Dettaglio Legge Regionale

Modifiche alla legge regionale n. 1 del 2023 (Legge di stabilità 2023), variazioni di bilancio, riconoscimento di debiti fuori bilancio e passività pregresse e disposizioni varie. (19-12-2023)
Sardegna
Legge n.17 del 19-12-2023
n.69 del 20-12-2023
Politiche economiche e finanziarie
15-2-2024 / Impugnata
La legge regionale Sardegna 17 del 2023, che reca “Modifiche alla legge regionale n. 1 del 2023 (Legge di stabilità 2023), variazioni di bilancio, riconoscimento di debiti fuori bilancio e passività pregresse e disposizioni varie”, è costituzionalmente illegittima per i motivi che seguono, eccedendo altresì dalle competenze statutarie di cui agli artt. 3 e 4 dello Statuto speciale di autonomia della Regione Sardegna.
§§§
L'art. 3, commi 1 e 2, effettua un rinvio all'art. 82 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUOEL) per i compensi da corrispondere ai consiglieri metropolitani; tale rinvio non è corretto atteso che, per le città metropolitane e le provincie, la materia è regolamentata dalla legge n. 56/2014 (c.d. legge Del Rio) i cui principi (art. 1, comma 5) valgono anche "per la disciplina di città e aree metropolitane da adottare dalla regione Sardegna ( ... )".
In particolare, per ciò che attiene specificamente alla determinazione dei compensi spettanti ai consiglieri metropolitani, l'art. 1, comma 24, della menzionata legge n. 56/2014 prevede che l'incarico è esercitato a titolo gratuito, norma di principio valida anche per i consiglieri provinciali (art. 1, comma 84), sebbene non per il presidente della provincia.
Le disposizioni di cui all'art. 3, commi 1 e 2 con le quali si introduce per i consiglieri metropolitani un'indennità di funzione, equiparandola a quella prevista per i consiglieri comunali del comune capoluogo, determina, di fatto, un incremento della spesa e un emolumento in contrasto con la citata normativa statale.
Le norme in questione, quindi, si pongono in contrasto con gli artt. 3, 5, 117, secondo comma, lettera p), e 117, terzo comma della Costituzione, in materia di coordinamento della finanza pubblica, in relazione alle disposizioni della legge 7 aprile 2014, n. 56, nonché dell'art. 3 dello Statuto della Regione Sardegna (v., tra le altre, Corte cost. 168/2018).
§§§
L'art. 4, comma 1, lettera a), modifica l'art. 124, comma 2, della legge n. 9 del 2023, prevedendo che negli immobili destinati ad uso abitativo sono consentiti gli interventi di riuso dei seminterrati, piani pilotis e locali al piano terra esistenti "anche mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza e numero dei piani previsti dalle vigenti disposizioni urbanistico-edilizie comunali e regionali”.
A sua volta, l'art. 124 della legge n. 9 del 2023, è stato impugnato con delibera del Consiglio dei Ministri del 19 dicembre 2023, per contrasto con il principio fondamentale di pianificazione urbanistica unitaria del territorio di cui all’art. 41-quinquies della Legge Urbanistica (l. n. 1150/1942), in quanto le disposizioni determinano un aumento di cubatura residenziale di imprevedibile consistenza per immobili destinati ad uso abitativo (seminterrati, piani pilotis e locali al piano terra) con possibile aumento di carico urbanistico e possibili squilibri degli standard minimi urbanistici degli strumenti di pianificazione generale, potendo causare una distorsione degli standard urbanistici previsti dalla normativa nazionale (DM lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444). Il ricorso è attualmente registrato al REG. RIC. N. 35 DEL 2023 N° PARTE 1, al quale si fa integrale riferimento.
Dalle disposizioni sopra richiamate si evince che gli interventi ivi previsti possano causare una distorsione e comunque una profonda alterazione degli standard urbanistici, previsti dalla normativa nazionale (decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444), ponendosi in contrasto con il principio fondamentale di pianificazione urbanistica unitaria del territorio e del suo necessario rispetto. Questo principio trova espressione nell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 che, nel prevedere l'osservanza di limiti inderogabili nella formazione degli strumenti urbanistici, presuppone la necessaria sussistenza del sistema della pianificazione del territorio. Corollario di detto principio è che tutti i singoli interventi di trasformazione devono rinvenire la loro base in un presupposto atto di pianificazione (limitato dagli standard urbanistici di cui agli articoli 3, 4, 5, 7 e 8 del D.M. n. 1444 del 1968) e devono rispettarne le prescrizioni. Solo attraverso una visione integrata di una determinata porzione di territorio è infatti possibile garantirne un ordinato sviluppo.
L’art. 3, primo comma, lettera f), dello Statuto riconosce alla Regione Sardegna una autonomia più ampia di quella risultante dalla norma costituzionale generale di cui all’art. 117, terzo comma, della costituzione, attribuendole potestà legislativa primaria nella materia dell’«edilizia ed urbanistica», entro la quale si collocano le disposizioni sopra indicate.
Va tuttavia precisato che la potestà legislativa primaria della regione, deve esplicarsi “in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica”, secondo quanto stabilito dal citato art. 3 dello Statuto regionale.
