Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria. (5-5-2023)
Sardegna
Legge n.5 del 5-5-2023
n.24 del 5-5-2023
Politiche socio sanitarie e culturali
22-6-2023 / Impugnata
La legge della Regione Sardegna n. 5 del 5 maggio 2023 recante “Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria” presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 1, comma 1,in quanto eccede dalle competenze statutarie della regione Sardegna (artt. 3 , 4 e 5 legge cost. n. 3 del 1948), e ponendosi in contrasto con la normativa statale di riferimento, si pone in violazione della competenza statale esclusiva in materia di "ordinamento civile", di cui all’articolo 117, comma secondo, lettera l), Cost.) e in violazione dell'esigenza connessa al precetto costituzionale di eguaglianza (articolo 3, Cost.).

In particolare, l’art. 1, comma 1, della legge in esame prevede che "È autorizzato, nelle more dell'approvazione dell'accordo integrativo regionale di categoria, l'innalzamento del massimale fino al limite massimo di 1.800 scelte, su base volontaria, per i medici del ruolo unico dell'assistenza primaria che operano in aree disagiate individuate dalla Regione nelle quali tale innalzamento si rende necessario per garantire l'assistenza".
Al riguardo, si rileva che l'art. 38 dell'Accordo Collettivo Nazionale dei medici di medicina generale del 28 aprile 2022, ai commi 1 e 2, stabilisce che : “1. I medici del ruolo unico di assistenza primaria iscritti negli elenchi possono acquisire un numero massimo di scelte pari a 1.500 unità. Eventuali deroghe al massimale possono essere autorizzate in relazione a particolari situazioni locali, ai sensi dell'articolo 48, comma 3, punto 5, della Legge 833/78, per un tempo determinato, non superiore comunque a sei mesi. 2. In attuazione della programmazione regionale, l'AIR (Accordo integrativo regionale) può prevedere l'innalzamento del massimale di cui al comma 1 fino al limite massimo di 1.800 scelte esclusivamente per i medici che operano nell'ambito delle forme organizzative multiprofessionali del ruolo unico di assistenza primaria, con personale di segreteria e infermieri ed eventualmente altro personale sanitario, per assicurare la continuità dell'assistenza, come previsto dall'articolo 35, comma 5 e/o in aree disagiate individuate dalla Regione nelle quali tale innalzamento si rende necessario per garantire l'assistenza".

Ciò premesso, al fine di comprendere le censure che afferiscono alla suindicata disposizione regionale, è opportuno procedere ad una preliminare disamina dell'assetto regolatorio del rapporto di lavoro tra il Servizio sanitario nazionale e i medici di medicina generale.
Già con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), il legislatore ha disciplinato il rapporto di lavoro de quo, al fine di garantire di necessaria uniformità sul territorio nazionale, assicurata attraverso la piena conformità delle convenzioni alle previsioni dettate dagli accordi collettivi. Si segnala, in particolare, che l'articolo 48 (Personale a rapporto convenzionale) della legge n. 833 del 1978 stabilisce che «l'uniformità del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantita sull'intero territorio nazionale da convenzioni, aventi durata triennale, del tutto conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati tra il Governo, le regioni e l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in campo nazionale di ciascuna categoria.[...]"
L'articolo 8, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 (Disciplina dei rapporti per l'erogazione delle prestazioni assistenziali), poi, ripropone tale principio, precisando che il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale, i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta è disciplinato da apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali.
L'articolo 2-nonies del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica), infine, ha confermato la così delineata struttura di regolazione del contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale, “garantito sull'intero territorio nazionale da convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati mediante il procedimento di contrattazione collettiva definito con l'accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano previsto dall'articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, e successive modificazioni”, precisando che “tale accordo nazionale è reso esecutivo con intesa nella citata Conferenza permanente, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281”.
Così perimetrato il contesto normativo della materia di che trattasi, è possibile rilevare che la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale in regime di convenzione, sebbene sia di natura professionale, risulta demandata all'intervento della negoziazione collettiva, il cui procedimento è stato modellato dal legislatore con espresso richiamo a quello previsto per la contrattazione collettiva dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) per il personale della pubblica amministrazione il cui rapporto è stato privatizzato.
In materia di rapporto tra i diversi livelli di negoziazione collettiva (nazionale, regionale e aziendale) assume particolare rilievo il richiamo, ad opera dall'articolo 4 della legge n. 412 del 1991, all'articolo 40 (Contratti collettivi nazionali e integrativi) del d.lgs. n. 165 del 2001. Detta disposizione prevede che la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono. È lo stesso articolo 40, poi, a disporre, a garanzia del rispetto di tali stringenti vincoli, la nullità e l'inapplicabilità di clausole dei contratti collettivi integrativi difformi dalle previsioni del livello nazionale.
In attuazione delle citate disposizioni statali, è intervenuto l'Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale che, a sua volta, individua gli specifici aspetti rimessi alla definizione della negoziazione regionale.

