cui all’oggetto, prevede l’alienazione dei suoli tratturali compromessi, senza fare salva la disciplina di cui al Titolo I, Capo IV, Sezione I, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante disposizioni in tema di alienazione e altri modi di trasmissione dei beni sottoposti a tutela.

Al riguardo, giova rammentare come l’articolo 53, comma 2, del Codice di settore prevede espressamente che i beni del demanio culturale non possono essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei limiti e con le modalità previsti dal Codice stesso.

In particolare, secondo quanto statuito dall’articolo 54, comma 1, del decreto n. 42 del 2004 sono inalienabili i beni del demanio culturale di seguito indicati:
- gli immobili e le aree di interesse archeologico;
- gli immobili dichiarati monumenti nazionali a termini della normativa all’epoca vigente;
- le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche;
- gli archivi;
- gli immobili dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera d);
- le cose mobili che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni, se incluse in raccolte appartenenti ai soggetti di cui all’articolo 53.

Il comma 2 del medesimo articolo prevede, inoltre, che sono altresì inalienabili le cose appartenenti ai soggetti indicati all’articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica di interesse culturale di cui all’articolo 12 del Codice. Se il procedimento si conclude con esito negativo, le cose medesime sono liberamente alienabili, ai fini del Codice, ai sensi dell’articolo 12, commi 4, 5 e 6. E, ancora, si prevede che sono inalienabili i singoli documenti appartenenti ai soggetti di cui all’articolo 53, nonché gli archivi e i singoli documenti di enti ed istituti pubblici diversi da quelli indicati al medesimo articolo 53.
Quanto ai beni culturali immobili appartenenti al demanio culturale diversi da quelli innanzi indicati, l’articolo 55 del Codice prevede che essi non possono essere alienati senza l’autorizzazione del Ministero.

Con riguardo ai tratturi, aventi ordinariamente la natura di immobili di interesse archeologico, l’alienabilità è, pertanto, esclusa espressamente dal richiamato articolo 54 del Codice. Inoltre, come sopra indicato, anche al di fuori di delle fattispecie di cui al predetto articolo 54, la sdemanializzazione e l’alienazione di tali beni non potrebbe avvenire in ogni caso senza l’autorizzazione dei competenti organi del Ministero della cultura.

Deve, infine, aggiungersi che l’eventuale compromissione dei tratturi di proprietà demaniale giustificherebbe l’adozione di iniziative volte al recupero e alla valorizzazione dei tracciati, e non certo la sdemanializzazione e l’alienazione degli stessi; misura, questa, che determina un arbitrario abbassamento della tutela, in violazione degli articoli 3 e 9 della Costituzione.

Alla luce di tutto quanto sopra, le disposizioni sopra indicate, per i motivi suesposti, sono illegittime per violazione degli articoli 3 e 9 della Costituzione e pertanto devono essere impugnate ex art. 127 della Costituzione

§§§
L’articolo 6, comma 12, lett d): la disposizione introduce i commi 2-bis e 2-ter nel corpo dell'articolo 15 della legge regionale 4 maggio 2015, n. 8 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2015 in materia di entrate e spese. Modificazioni e integrazioni dileggi regionali), i quali dispongono che:
2-bis. L'Agenzia Regionale di Protezione Civile, al ricorrere delle condizioni previste dalla vigente normativa possa assumere personale, previa predisposizione del piano triennale dei fabbisogni di personale e nel rispetto dei vincoli assunzionali.
2-ter. La copertura degli ulteriori posti della dotazione organica dell'Agenzia avviene con procedura selettiva riservata a coloro che sono in possesso di specifica esperienza professionale nelle materie di cui all'articolo 11, comma 3-quater, della medesima legge regionale n. 8 del 2015.

Al riguardo, va evidenziata la scarsa chiarezza della norma in esame, la quale non consente di individuare quali siano "gli ulteriori posti della dotazione organica dell'Agenzia" che esulino da quelli sanciti al comma 2-ter, né, conseguentemente, la ratio della "riserva di esperienza professionale ", così come sancita al nuovo comma 3-quater dell'articolo 11, legge regionale n. 8 del 2015.
Non appare infatti chiaro quali siano, a chi siano destinati e in che modo la Regione intenda prevedere “gli ulteriori posti della dotazione organica”; e difatti è proprio l’uso del termine “ulteriori” che ingenera perplessità, inducendo a ritenere, tenuto altresì conto della previsione di una procedura selettiva riservata a coloro che sono in possesso di specifica esperienza professionale nelle materie di cui all'articolo 11, comma 3-quater, della presente legge, che la Regione voglia procedere ad una surrettizia stabilizzazione di personale.

