Dettaglio Legge Regionale

Modifica alla legge regionale 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione Campania - Legge finanziaria anno 2010). (25-10-2010)
Campania
Legge n.11 del 25-10-2010
n.72 del 2-11-2010
Politiche economiche e finanziarie
17-12-2010 / Impugnata
La legge in esame presenta i seguenti profili di incostituzionalità.

- Si censura l’art. 1, comma 1, che sostituisce il comma 13 dell'articolo 1 della legge regionale 21 gennaio 2010, n. 2.
Il terzo periodo del comma 13 oggi riformulato, stabilisce che “le strutture turistiche ricettive e balneari, in deroga alla normativa primaria e speciale e agli strumenti urbanistici paesistici, sovra comunali e comunali vigenti, possono realizzare piscine, previo parere della competente Sovrintendenza ai beni ambientali e culturali e della competente autorità demaniale”.
Premesso che tale disposizione si pone in netto contrasto con la gerarchia delle fonti, in quanto la normativa regionale non può operare deroghe alla legge ordinaria o speciale in materia di esclusiva competenza dello Stato, la disposizione ora trascritta è illegittima sotto due profili:
1) in primo luogo, la ivi indicata deroga agli strumenti paesistici che, nella Regione Campania, sono costituiti dai decreti ministeriali, adottati dallo Stato in sostituzione della Regione Campania, si pone in contrasto con gli artt. 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che costituisce espressione della potestà legislativa esclusiva statale nella materia della tutela del paesaggio, in base ai quali le modifiche e le eventuali deroghe alla pianificazione paesistica vigente possono essere introdotte esclusivamente mediante una nuova pianificazione paesistica conforme ai contenuti regolatori stabiliti dal Codice e dettata con intesa dello Stato (almeno per quanto riguarda le aree sottoposte a vincolo paesaggistico). Così disponendo la Regione eccede dalla sua competenza legislativa invadendo quella esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali di cui all'articolo 117, comma 2, lett. s), della Costituzione.
Inoltre, è illegittima la possibilità di prevedere in capo ai titolari di strutture balneari, la realizzazione di piscine, in quanto queste, secondo la Corte di Cassazione (Cfr. sentt. Cass., Sez. III 25 novembre 1997, n.10709; 1 giugno 1994, n. 6367; 11 luglio 1983, n. 9377; 22 giugno 1983, n. 9069 ; 3 giugno 1980, n. 10211, da ult. sentenza della III Sezione Penale n. 25631 del 06/07/2010), costituiscono lavori edilizi che necessitano il preventivo rilascio della concessione edilizia (sostituita dal permesso di costruire a seguito dell’entrata in vigore del DPR n.380/2001), non soltanto quelli per la realizzazione di manufatti che si elevano al di sopra del suolo, ma anche quelli in tutto o in parte interrati e che trasformano in modo durevole l’area impegnata dai lavori stessi. Pertanto, la realizzazione di piscine, nel caso di specie, deve comunque essere sottoposta al previo rilascio di un permesso di costruire, così come previsto dal Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (DPR n.380/2001), normativa di rango primario, che per i suddetti motivi non è suscettibile di deroga da parte della normativa regionale ed, inoltre, la realizzazione della piscina determinerebbe una modifica del titolo concessionario derivante da una nuova destinazione d’uso dell’area occupata e ad una nuova quantificazione del canone.
Di conseguenza, tale disposizione si pone in contrasto con l’art. 117, comma 3 in materia di governo del territorio, nella parte in cui non si attiene alle disposizioni presenti nel Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (DPR n.380/2001).
2) in secondo luogo, la disposizione sopra indicata della legge regionale in oggetto contrasta con l’art. 146 del suddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio nella parte in cui prevede esclusivamente il “previo parere della competente Sovrintendenza”, li dove, invece, l’art. 146 del Codice impone una diversa procedura speciale (parere vincolante del Sovrintendente sulla proposta di autorizzazione presentata dall’autorità locale competente); analogamente a prima, quindi, la Regione eccede dalla sua competenza legislativa invadendo quella esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali di cui all'articolo 117, comma 2, lett. s), della Costituzione.

