Dettaglio Legge Regionale

Modifiche di disposizioni regionali in materia di programmazione ed organizzazione socio-sanitaria e di tutela della salute. (3-12-2012)
Veneto
Legge n.46 del 3-12-2012
n.100 del 4-12-2012
Politiche socio sanitarie e culturali
/ Rinuncia impugnativa
Con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 18 gennaio 2013 è stata impugnata, da parte del Governo, la legge della Regione Veneto n. 46 del 3 dicembre 2012, recante “Modifiche di disposizioni regionali in materia di programmazione ed organizzazione socio-sanitaria e di tutela della salute”.
E’ stata sollevata questione di legittimità costituzionale in quanto l’art. 7, modificando il comma 8ter dell’art. 13 della l.r. 56/1994 (secondo il quale l’incarico di direttore generale aveva durata pari a tre anni), stabilendo che la durata dell’incarico di direttore generale alla sanità e al sociale era pari a quella della legislatura regionale, si poneva in contrasto con il comma 8 dell’art. 3 bis del d.lgs. n. 502/1992, recante i principi fondamentali in materia di tutela della salute e, pertanto, violava gli articoli 97 e 117, terzo comma, della Costituzione.

Successivamente la Regione Veneto, con legge regionale n. 2 del 19 marzo 2013, ha apportato modifiche all’art. 7 della legge regionale n. 46/2012, stabilendo che il contratto del direttore generale alla sanità e al sociale di cui all’art. 1 di tale legge ha una durata massima pari a sessanta mesi in conformità a quanto previsto dal d. lgs. n. 502/1992.

Si ritiene, quindi, che siano venuti meno i motivi oggetto del ricorso avanti la Corte Costituzionale e che, pertanto, ricorrano i presupposti per rinunciare all’impugnativa.
18-1-2013 / Impugnata
La legge della Regione Veneto 3 dicembre 2012 n. 46, recante “Modifiche di disposizioni regionali in materia di programmazione ed organizzazione socio-sanitaria e di tutela della salute”, presenta i seguenti profili d’illegittimità costituzionale.

L’articolo 7 della legge in esame modifica il comma 8-ter dell'articolo 13 della legge regionale 14 settembre 1994, n. 56 (secondo il quale l’incarico del direttore generale aveva durata pari a tre anni) stabilendo che “l'incarico di direttore generale di norma ha una durata pari a quella della legislatura regionale. Il mandato del direttore generale scade centottanta giorni dopo l'insediamento della nuova legislatura”.
Tale norma regionale contrasta, da un lato, con i principi fondamentali della legislazione statale riguardante gli incarichi dei direttori generali delle aziende e degli enti del servizio sanitario, e, dall’altro, con il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’articolo 97 della Costituzione, come precisato da costante giurisprudenza costituzionale.
La durata in carica del direttore generale delle aziende e degli enti del servizio sanitario è infatti disciplinata dall’articolo 3-bis, comma 8 del d.lgs. n. 502/1992, secondo il quale “Il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile”.
Pertanto la norma regionale in esame, nella misura in cui dispone che l’incarico del direttore generale ha durata pari a quella della legislatura regionale, e che il relativo mandato scada decorsi 180 giorni dall’insediamento della “legislatura”, contrasta con il richiamato articolo 3-bis, comma 8 del d.lgs. n. 502/1992, recante principi fondamentali in materia di tutela della salute, violando in tal modo l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
Inoltre la suddetta disposizione regionale, legando l’incarico del direttore generale a quello della legislatura, stabilisce una forma di spoils system nei confronti di una figura manageriale, come appunto quella del direttore generale delle ASL, che, essendo caratterizzata dal fatto di possedere una professionalità eminentemente tecnica, ed essendo preposta alla gestione di una struttura parimenti caratterizzata da una elevatissimo grado di tecnicità, non può seguire le sorti degli organi politici della regione, perché ciò contrasterebbe con il richiamato principio di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.
Si richiama, al riguardo, la sentenza n. 104/2007, che ha deciso una analoga questione di legittimità costituzionale sollevata avverso norme della Regione Lazio contenute nelle leggi regionali n. 1/2004 e n. 9/2005, in base alle quali veniva configurato in tale regione un sistema volto a commisurare la durata delle nomine e degli incarichi dirigenziali, compresi i direttori generali delle ASL, alla durata degli organi di indirizzo politico.
La Corte ha dichiarato, in tale occasione, l’illegittimità costituzionale della norma che prevedeva che i direttori generali delle ASL decadessero dalla carica il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio regionale, salvo conferma con le stesse modalità previste per la nomina. Si tratta di disposizione del tutto analoga a quella della legge regionale in esame, con l’unica differenza che quest’ultima, dopo aver previsto che l'incarico di direttore generale ha una durata pari a quella della legislatura regionale, specifica, poi, che “il mandato del direttore generale scade centottanta giorni dopo l'insediamento della nuova legislatura”.