In argomento si rammenta che è la valutazione dei fabbisogni di personale a orientare la definizione della successiva dotazione organica. Funzionale a tale obiettivo è lo strumento del piano triennale dei fabbisogni di personale (PTFP), che ogni amministrazione è chiamata a elaborare in coerenza con la pianificazione pluriennale delle attività e della performance e con le linee di indirizzo emanate ai sensi del nuovo art. 6-ter del d.lgs. n. 165/2001. Tale percorso logico-giuridico, regolato dall’art. 6 del d.lgs. n. 165/2001 non appare rispettato dalla Regione con ciò generandosi un contrasto con gli artt. 97 e 117, comma 2, lett. l) Cost.

Si evidenzia inoltre che la previsione di una procedura selettiva riservata a coloro che sono in possesso di specifica esperienza professionale nelle materie di cui all'articolo 11, comma 3-quater, della presente legge, stante la non meglio circostanziata formulazione della norma e in assenza di chiarimenti pure sollecitati, appare porsi al di fuori del perimetro tracciano per tutte le pubbliche amministrazioni, in materia di procedere concorsuali riservate, dall’art. 35, comma 3.bis del d.lgs. n. 165/2001 che, allo scopo pone chiare condizioni procedurali e finanziarie che debbono essere rispettate, nonché specifici requisiti soggettivi ai fini dell’ammissione alla procedura; reca infatti la norma: “3-bis. Le amministrazioni pubbliche, nel rispetto della programmazione triennale del fabbisogno, nonché del limite massimo complessivo del 50 per cento delle risorse finanziarie disponibili ai sensi della normativa vigente in materia di assunzioni ovvero di contenimento della spesa di personale, secondo i rispettivi regimi limitativi fissati dai documenti di finanza pubblica e, per le amministrazioni interessate, previo espletamento della procedura di cui al comma 4, possono avviare procedure di reclutamento mediante concorso pubblico:
a) con riserva dei posti, nel limite massimo del 40 per cento di quelli banditi, a favore dei titolari di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato che, alla data di pubblicazione dei bandi, hanno maturato almeno tre anni di servizio alle dipendenze dell'amministrazione che emana il bando;
b) per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare, con apposito punteggio, l'esperienza professionale maturata dal personale di cui alla lettera a) e di coloro che, alla data di emanazione del bando, hanno maturato almeno tre anni di contratto di lavoro flessibile nell'amministrazione che emana il bando.

Anche in questo caso si palesa pertanto un contrasto con l’art. 97 e 117, comma 2, lett. l) e 117, comma 3, con riferimento alla materia del coordinamento della finanza pubblica.

Vale infatti la pena di rammentare come in tema di stabilizzazioni la Corte Costituzionale abbia più volte qualificato le norme statali in materia come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, poiché si ispirano alla finalità del contenimento della spesa pubblica nello specifico settore del personale (ex plurimis, sentenze n.n. 310, 108, 69 e 68 del 2011; 51 del 2012; 277/2013; 231/2017; n. 194/2020). Più nello specifico, la Corte “ha riconosciuto come principi di coordinamento della finanza pubblica le disposizioni statali che stabiliscono limiti e vincoli al reclutamento del personale delle amministrazioni pubbliche ovvero relative alla stabilizzazione del personale precario, in quanto incidono sul rilevante aggregato di finanza pubblica costituito dalla spesa per il personale” (sentenze n.n. 1 del 2018, 277 e 18 del 2013, 148 e 139 del 2012; 251 del 2020).

Inoltre la Corte ha altresì ricondotto il tema in argomento alla materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. l) Cost. posto che la norme regionali in tema di stabilizzazioni incidono sulla regolamentazione del rapporto precario (in particolare, sugli aspetti connessi alla sua durata) e determinano, al contempo, la costituzione di altro rapporto giuridico (il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio per effetto della stabilizzazione). In tale prospettiva la Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che la disciplina della fase costitutiva del contratto di lavoro, così come quella del rapporto sorto per effetto dello stesso, si realizzano mediante la stipulazione di un contratto di diritto privato e, pertanto, appartengono alla materia dell’ordinamento civile (cfr. ex multis sentenza n. 324 del 2010 e n. 69 del 2011).


L’articolo 6, comma 14, della legge regionale di cui all’oggetto apporta modifiche alla legge regionale 11 novembre 2020, n. 12, recante “Disposizioni in materia di valorizzazione e utilizzazione commerciale e turistica del trabucco molisano”.

Con riferimento alla legge n. 12 del 2020, si segnala che è di recente intervenuta la pronuncia n. 45 del 2022 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità degli articoli 1, comma 2, e 2, commi 1 e 2.
L’articolo 1, comma 2, prevedeva che “[i] trabucchi e l’area circostante fino ad una fascia di 50 metri dal sedime sono considerati beni culturali sottoposti alla disciplina di cui al decreto legislativo n. 42/2004”.

