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Modifiche alla legge regionale 29 dicembre 2021, n. 22 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2022 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2022-2024)) e altre disposizioni di adeguamento. (15-7-2022)
Liguria
Legge n.7 del 15-7-2022
n.10 del 20-7-2022
Politiche economiche e finanziarie
16-9-2022 / Impugnata
La legge della regione Liguria n. 7 del 15/07/2022, recante “Modifiche alla legge regionale 29 dicembre 2021, n. 22 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2022 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2022-2024)) e altre disposizioni di adeguamento, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale.

§§§

L'articolo 18 della legge regionale in oggetto, il quale introduce una modifica all'articolo 14 della legge regionale 22 febbraio 1995, n. 12, recante: "Riordino delle aree protette", è costituzionalmente illegittimo per i seguenti motivi.
Nella precedente formulazione, il suddetto articolo 14 disponeva quanto segue: “2. I confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell'Antola, dell'Aveto e del Beigua sono riportati nelle cartografie contenute nell'Allegato A. I confini delle altre aree protette restano quelli dei relativi provvedimenti istitutivi o quelli definiti nel Piano del parco.”.
A seguito della modifica apportata dalla legge regionale in esame, il medesimo articolo prevede, attualmente, che: “2. I confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell'Antola, dell'Aveto e del Beigua, definiti a seguito della consultazione e del coinvolgimento degli enti locali interessati e all'esito delle conferenze svolte ai sensi dell'articolo 22 della L. 394/1991 e successive modificazioni e integrazioni, e dell'articolo 14-bis della presente legge, sono riportati nelle cartografie contenute nell’Allegato A. I confini delle altre aree protette sono quelli dei relativi provvedimenti istitutivi o quelli definiti nel Piano del Parco.”.
La previsione in esame rinvia, quindi, alla nuova cartografia allegata (Allegato A).
Da un raffronto tra le tavole dei parchi con la cartografia contenuta nel predetto allegato A emergono talune differenze nei confini, sia in ampliamento sia in riduzione.
All’esito del procedimento di cui all’articolo 22 della legge n. 394 del 1991, la Regione è pertanto giunta a una riperimetrazione dei Parchi regionali delle Alpi Liguri, dell’Antola, dell’Aveto e del Beigua, con conseguente modificazione dei confini dei parchi stessi, anche in termini di riduzione dei confini di questi ultimi.
Per effetto di tale modificazione, parte dei territori dei Comuni prima ricompresi nei confini dei parchi in questione risulta sottratta sia alla tutela naturalistica quali aree protette, sia alla correlata tutela paesaggistica, quest’ultima imposta ex lege sulle medesime aree, ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lett. f), del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Tale attività, va precisato, è stata compiuta all’esito di un procedimento che non ha neppure visto la partecipazione degli Uffici ministeriali competenti in materia di tutela.
L’articolo 142, comma 1, lettera f), del Codice dei beni culturali e del paesaggio contempla, tra le categorie di beni tutelati paesaggisticamente per legge, “i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi”, già riconosciuti meritevoli di tutela ope legis dalla legge n. 431 del 1985 (c.d. legge Galasso), in quanto considerate “comunque di interesse paesaggistico” e perciò sottoposte alla normativa di tutela. Il contesto naturalistico-ambientale di spiccato rilievo paesaggistico, costituito dai parchi in oggetto, è quindi integralmente tutelato ope legis anche dal punto di vista paesaggistico, oltre che dal punto di vista naturalistico, da oltre trent’anni.
Il Codice prevede che le aree tutelate per legge siano necessariamente comprese nell’elaborazione del Piano paesaggistico (art. 143, comma 1, lettera c), e siano oggetto di copianificazione obbligatoria tra lo Stato e le Regioni (art. 135).
Va rilevato invece che l’iter di elaborazione e approvazione della legge in esame non ha previsto, come sopra già evidenziato, alcun coinvolgimento degli Uffici del Ministero della Cultura e, pertanto, costituisce una scelta unilaterale della Regione su una materia che, tuttavia, riguarda l’attività di co-pianificazione paesaggistica obbligatoria.
A tale riguardo, dalle controdeduzioni in precedenza pervenute dalla Regione, risulta confermata l’avvenuta modifica dei confini dei Parchi in questione, dal momento in cui essa dichiara quanto segue: “A sostegno della correttezza dell’operato del legislatore regionale corre l’obbligo di precisare che a tutela dei beni paesaggistici - e quindi dell’osservanza dell’articolo 12, comma 4 della Legge quadro n. 394 del 1991 -, l’articolo 47 bis della legge regionale n. 12/1995, introdotto dall’articolo 19 della legge regionale n. 7/2022, contiene le disposizioni di prima applicazione e transitorie per i territori di nuovo inserimento nelle aree protette.”