- E' illegittimo anche il quarto periodo del comma 13 oggi riformulato, in quanto prevede che "In attesa dell'approvazione del Piano di utilizzo delle aree demaniali (Puad) e della legge regionale sul turismo, è consentita a tutti gli stabilimenti balneari del litorale regionale campano la permanenza delle istallazioni e delle strutture, realizzate per l'uso balneare, per l'intero anno solare".
Così concepita, infatti, la disposizione consente che in località sottoposte a tutela paesaggistica (e tali sono le coste per una profondità di 300 metri dalla linea di battigia, ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 42/04, codice dei beni culturali) siano realizzabili strutture che permangono oltre il periodo stagionale in forza di un'autorizzazione legislativa prevista anche in deroga agli ordinari vincoli fissati dalla legislazione statale.
Pertanto, la norma in esame, viola gli articoli 146 e 149 del citato Codice, (quest'ultimo che individua tassativamente le tipologie di interventi, in aree vincolate, realizzabili anche in assenza di autorizzazione paesaggistica). Anche la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi su una fattispecie non dissimile con la sentenza n. 232/08. In quella sede la Corte, dichiarando fondata la questione, ha ribadito che “È quindi evidente, da un lato, che la disciplina amministrativa dell’uso del territorio, come delineata nei principi generali sanciti dal legislatore statale, nella materia del governo del territorio, prevede il rilascio di titoli abilitativi ad edificare; dall’altro, che l’art. 146 del d. lgs. n. 42 del 2004, ai fini della salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente, richiede che intervenga, da parte dell’Amministrazione, la positiva valutazione della compatibilità paesaggistica, mediante il rilascio della relativa autorizzazione. Così delineato il contesto normativo nel cui ambito si inserisce la norma regionale oggetto di censura, è fuor di dubbio che essa leda l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione al citato art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. Il suddetto art. 146, infatti, prevede che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini del precedente art. 142 (tra i quali rientrano i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia) non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione ed hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendono intraprendere al fine di ottenere il rilascio della autorizzazione paesaggistica; quest’ultima costituisce atto autonomo da valere come presupposto rispetto al permesso di costruire e agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio. La norma sottoposta a scrutinio, invece, consente il mantenimento delle opere precarie in questione, oltre il periodo autorizzato in relazione alla durata della stagione balneare, in mancanza della necessaria positiva valutazione di compatibilità paesaggistica. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la tutela ambientale e paesaggistica, la quale ha ad oggetto un bene complesso ed unitario, che costituisce un valore primario ed assoluto, rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 367 del 2007 e n. 182 del 2006).".
Così disponendo, quindi, la legge regionale in esame disciplina la materia in contrasto con le disposizioni sopra richiamate del Codice dei beni culturali, violando l'articolo 117, comma 2, lett. s), della Costituzione, in materia di tutela dei beni culturali.

