Dettaglio Legge Regionale

Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 novembre 2003, n. 23 (Norme di riordino in materia di edilizia residenziale pubblica). (5-10-2012)
Umbria
Legge n.15 del 5-10-2012
n.44 del 10-10-2012
Politiche socio sanitarie e culturali
/ Rinuncia impugnativa
Con deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 6 dicembre 2012 è stata impugnata da parte del Governo la legge della Regione Umbria n. 15 del 5 ottobre 2012 recante "Ulteriore modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 novembre 2003, n. 23 ( Norme di riordino in materia di edilizia residenziale pubblica".
E' stata sollevata questione di legittimità costituzionale in quanto alcune disposizioni contenute negli articoli 24 e 34, che sostituivano rispettivamente gli articoli 20 e 29 della legge regionale n. 23/2003 prevedendo quali requisiti generali dei beneficiari dei contributi per l’assegnazione degli alloggi di ERS pubblica la residenza o l’attività lavorativa nella regione per un periodo di cinque anni si ponevano in contrasto sia con l’art. 21, n. 1 del TFUE e con la Giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in tema di libertà di circolazione e di soggiorno, sia con le norme della legge n. 286/1998 ( Testo Unico sull’immigrazione) e con la giurisprudenza della Corte Costituzionale, violando l’art. 117, primo comma, e l’art. 3 della Costituzione
Successivamente la Regione Umbria, con la legge regionale n. 12 del 21 giugno 2013 recante“ Norme su perequazione, premialità e compensazione in materia di governo del territorio e modificazioni di leggi regionali”, ha ulteriormente modificato gli artt. 20 e 29 della legge regionale n. 23 del 28 novembre 2003 conformandosi ai principi dettati dall’Unione europea e alla normativa nazionale sulla residenzialità ed eliminando, pertanto, i motivi d’illegittimità costituzionale.
L’Assessorato regionale alle Politiche della casa, lavori pubblici, infrastrutture e tecnologiche e immateriali, sicurezza nei cantieri e stradale ha precisato, con nota n. 0123779 del 18/09/2013, che nessun ente locale ha dato applicazione alle disposizioni degli art. 24 e 34 della legge regionale n. 15/2012 oggetto dell’impugnativa.
Pertanto, considerato che appaiono venute meno le ragioni che hanno condotto all'impugnativa degli articoli 24 e 34 della legge della Regione Umbria n. 15 del 5 dicembre 2012, si ritiene che sussistano i presupposti per la rinuncia al ricorso.
6-12-2012 / Impugnata
La legge della Regione Umbria n. 15 del 24 ottobre 2012, recante “ Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 novembre 2003 n. 23 ( Norme di riordino in materia di edilizia residenziale pubblica)“, presenta profili d’illegittimità costituzionale
E’ opportuno premettere che la legge regionale interviene a modificare la legge regionale 28 novembre 2003 n. 23 - norme di riordino in materia di edilizia residenziale pubblica - che ha la finalità di promuovere le politiche abitative regionali e il soddisfacimento del fabbisogno abitativo primario della famiglie e delle persone meno abbienti e di altre particolari categorie sociali. Preliminarmente si osserva che gli articoli 24 e 34 della legge in esame sostituiscono rispettivamente , gli articoli 20 e 29 della legge n. 23/2003, prevedendo quali requisiti generali dei beneficiari dei contributi e , in particolare, quali requisiti per l’assegnazione degli alloggi di ERS pubblica, la residenza o l’attività lavorativa nella regione per un periodo di cinque anni. Tale periodo di residenzialità prolungata previsto dalle norme in esame è difforme dagli orientamenti della Giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e delle decisioni prese recentemente a livello comunitario e dalla stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale a riguardo. In particolare l’art. 24 della legge esaminata sostituisce l’art. 20 della legge regionale 28 novembre 2003 n. 23 (requisiti generale dei beneficiari) e prevede che “ I beneficiari dei contributi previsti nel Titolo II devono possedere i seguenti requisiti: a) Cittadinanza italiana o di paesi che non aderiscono all’Unione Europea o di paesi che non aderiscono all’Unione Europea purchè in regola con le vigenti norme in materi di immigrazione; b) residenza o attività lavorativa nella Regione da almeno cinque anni, anche non consecutivi, ovvero residenza all’estero per i cittadini italiani che manifestano la volontà di rientrare in Italia entro un anno dalla domanda; c) capacità economica del nucleo familiare valutata sulla base dell’ISEE di cui alla vigente normativa entro i limiti minimi e massimi stabiliti in relazione alle tipologie di intervento. Il successivo art. 34 nel prevedere i requisiti soggettivi per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica prevede al comma 1, punto a) i medesimi requisiti di residenza quinquennale o attività lavorativa per almeno cinque anni consecutivi e nel comune territorialmente competente per almeno tre anni consecutivi.
Le disposizioni recate dagli art. 24 e 34 della legge regionale sono illegittime in quanto subordinano la concessione dei contributi regionali in favore dei beneficiari, previsti nel Titolo II, alla residenza o alla attività lavorativa temporalmente protratta per almeno cinque anni, anche non consecutivi, in territorio regionale, e contrastano con l’art. 21, n. 1, del TFUE, in quanto il requisito della residenza per un periodo di tempo così prolungato costituisce una misura restrittiva della libertà di circolazione e di soggiorno garantite ai cittadini dell’Unione Europea, proprio dall’art. 21, n. 1 del TFUE. La previsione di un periodo di residenza o di lavoro così prolungato eccede quanto necessario al raggiungimento del legittimo obiettivo di preservare l’equilibrio finanziario del sistema locale di assistenza sociale mediante la previsione di un collegamento tra il richiedente il contributo e l’ente competente alla sua erogazione come si evince dalla giurisprudenza formatasi in materia della Corte di Giustizia dell’Unione europea ( sentenze Stewart C-503/09, punti 90/95, sentenza