La disposizione, secondo la Regione Liguria “prevede che nelle more dell’aggiornamento dei relativi Piani, nei territori di nuovo inserimento nelle aree protette trovi applicazione la zonizzazione provvisoria riportata nelle cartografie di cui all’allegato B della l.r. n. 12/1995 e che ai detti territori si applichino le disposizioni corrispondenti alla tipologia di zona contenute nei rispettivi Piani. Pertanto, nel periodo transitorio, nei territori di nuovo inserimento troveranno applicazione le disposizioni corrispondenti alla tipologia di zona contenuta nei rispettivi Piani e quindi, laddove previste, le disposizioni in materia di tutela paesaggistica. Infine, in sede di perimetrazione definitiva demandata al Piano del parco, laddove necessario, verranno osservati gli adempimenti previsti dalla normativa ambientale.”.
Al riguardo, va osservato che la risposta della Regione si limita a chiarire quale sia la disciplina applicabile ai territori ricompresi nell’ampliamento del perimetro dei Parchi, ai sensi dell’articolo 19 della legge regionale n. 7 del 2022, che ha introdotto il nuovo articolo 47-bis della legge regionale n. 12 del 1995.
Tuttavia, il predetto articolo 19 non era e non è oggetto di rilievi, posto che le osservazioni critiche riguardano la modifica anche in diminuzione del perimetro dei Parchi, senza aver acquisito le valutazioni concernenti i profili paesaggistici.
La risposta della Regione, pertanto, oltre a confermare implicitamente che la modifica del perimetro ha anche sottratto porzioni territoriali ai Parchi (e quindi anche alla tutela paesaggistica), conferma anche che non vi è stata alcuna interlocuzione sul punto con le competenti articolazioni del Ministero della Cultura.
Non si ignora che la Regione può legittimamente modificare i confini dei parchi regionali con propria legge; proprio di recente la Corte ha ritenuto legittimo l’ampliamento del Parco regionale dell’Appia Antica da parte della Regione Lazio con la legge regionale n. 7 del 2018 (sentenza n. 276 del 2020).
In tal caso, tuttavia, si trattava di una legge regionale di ampliamento dei confini del Parco, e conseguentemente, di ampliamento del relativo vincolo paesaggistico, attività che appare conforme alla costante giurisprudenza della Corte, che riconosce alle Regioni, in materia ambientale, la potestà di dettare leggi volte unicamente a incrementare il livello della tutela, e non certo a ridurlo. La Corte ha, inoltre, riconosciuto alle Regioni un ruolo integrativo e concorrente, meramente aggiuntivo e non sostitutivo, della potestà statale in materia di tutela dei beni culturali (cfr. sentenza Corte cost. n. 194 del 2013); ruolo da ritenersi analogamente predicabile anche in materia di tutela del paesaggio, ove le Regioni esercitano le specifiche competenze amministrative alle stesse attribuite dal Codice.
Con la legge in esame, invece, la Regione Liguria ha ecceduto i limiti propri dell’autonomia regionale, come delimitati dalle pronunce della Corte (da ultimo, cfr. sentenza n. 134 del 2020, nella quale si afferma: “Questa Corte ha infatti ripetutamente ricondotto all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. la disciplina ambientale dei parchi (da ultimo, sentenze n. 290 del 2019; n. 121 del 2018), pur riconoscendo che il parco regionale resta “tipica espressione dell’autonomia regionale”(sentenza n. 108 del 2005), e che esso “ben può essere oggetto di regolamentazione da parte della Regione, in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell’art. 117 Cost., purché in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale, da ritenere vincolante per le Regioni” (sentenza n. 44 del 2011)”.
La norma regionale, riducendo i confini del Parco, inteso quale bene paesaggistico, viene a sottrarre alla tutela paesaggistica ampie porzioni di territorio, oggi tutelate in forza della legge nazionale.
La Corte costituzionale ha già riconosciuto la illegittimità di disposizioni regionali che miravano, sostanzialmente, alla rimozione di vincoli paesaggistici ope legis, mediante “sottrazione” del territorio regionale alla categoria prevista dal legislatore statale (ci si riferisce alla sentenza n. 210 del 2014 che ha dichiarato illegittimo l’art. 1 della legge della Regione autonoma Sardegna 2 agosto 2013, n. 19, il quale privava il sistema di tutela del paesaggio e dell’ambiente del presidio costituito dagli usi civici in tal modo direttamente incidendo, invadendola, la competenza esclusiva dello Stato in materia).