Dal quadro normativo così delineato emerge chiaramente come alle Regioni sia preclusa l'adozione di una normativa che incida su un rapporto di lavoro già sorto e, nel regolarne il trattamento giuridico ed economico, di sostituirsi alla contrattazione collettiva, fonte imprescindibile di disciplina (sentenze n. 20 del 2021, n. 157/2019; n.153/2021).

Alla luce di quanto rappresentato, è chiaro come il legislatore regionale, con le previsioni di cui all'articolo 1, comma 1, della legge regionale in esame, abbia inteso esercitare una competenza che esula da quelle che gli sono riconosciute dalla legge statale di riferimento, dal momento che autorizza una deroga in aumento al numero massimo di assisiti, sostituendosi alle previsioni della contrattazione integrativa e, al contempo, discostandosi da quelle della contrattazione collettiva nazionale.
Ed invero, quando - come nel caso all'esame - un contratto collettivo nazionale determina, negli ambiti di disciplina ad esso riservati da una legge dello Stato, le materie e i limiti entro i quali deve svolgersi la contrattazione collettiva integrativa, non è consentito ad una legge regionale derogare a quanto in tal senso disposto dal contratto collettivo nazionale.

Inoltre, la norma eccede dalle competenze statutarie attribuite alla Regione dal suo Statuto speciale di cui agli artt. 3, 4 e 5 della legge cost. n. 3/1948 in quanto la previsione regionale configura una violazione della competenza statale esclusiva in materia di “ordinamento civile”, atteso che, come sopra illustrato, la normativa statale (l’art. 8 del Dlgs. 502 del 1992) riserva ad apposite convenzioni di durata triennale, conformi agli accordi collettivi nazionali, la disciplina del rapporto di servizio sanitario con i medici di medicina generale e l’art. 48 della legge n. 833/1978, in particolare, riserva la disciplina dei medici in regime di convenzione, quali sono i medici del ruolo unico di assistenza primaria, a convenzioni triennali stipulate tra il Governo, l’ANCI e i sindacati, anche a garanzia dell’uniformità di trattamento normativo ed economico sull’intero territorio nazionale. Conseguentemente, l Accordo Collettivo Nazionale dei medici di medicina generale del 28/04/2022, all’art. 38, comma 2, riserva all’Accordo Integrativo Regionale – AIR, l’innalzamento a 1800 assistiti del massimale fissato dal comma 1 del medesimo articolo.

Risulta quindi evidente che l’innalzamento dei massimali in questione non poteva in alcun caso essere autorizzato con norma regionale. Ne deriva che, con il proprio intervento, il legislatore regionale ha violato le norme della contrattazione collettiva nazionale sostituendosi alla contrattazione integrativa.

In conclusione, l’art. 1, comma1, della legge in esame eccede dalle competenze attribuite alla regione dal suo Statuto speciale, si pone in contrasto con la normativa statale di riferimento sopracitata, che demanda la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico in regime di convenzione all’intervento della negoziazione collettiva e, pertanto, si pone in
violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. l) della Costituzione che riserva alla competenza statale esclusiva la materia "ordinamento civile" nonché in violazione dell'esigenza connessa al precetto costituzionale di eguaglianza (articolo 3, Cost.), di garantire l'uniformità, sul territorio nazionale, delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti in questione.

Per tali motivi l’art. 1, comma 1, deve essere impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.






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