Il Giudice delle leggi nella menzionata sentenza ha precisato, a tal riguardo, che “le Asl, in quanto strutture cui spetta di erogare l’assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie nell’ambito dei servizi sanitari regionali, assolvono compiti di natura essenzialmente tecnica, che esercitano con la veste giuridica di aziende pubbliche, dotate di autonomia imprenditoriale, sulla base degli indirizzi generali contenuti nei piani sanitari regionali e negli indirizzi applicativi impartiti dalle Giunte regionali”.
Pertanto, il Direttore generale delle ASL viene qualificato dalle norme “come una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire, nell’adempimento di un’obbligazione di risultato (oggetto di un contratto di lavoro autonomo), gli obiettivi gestionali e operativi definiti dal piano sanitario regionale (a sua volta elaborato in armonia con il piano sanitario nazionale), dagli indirizzi della Giunta, dal provvedimento di nomina e dal contratto di lavoro con l’amministrazione regionale”.
Sulla base di ciò, la Corte ha dichiarato l’illegittimità della norma regionale esaminata osservando che “nell’assetto organizzativo regionale vi è una molteplicità di livelli intermedi lungo la linea di collegamento che unisce l’organo politico ai direttori generali delle Asl[…]. Dunque, non vi è un rapporto istituzionale diretto e immediato fra organo politico e direttori generali”.
Peraltro, ad avviso della Consulta, sulla base della disciplina regionale censurata, “la decadenza automatica del direttore generale è collegata al verificarsi di un evento – il decorso di novanta giorni dall’insediamento del Consiglio regionale – che è indipendente dal rapporto tra organo politico e direttori generali di Asl. Dunque, il direttore generale viene fatto cessare dal rapporto (di ufficio e di lavoro) con la Regione per una causa estranea alle vicende del rapporto stesso, e non sulla base di valutazioni concernenti i risultati aziendali o il raggiungimento degli obiettivi di tutela della salute e di funzionamento dei servizi, o – ancora – per una delle altre cause che legittimerebbero la risoluzione per inadempimento del rapporto”.
Di conseguenza, secondo la Corte, la previsione della decadenza automatica dei direttori delle ASL, una volta decorsi novanta giorni dalla prima seduta del Consiglio Regionale (ma considerazioni analoghe possono riferirsi alla legge in esame, secondo cui il mandato del direttore generale scade centottanta giorni dopo l'insediamento della nuova legislatura) viola l’art. 97 della Costituzione sotto il duplice profilo dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione.

Secondo la Corte, infatti, “la selezione dei pubblici funzionari non ammette ingerenze di carattere politico, «espressione di interessi non riconducibili a valori di carattere neutrale e distaccato» (sentenza n. 333 del 1993), unica eccezione essendo costituita dall’esigenza che alcuni incarichi, quelli dei diretti collaboratori dell’organo politico, siano attribuiti a soggetti individuati intuitu personae, vale a dire con una modalità che mira a «rafforzare la coesione tra l’organo politico regionale (che indica le linee generali dell’azione amministrativa e conferisce gli incarichi in esame) e gli organi di vertice dell’apparato burocratico (ai quali tali incarichi sono conferiti ed ai quali compete di attuare il programma indicato), per consentire il buon andamento dell’attività di direzione dell’ente (art. 97 Cost.)»”.
Secondo la Corte, in definitiva, “l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione esigono che la posizione del direttore generale sia circondata da garanzie; in particolare, che la decisione dell’organo politico relativa alla cessazione anticipata dall’incarico del direttore generale di Asl rispetti il principio del giusto procedimento. La dipendenza funzionale del dirigente non può diventare dipendenza politica. Il dirigente è sottoposto alle direttive del vertice politico e al suo giudizio, ed in seguito a questo può essere allontanato. Ma non può essere messo in condizioni di precarietà che consentano la decadenza senza la garanzia del giusto procedimento”. Per i suddetti motivi, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della regione Lazio nella parte in cui prevedevano che i direttori generali delle Asl decadessero dalla carica il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio regionale, salvo conferma con le stesse modalità previste per la nomina; che tale decadenza operasse a decorrere dal primo rinnovo, successivo alla data di entrata in vigore dello Statuto; che la durata dei contratti dei direttori generali delle Asl venisse adeguata di diritto al termine di decadenza dall’incarico.
Si ritiene, pertanto, che la norma regionale in esame contrasti anche con i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, violando l’articolo 97 Cost.

Per i motivi esposti l’art.7 della legge regionale in esame deve essere impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.

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