In tale occasione la Corte ha rimarcato che “La coesistenza dei due ambiti competenziali impone la ricerca di un modello procedimentale che permetta la conciliazione degli interessi che sono ad essi sottesi” (sentenza n. 210 del 2014). Secondo la Corte, in tali casi, lo strumento del piano paesaggistico si rivela inadeguato, in quanto “la tutela dell’interesse ambientale esige l’anticipazione dell’intervento statale alla fase della formazione del piano di accertamento straordinario previsto dalla disposizione regionale censurata”, fase che nel caso in esame coincide con l’iter regionale che ha portato alla riduzione dei confini del Parco, quale presupposto amministrativo su cui poggia il vincolo paesaggistico.
La Corte ha infatti affermato che “La necessità di tale anticipazione deriva dalla stessa natura del bene protetto. Gli usi civici infatti, analogamente ad altre fattispecie quali le università agrarie, i parchi e le riserve, non trovano la loro fonte nel dato puramente geografico, oggetto di mera rilevazione nel piano paesaggistico (come accade, ad esempio, per le fasce di rispetto), bensì in precedenti atti amministrativi, cosicché è in questa fase a monte che si consuma la scelta ambientale.
(…) D’altra parte l’eventuale apposizione di un diverso vincolo non è in grado di assicurare una tutela equivalente, poiché in questo caso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche ambientali richiede non una disciplina meramente “passiva”, fondata su limiti e divieti, ma un intervento attivo, e cioè la cura assidua della conservazione dei caratteri che rendono il bene di interesse ambientale”.
Conclude pertanto la Corte: “In tale prospettiva, deve concludersi che per una efficace tutela del paesaggio e dell’ambiente non è sufficiente un intervento successivo alla soppressione degli usi civici: occorre al contrario garantire che lo Stato possa far valere gli interessi di cui è portatore sin nella formazione del piano straordinario di accertamento demaniale, concorrendo a verificare se sussistano o meno le condizioni per la loro stessa conservazione, ferme restando le regole nazionali inerenti al loro regime giuridico e alle relative forme di tutela”.
Anche più recentemente, la Corte ha annullato una disposizione regionale che, modificando una precedente legge regionale che aveva introdotto un vincolo “ha surrettiziamente aggirato il vincolo posto dalla norma interposta costituita dall’art. 142, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 42 del 2004” (sentenza n. 141 del 2021).
La norma regionale, pertanto, riducendo i confini dei Parchi regionali, i cui territori sono tutelati ope legis dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha pertanto violato la norma statale che sottopone a tutela paesaggistica ope legis il territorio dei parchi, anche regionali, in quanto, operando autonomamente e senza il coinvolgimento dello Stato, ha sottratto parte del territorio regionale, contraddistinto per i suoi caratteri di pregio naturalistico-ambientale, alla tutela paesaggistica ope legis.
La disposizione regionale è, pertanto, illegittima per violazione dell’articolo 142, comma 1, lett. f), costituente parametro interposto rispetto all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
Come anticipato, la scelta del legislatore regionale appare contraria anche al principio di copianificazione obbligatoria imposto dal Codice con riferimento alle aree tutelate per legge, oltre che agli altri beni paesaggistici (articoli 135, 143 e 145), e quindi lesiva, anche sotto questo profilo, delle competenze primarie in materia di tutela del paesaggio riconosciute allo Stato in via esclusiva dall’art. 117, secondo comma, lett. s) Cost.
Risulta evidente, infatti, che il legislatore regionale è intervenuto unilateralmente a modificare il bene paesaggistico costituito dai Parchi oggetto della disciplina regionale, senza attendere l’esito della procedura di co-pianificazione paesaggistica in corso con lo Stato.
Solo al Piano paesaggistico, elaborato congiuntamente con lo Stato quanto meno con riferimento ai beni paesaggistici, spetta infatti la ricognizione dei beni paesaggistici e l’elaborazione delle relative prescrizioni d’uso, nonché l’individuazione della tipologia delle trasformazioni compatibili, di quelle vietate e delle condizioni delle eventuali trasformazioni. Il legislatore nazionale, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia, ha infatti assegnato al Piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice sanciscono pertanto l’inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l’immediata prevalenza del Piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008).