– Al quinto periodo, del comma 13 modificato dalla legge in esame, è poi previsto l’obbligo del Comune “di rilasciare apposite autonome autorizzazioni per le attività che, in alta stagione, si presentano collegate e connesse alla prevalente attività di stabilimento balneare”.
La disposizione ora trascritta postula la necessità del rilascio favorevole del titolo autorizzatorio finalizzato alla stabilizzazione e alla destagionalizzazione degli impianti balneari in questione anche sotto il profilo paesaggistico, trattandosi di aree normalmente ricadenti nel vincolo della legge Galasso. Siffatta previsione si pone in evidente contrasto con la statuizione del sopra richiamato articolo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che assegna alle amministrazioni competenti (ivi inclusi i Comuni) un’ampia facoltà di valutazione tecnico-discrezionale in ordine alla compatibilità del manufatto con i valori paesaggistici protetti. Tale verifica autorizzatoria preventiva naturalmente non può non essere richiesta anche al fine di rendere definitiva una istallazione di manufatti strumentali all’attività di balneazione. Così disponendo la Regione eccede dalla sua competenza legislativa invadendo quella esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali di cui all'articolo 117, comma 2, lett. s), della Costituzione.
Inoltre, l’ultimo capoverso del comma 1, nel riportare che “Non è possibile prevedere biglietti di ingresso per l’accesso alla battigia ove l’unico accesso alla stessa è quello dell’uso in concessione ai privati”, disciplina la possibilità di prevedere biglietti di ingresso allo stabilimento balneare e quindi alla battigia, qualora l’accesso al mare possa essere effettuato anche in altri modi.
Così disponendo, la norma si pone in contrasto con l’art. 03, comma 1 del DL n.400/1993, conv. in L. n.494/1993 e s.m.i., che stabilisce l’obbligo per i titolari delle concessioni di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l'area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione.
Inoltre, nel prevedere tale fattispecie, la Regione Campania eccede dalla propria competenza e si pone in contrasto con le disposizioni del codice civile di cui all’art. 822 e ss. in tema di demanio marittimo, in cui si afferma che appartengono allo Stato italiano e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia balneare, le rade e i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia nell'area comunale.
Eccedendo dalla propria competenza, il legislatore regionale invade la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile di cui all’art.117, comma 2 lett. l) della Costituzione.

– E’ censurabile, inoltre, la previsione, della lettera c), del comma 13, introdotto dall’art. 1, comma 1, secondo la quale “le strutture degli stabilimenti balneari ed elioterapici realizzate prima del 2009 sono di competenza della Regione Campana dal punto di vista della valutazione paesaggistico ambientale, tutte le strutture da realizzare ex novo o in ampliamento sono soggette al regime dell’autorizzazione paesaggistica semplificata”. Tale disposizione si pone in contrasto diretto con il riparto delle competenze normative in materia di tutela del paesaggio e con la normativa primaria e secondaria vigente (più volte citato art. 146, che assegna alla Regione ed al Ministero il potere autorizzatorio, e D.P.R.139 del 2010 che reca nell’allegato 1, un elenco tassativo degli interventi di “lieve entità”).
Per i suddetti motivi, quindi, la normativa in esame contrasta con gli artt. 117, comma 2, lettera s), Cost., che assegna alla competenza esclusiva statale la materia della tutela del paesaggio, nonché con il Codice dei beni culturali e del paesaggio, che è espressione della suddetta potestà legislativa esclusiva; la normativa in oggetto si pone, inoltre, in contrasto con l’art. 9 della Costituzione, nella parte in cui le suddette disposizioni regionali diminuiscono o eliminano le misure di tutela dei beni paesaggistici previste dalla vigente disciplina statale.