Al riguardo, la Corte ha evidenziato come l’inequivoco tenore letterale della norma tradisse l’intento del legislatore regionale di sostituirsi allo Stato nello svolgimento di compiti che sono rimessi alla competenza esclusiva di quest’ultimo, procedendo direttamente all’individuazione di «beni culturali» che tali non sono secondo la normativa di settore. In particolare, la Corte ha evidenziato che, così facendo, e prescindendo dal rispetto delle apposite procedure amministrative, indicate e disciplinate dalla Parte seconda del Codice dei beni culturali, i trabucchi molisani venivano fatti rientrare, ex lege, nella categoria dei beni culturali, e sottoposti – per espressa previsione della norma impugnata – alla disciplina dettata dal decreto legislativo n. 42 del 2004. L’effetto giuridico era quello di produrre, in relazione a tali beni, i vincoli tipici della speciale tutela dei beni culturali, che è prevista da quella stessa fonte statale, ai fini, tra l’altro, di “preservare la memoria della comunità nazionale” (art. 1, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio).

La Corte ha quindi riconosciuto che, intervenendo nella funzione di “individuazione” dei beni culturali, il legislatore molisano aveva violato la competenza legislativa che la Costituzione riserva in via esclusiva allo Stato nella materia della tutela dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

L’art. 2 della medesima legge disponeva, invece, che “I Comuni, per le finalità di cui all’articolo 1, devono redigere piani per il recupero, il ripristino, la conservazione e la costruzione dei trabucchi, disponendo gli ambiti localizzativi per le nuove costruzioni e le norme tecniche attuative, nel rispetto delle prescrizioni contenute nel Piano degli Arenili Comunale (PSC), nonché di quanto previsto dalla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 44 (Interventi per il recupero della tradizione dei trabucchi della costa molisana)” (comma 1) e che “I Piani di cui al comma 1 devono essere recepiti nel «Piano Paesaggistico Regionale»” (comma 2).

Al riguardo, la Corte ha evidenziato come il trasferimento delle decisioni operative concernenti il paesaggio alla dimensione pianificatoria comunale si ponesse in contraddizione con il sistema di organizzazione delle competenze delineato dalla legge statale, che stabilisce un livello uniforme di tutela, non derogabile dalla Regione, nell’ambito di una materia a legislazione esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117 Cost. Era, inoltre, violata anche la legislazione di principio nelle materie concorrenti del governo del territorio e della valorizzazione dei beni culturali. In particolare, la Corte ha escluso che la legge regionale potesse riservare alla pianificazione comunale interi contenuti del piano paesaggistico regionale, quale quello delle aree costiere su cui insistono i trabucchi. Nel dettaglio, la Corte ha statuito che la prevalenza del piano paesaggistico rispetto agli strumenti urbanistici dei Comuni, stabilita dall’art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, conduce ad escludere che, all’inverso, un piano comunale debba essere “recepito” – come impone la norma molisana impugnata – nel piano paesaggistico regionale.
Orbene, con l’articolo 6, comma 14, della legge regionale n. 7 del 2022, la Regione, per un verso – con le lettere a) e c) – interviene ad abrogare, rispettivamente, l’articolo 1, comma 2, e l’articolo 2, comma 2; per l’altro, con la lettera b), sostituisce il comma 1 dell’articolo 2 (come visto dichiarato incostituzionale) con il seguente comma: “1. I Comuni, per le finalità di cui all'articolo 1, devono redigere piani per il recupero, il ripristino, la conservazione e la costruzione dei trabucchi, disponendo gli ambiti localizzativi per le nuove costruzioni e le norme tecniche attuative, nel rispetto delle prescrizioni contenute nel Piano regionale di utilizzazione degli arenili (PRUA) e nel Piano spiaggia comunale (PSC) che devono essere modificati in recepimento della disciplina di cui alla presente legge, nonché di quanto previsto dalla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 44 (Interventi per il recupero della tradizione dei trabucchi della costa molisana).”.

Orbene, il contenuto di tale comma ricalca in sostanza il contenuto del comma dichiarato incostituzionale dalla Corte. In particolare, la Regione continua a rimettere ai Comuni la disciplina pianificatoria inerente ai trabucchi e agli ambiti paesaggistici interessati dai manufatti, con ciò sovvertendo il sistema di competenze, nonché il rapporto di gerarchia tra gli strumenti di pianificazione stabilito dal Codice di settore, che attribuisce al piano paesaggistico regionale la disciplina pianificatoria dei contesti tutelati, conferendogli altresì una posizione di primazia rispetto a tutti gli altri piani.