Si tratta di una scelta di principio la cui validità e importanza è già stata affermata più volte dalla Corte costituzionale, che ha da tempo affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del Piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
La Corte ha infatti riconosciuto la prevalenza dell’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, rimarcando che: “Come questa Corte ha avuto modo di affermare anche di recente con la sentenza n. 367 del 2007, sul territorio vengono a gravare più interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; dall’altro, quelli riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtù del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. In definitiva, si «tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti» (così la citata sentenza n. 367 del 2007). Ne consegue, sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro», prevalendo, comunque, «l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 182 del 2006). E’ in siffatta più ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della “gerarchia” degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004” (sentenza n. 180 del 2008).
La norma regionale è illegittima quindi anche sotto questo profilo, in quanto determina una vistosa deroga, se non addirittura un pieno contrasto, al principio della necessaria prevalenza della pianificazione paesaggistica rispetto a ogni altro piano, programma o progetto nazionale o regionale (cfr. art. 145, comma 3, del Codice).
La normativa regionale, riducendo i confini dei Parchi regionali, appare anche contraria all’articolo 9 della Costituzione, in quanto comporta un abbassamento dei livelli di tutela. La Corte costituzionale, nella nota sentenza n. 151 del 1985, ha evidenziato come il legislatore, con il decreto-legge n. 312 del 1985 e con la legge di conversione n. 431 del 1985, abbia proceduto all’individuazione di porzioni e di elementi del territorio stesso “secondo tipologie paesistiche ubicazionali o morfologiche rispondenti a criteri largamente diffusi e consolidati nel lungo tempo”, introducendo “una tutela del paesaggio improntata a integralità e globalità, vale a dire implicante una riconsiderazione assidua dell’intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale”. La Corte, in tale occasione, ha sancito la piena legittimità della scelta del legislatore statale, chiarendo come “Una tutela così concepita è aderente al precetto dell’art. 9 Cost., il quale, secondo una scelta operata al più alto livello dell’ordinamento, assume il detto valore come primario (cfr. sentenze di questa Corte n. 94 del 1985 e n. 359 del 1985), cioè come insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro”.
Risulta quindi evidente che l’operazione “inversa” compiuta dalla Regione, nel senso di espungere dai Parchi parti del territorio regionale prima ricompreso all’interno del loro perimetro e quindi (prima) interamente soggetto al vincolo paesaggistico ope legis, è lesiva anche dell’art. 9 Cost, che eleva il paesaggio al rango di valore “primario e assoluto” (sentenza Corte cost. n. 367 del 2007).
Nel caso di specie la riperimetrazione dei confini dei parchi è avvenuta in assenza della consultazione degli Uffici territoriali ministeriali competenti.
Deve ritenersi che tale modifica richiedesse il coinvolgimento dei competenti organi periferici del Ministero della cultura, e ciò tanto più in una Regione che è allo stato priva di pianificazione paesaggistica (prevalente rispetto al piano del parco, ai sensi dell’articolo 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio) e nella quale l’attività di co-pianificazione del territorio è attualmente in corso.
La Regione appare quindi aver agito in violazione del canone fondamentale della leale collaborazione, nell’operare una modifica del perimetro dell’area protetta – e dunque dell’estensione del vincolo paesaggistico – al di fuori degli indirizzi della pianificazione paesaggistica e senza il coinvolgimento del Ministero della cultura.
Va ricordato al riguardo che, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione “deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni”, atteso che “la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti” (così in particolare, tra le tante, Corte cost. n. 31 del 2006). In particolare, la Corte ha chiarito che “Il principio di leale collaborazione, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto” (così ancora la sentenza richiamata).
Più recentemente, la Corte ha ribadito che la “unitarietà del valore della tutela paesaggistica comporta (…) l’impossibilità di scindere il procedimento di pianificazione paesaggistica in subprocedimenti che vedano del tutto assente la componente statale”, sottolineando che il principio di leale collaborazione deve concretizzarsi in “un confronto costante, paritario e leale tra le parti, che deve caratterizzare ogni fase del procedimento e non seguire la sua conclusione” (sentenza n. 240 del 2020).
Alla luce di tutto quanto sopra indicato e per i motivi ivi esposti, l’articolo 18 della legge regionale in oggetto è illegittimo per violazione dell’articolo 142, comma 1, lett. f), nonché degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio ex D.lgs 22/01/2004 n. 42, costituenti parametro interposto rispetto all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, nonché dell’articolo 9 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.

§§§

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, la legge regionale in parola, nell’articolo sopra indicato, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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