D’Hoop, C-224/98, punto 39). Le norme contrastano pertanto con i principi di libertà di circolazione e di stabilimento previsti all’art. 21 TFUE. A riguardo giova porre in evidenza che la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione ( n. 2009/2001) in data 25 febbraio 2011, in relazione a disposizioni normative emanate dalla Regione Friuli Venezia Giulia in materia di edilizia residenziale pubblica che subordinavano le attribuzioni di prestazioni sociali alla sussistenza di requisiti di residenzialità in contrasto con la direttiva n. 2004/38/CE , relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Nella circostanza la Commissione ha posto in rilievo che l’art. 24, par. 1, della Direttiva 2004/38/CE ha previsto che “ ogni cittadino dell’Unione che risiede nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato; tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente”. Sul punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale, che nel decidere un caso, parzialmente analogo, (sentenza n. 40 del 2011), ha affermato che “tali discriminazioni contrastano con la funzione e la ratio normativa stessa delle misure che compongono il complesso e articolato sistema di prestazioni individuato dal legislatore regionale nell’esercizio della propria competenza in materia di servizi sociali, in violazione del limite di ragionevolezza imposto dal rispetto del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.)”. La Corte Costituzionale ha inoltre precisato, con la sentenza n. 61 del 2011, che: «una volta che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini». Le norme esaminate contrastano inoltre con le previsioni dell’art. 1, comma 12, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che attua l’art. 11, paragrafo 1, lettera f) della direttiva 2003/109/CEE, in quanto la previsione di un requisito temporale cosi prolungato discrimina i soggiornanti di lungo periodo i quali dovrebbero godere del medesimo trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda le procedure di ottenimento di un alloggio e che sarebbero pertanto discriminati nella ricorrente ipotesi che abbiano trascorso anche in altre regioni il periodo quinquennale di residenzialità. Le norme in esame contrastano inoltre con l’art. 40, sesto comma , della legge n. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione), come modificata dalla legge 30 Luglio 2002, n. 189 che prevede che “Gli stranieri titolari di carta di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo hanno diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni Regione o dagli enti locali per agevolare l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione”. In considerazione di quanto evidenziato le disposizioni della legge regionale in esame determinano un disparità di trattamento a danno dei cittadini comunitari. Infatti, mentre per gli extra comunitari la normativa statale sopracitata richiede, per poter beneficiare delle sopra descritte provvidenze, un soggiorno (nel territorio nazionale) di almeno due anni, per i cittadini comunitari, per i quali non trova applicazione il citato Testo unico sull’immigrazione, la disposizione regionale censurata richiede, per lo stesso fine, il requisito della residenza quinquennale nel territorio regionale.
L’art. 24 nel riformare l’art. 20 della legge regionale n. 23/2003 contrasta con l’art. 24 della Direttiva comunitaria 2004/38/CE ( recepita dal D.lgs. 6 Gennaio 2007, n. 30). In particolare la suddetta disposizione regionale, nella parte in cui prevede quale requisito alternativo “la residenza all’estero per i cittadini italiani che manifestano la volontà di rientrare in Italia entro un anno dalla domanda” è discriminatoria in quanto per tali cittadini (italiani residenti all’estero) risulta indubbiamente più semplice soddisfare i requisiti stabiliti per l’ottenimento del beneficio, rispetto ai cittadini migranti dell’Unione europea e ai cittadini extra comunitari, né appare, tale disposizione obbiettivamente giustificata e proporzionata al conseguimento di un obbiettivo legittimo. Sul punto è opportuno rilevare che, anche sulla base di un consolidato orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione europea, le norme relative alla parità di trattamento vietano non solo le discriminazioni palesi, in base alla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, fondandosi su altri criteri di distinzione, pervenga in effetti al medesimo risultato.

Per le sopra esposte motivazioni l’art. 24 e l’art. 34 della legge regionale n. 15/2012 contrastano con le citate normative statali e comunitarie, pertanto violano l’art. 117, primo comma, Costituzione, che impone al legislatore regionale il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Entrambe le disposizioni violano inoltre il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione in quanto introducono nel tessuto normativo un elemento di distinzione arbitrario, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra la condizione positiva di ammissibilità al beneficio – quale la residenza protratta o l’attività lavorativa per almeno cinque anni – e gli altri particolari requisiti che costituiscono il presupposto di fruibilità di un contributo sociale che, per la sua stessa natura, non tollera distinzioni basate su particolari tipologia di residenza in grado di escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e di contributi sociali si propone perseguendo una finalità eminentemente sociale. A riguardo la sentenza n. 40 del 2011 della Corte Costituzionale ha precisato che “ tali discriminazioni contrastano con la funzione e la ratio normativa stessa delle misure che compongono il complesso e articolato sistema di prestazioni individuato dal legislatore regionale nell’esercizio della propria competenza in materia di servizi sociali, in violazione del limite di ragionevolezza imposto dal rispetto del principio di uguaglianza”

La legge regionale pertanto deve essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale a norma dell’art. 127 della Costituzione.

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