L’articolo 135, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede la pianificazione paesaggistica di tutto il territorio regionale, stabilendo inoltre che, almeno per i beni paesaggistici vincolati, tale pianificazione debba avvenire congiuntamente fra il Ministero e la Regione.

L’art. 143, comma 9, del Codice stabilisce poi che, a far data dall’approvazione del piano paesaggistico, “le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici”, mentre il successivo art. 145, comma 3, dispone che “Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette”. Conseguentemente, il comma 4 del medesimo art. 145 prevede che “I comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo”.

In contrasto con i suddetti principi, il comma 1 dell’articolo 2, della legge n. 12 del 2020, come riscritto dall’articolo 6, comma 14, lettera b), della legge di cui all’oggetto, rimette esclusivamente ai Comuni la disciplina d’uso degli ambiti tutelati, finalizzata al recupero e alla realizzazione di trabucchi, che dovrebbe essere invece dettata dal Piano paesaggistico da approvarsi previa intesa con lo Stato.
Il descritto profilo di illegittimità non viene meno per il fatto che l’articolo 2, della legge n. 12 del 2020, una volta rimessa ai comuni la redazione dei piani per il recupero, il ripristino, la conservazione e la costruzione dei trabucchi non prevede – a differenza della previgente formulazione sottoposta al vaglio della Corte – che detti piani debbano essere recepiti nel Piano Paesaggistico Regionale. E ciò in quanto a essere compromessa è la necessità che la disciplina d’uso degli ambiti tutelati, finalizzata al recupero e alla realizzazione di trabucchi, venga dettata dal Piano paesaggistico da approvarsi previa intesa con lo Stato.

Alla luce di quanto sopra e per le ragioni esposte, la norma in esame si pone in violazione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, di cui all’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, disposizione rispetto alla quale costituiscono norme interposte le previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio che specificamente disciplinano la pianificazione paesaggistica, e in particolare gli articoli 135, 143 e 145.

La norma inoltre viola anche l’art. 9 della Costituzione, in quanto la disciplina regionale determina un abbassamento del livello della tutela del paesaggio, costituente valore primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007).

L’Articolo 8 dispone quanto segue: "1. La Regione Molise, in coerenza con la prescritta ricognizione nella Regione Molise, negli enti strumentali del sistema Regione e nell'A.S.Re.M attua le stabilizzazioni di personale precario con le modalità, i tempi e i requisiti soggettivi previsti dall'articolo 20, commi 1 e 2, del decreto legislativo 25 maggio 201 7, n. 75, come modificato dall'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, dcilla legge 25 febbraio 2022, n. 15, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di spese per il personale delle pubbliche amministrazioni e di pianificazione delle assunzioni. 2. La Regione trasmette le disposizioni di cui al comma 1 a lutti gli enti strumentali della Regione Molise e all'A.S.Re.M per i relativi adempimenti."
Preliminarmente, si rileva che la Regione Molise è una regione sottoposta a Piano di Rientro ed inoltre commissariata, pertanto, è compito del Commissario ad acta predisporre tutti gli interventi necessari a garantire l'erogazione dei livelli essenziale di assistenza in condizioni di efficienza, appropriatezza, sicurezza e qualità. Alla luce di ciò, nell'osservare che le previsioni in esame, essendo adottate dalla Regione, potrebbero interferire con i compiti affidati al Commissario ad Acta per l'attuazione del predetto Piano di rientro, si raccomanda che il presente articolo sia coerente con quanto previsto dal suddetto Piano e dal punto ix) del mandato commissariale, lì dove prevede la garanzia dell'intervento rivolto alla "gestione ed efficientamento della spesa per il personale in coerenza con l'effettivo fabbisogno, in applicazione della normativa vigente in materia ".
Nel merito va poi rilevato il disallineamento, circa l'estensione fino al 31 dicembre 2023 della finestra temporale per le stabilizzazioni anche per il personale del Servizio Sanitario, ciò in contrasto con quanto previsto dai commi 11 e 11 -bis dell'art. 20 del d.lgs. 75/2017 che fissano il limite temporale per l'applicabilità delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo 20 al 31 dicembre 2022.
Nelle more di un'eventuale proroga di detto termine (si evidenzia che il legislatore statale è di recente intervenuto, prorogando con il d.l. n. 36 del 2022, convertito dalla legge n. 79 del 2022, solo i termini previsti dal comma 2 dell'articolo 20 del d.lgs. n. 75 del 2017), la disposizione in esame, consentendo la stabilizzazione del personale precario al di fuori dei termini consentiti dalla disciplina nazionale, risulta in contrasto sia con l'articolo 117, secondo comma, lettera 1), della Costituzione che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile, sia con i principi di uguaglianza, buon andamento e imparzialità dell'amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 Cost.
§§§
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, la legge regionale in parola, negli articoli sopra indicati, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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