- L’art. 2 è censurabile in quanto, nel fornire un’interpretazione delle norme relative al rinnovo delle concessioni in materia di utilizzazione delle acque minerali e termali, delle risorse geotermiche e delle acque di sorgente, sottrae queste ultime dall’applicabilità delle disposizioni del D. Lgs. n. 59/2010 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE) in quanto ritiene che le norme in questione siano afferenti alle attività sanitarie.
Premesso che non sussiste alcuna norma che permetta di collegare le concessioni di demanio idrico alle attività sanitarie, la Regione Campania, così disponendo, evita che le concessioni demaniali idriche siano soggette alla disciplina statale di riferimento.
Infatti la disciplina contenuta nell’art. 7, comma 1 del d.lgs. n. 59/2010, richiamato dall’art. 2 della legge in esame, prevede che le attività sanitarie siano sottratte dall’applicabilità della direttiva servizi; nulla prevede in materia di esclusione del demanio idrico. Il decreto attuativo della c.d. direttiva servizi, peraltro, è emanato in virtù della potestà legislativa dello Stato di cui all'articolo 117, comma 2, lettere e) ed m), della Costituzione, al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché per assicurare ai consumatori finali un livello minimo e uniforme di condizioni di accessibilità ai servizi sul territorio nazionale (cfr. articolo 1, comma 2, d. lgs. n. 59/10).
Invero, in riferimento alle concessioni del demanio idrico, la Corte Costituzionale (da ultimo proprio in riferimento alla l.r. Campania n. 8/2008: cfr sent. n.1/2010), ha ricondotto la disciplina del demanio idrico nella competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione.
Quindi, così disciplinando, il legislatore regionale viola l'articolo 117, commi 1 e 2, lett. e), m) ed s: il comma 1 in riferimento ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario; le lettere e) ed m), in riferimento alla libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché in riferimento al livello minimo e uniforme di condizioni di accessibilità ai servizi sul territorio nazionale; la lettera s), in riferimento alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
Inoltre, l'art. 2 della legge regionale si autoqualifica come norma di interpretazione autentica della l.r. n.8/2008; ma è del tutto evidente che le disposizioni non riguardano la legge regionale ma la normativa statale ed, in particolare, l'art.7 del D.Lgs. N.59/2010.
Affinchè possa aversi interpretazione autentica occorre che vi sia coincidenza tra il soggetto cui risale la disposizione interpretata e quello in cui risale la disposizione interpretante: la Regione non può interpretare una legge statale. Quella di interpretazione autentica, infatti, è "una legge espressione della potestà legislativa - e non già di una soggettiva volontà chiarificatrice del suo autore", il che implica che "l'emanazione di una legge di interpretazione autentica presuppone la sussistenza della potestà legislativa da parte dell'organo legiferante" (cfr. Sent. Corte Cost. n.232/2006).
Inoltre, essendo l'efficacia retroattiva caratteristica indefettibile delle leggi di interpretazione autentica, la legge regionale pretenderebbe di determinare effetti retroattivi su una norma di legge statale.
Per tali ragioni, la Corte Costituzionale ha chiarito che "non è ammissibile che la Regione regoli con una sua norma, avente efficacia retroattiva, situazioni già disciplinate da una legge statale. Il potere che, entro limiti più o meno ampi, ha la Regione di dettare nuove e diverse norme nella stessa materia già regolata da leggi statali non può riflettersi sul passato, essendo ovvio che la Regione non può annullare o togliere l'efficacia ad atti che si sono compiuti nell'ambito del suo territorio in base a leggi statali. Una diversa opinione contrasterebbe con il principio ormai pacifico, secondo cui la legge statale entra in vigore e produce tutti i suoi effetti nell'intero territorio dello Stato. Tali effetti non possono essere paralizzati da una legge regionale, senza violare il principio fondamentale dell'unità dell'ordinamento giuridico dello Stato: unità la quale, se consente che una nuova legge regionale deroghi, sempre nei limiti consentiti, per l'avvenire ad una precedente legge statale, non tollera che la legge regionale si sovrapponga con effetti ex tunc ad una legge statale". (Cfr. Sent. Corte Cost. n.44/1957).
In conclusione, è chiaro che l'interpretazione dell'ambito applicativo dell'art.7 del D.Lgs. N.59/2010, spetta agli organi giurisdizionali e, al limite, alla legge statale, ma non certo alla legge regionale.
Così disponendo, il legislatore regionale viola anche l'art.117, comma 2 lett.l) della Costituzione che assegna alla competenza esclusiva statale la materia della giurisdizione.

Per i suddetti motivi si ritiene di proporre questione di legittimità costituzionale dinanzi la Corte Costituzionale.

Si richiede, inoltre, per i motivi sopra censurati, alla luce della costante giurisprudenza costituzionale in materia di tutela dell'ambiente, del paesaggio e dei beni culturali, nonché in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile, giurisdizione e di governo del territorio, di sospendere l'esecuzione della legge censurata in quanto ricorrono i presupposti previsti dall'articolo 35 della legge n.87/1953, così come modificato dall'articolo 9, comma 4, della legge n. 131/2003.

« Indietro