La disposizione citata, pertanto, presenta profili di illegittimità costituzionale in ragione della loro non compatibilità con le previsioni di cui all'art. 3 dello Statuto speciale della regione Sardegna, nonché degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Inoltre, la medesima disposizione è lesiva del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost., per mancata osservanza dell'obbligo della pianificazione concertata e condivisa, prescritta dalle norme statali in quanto idonea a garantire l'ordinato sviluppo urbanistico e a individuare le trasformazioni compatibili con le prescrizioni statali del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
§§§
L'art. 5, comma 47, lettera a) modifica l’art. 3-bis della legge regionale 6 marzo 2020, n. 6, introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. d), della l.r. del 23 ottobre 2023, n.9, relativo alle “Borse di studio regionali”. Il comma 2 dell’art. 3-bis risulta problematico nella parte in cui rinvia alla normativa nazionale per l’erogazione delle borse di studio regionali: “L'erogazione della borsa di studio, secondo quanto previsto dall'art. 8 della legge 29 dicembre 2000, n. 401 (Norme sull'organizzazione e sul personale del settore sanitario), avviene secondo le medesime modalità previste dall'art. 35 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CE) per gli specializzandi medici”.
Allo stato attuale, a livello nazionale non sono previste forme di finanziamento per la frequenza di scuole di specializzazione di area sanitaria non medica, di conseguenza, non sono previste modalità per la ripartizione di borse di studio relative a scuole di specializzazione di area sanitaria non medica. La normativa nazionale richiamata (l’art. 8 della legge 29 dicembre 2000, n. 401, e l’art. 35 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368) si riferisce espressamente ed esclusivamente alla programmazione e alla distribuzione dei contratti di formazione specialistica di area medica e non può essere applicata ad altre forme di finanziamento. A questo proposito, si riporta anche l’art. 2-bis del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42, riferito alle “Scuole di specializzazione non mediche”, che prevede una deroga in materia: “1. Nelle more di una definizione organica della materia, le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, riservate alle categorie dei veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi sono attivate in deroga alle disposizioni di cui al comma 1 dell'art. 8 della legge 29 dicembre 2000, n. 401”.
La lettura del quadro normativo nazionale porta a concludere che la Regione certamente può finanziare borse di studio per la frequenza delle scuole di specializzazione di area sanitaria non medica, ma dovrà prevedere forme di erogazione che non coinvolgono il livello nazionale e il Ministero dell’Università e della Ricerca, come ad esempio l’erogazione diretta alle università presso cui sono istituite tali scuole.
Nel corso delle attività istruttorie della legge n. 9/2023, per queste ragioni il Ministero dell’Università e ricerca aveva posto alcune osservazioni in ordine all’art. 54 che, al comma 1, lett. d), prevedeva che la Regione finanziasse borse di studio per la frequenza delle scuole di specializzazione di area sanitaria non medica (vale a dire, in favore di biologi, chimici, farmacisti, fisici, odontoiatri, psicologi e veterinari), secondo quanto previsto dall'art. 8 della legge n. 401/2000 (Norme sull'organizzazione e sul personale del settore sanitario), chiedendo di eliminare ogni rinvio alla normativa nazionale, riferita esclusivamente alla formazione specialistica di area medica e a prevedere un finanziamento diretto alle università.
Tanto premesso quindi, su richiesta del Ministero, la Regione aveva trasmesso apposito impegno formale a eliminare, nel testo dell'art. 3-bis, comma 2, della legge regionale 6 marzo 2020, n. 6, come modificata dall'art. 54, comma 1, lett. d), della l.r. n. 9/2023, ogni riferimento alla normativa nazionale.
Malgrado ciò, la legge regionale n. 17 del 19 dicembre 2023 apporta modifiche diverse da quelle indicate nella nota di impegno della Regione. L’art. 5, comma 47, lettera a), della L.R. 19 dicembre 2023, n. 17, infatti, sopprime il comma 1 dell’art. 3-bis, e modifica il comma 3 dell’art. 3-bis, ma lascia invariato il comma 2, che continua a rinviare alla normativa nazionale.
A seguito di tali modifiche, l’art. 3-bis, relativo a “borse di studi regionali”, della legge della Regione Sardegna del 6 marzo 2020, n. 6, presenta la seguente formulazione:
[1. La Regione finanzia borse di studio per la frequenza delle scuole di specializzazione di area sanitaria non medica in favore di: biologi, chimici, farmacisti, fisici, odontoiatri, psicologi e veterinari.].
“2. L'erogazione della borsa di studio, secondo quanto previsto dall'art. 8 della legge 29 dicembre 2000, n. 401 (Norme sull'organizzazione e sul personale del settore sanitario), avviene secondo le medesime modalità previste dall'art. 35 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CE) per gli specializzandi medici.
3. La borsa di studio regionale è erogata nella misura e negli importi previsti per i contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali di cui all'art. 3. Il finanziamento regionale è attribuito direttamente alle università beneficiarie”.
La ricostruzione del contesto normativo in cui sono state apportate le modifiche, l’atto di impegno della Regione Sardegna e l’aggiunta dell’ultima parte nel comma 3 portano a ritenere che per errore sia stato soppresso il comma 1 al posto del comma 2.
A fronte di tale constatazione, sono state poste nuove osservazioni sulla legge regionale n. 17 del 2023 e invitato nuovamente la Regione Sardegna a modificare la normativa regionale, senza tuttavia ricevere alcun riscontro.
Allo stato attuale la normativa regionale presenta dubbi di legittimità costituzionale per violazione dei seguenti parametri costituzionali:
a) Violazione dell’art. 3 della Costituzione, per contrasto con il principio di ragionevolezza.
Nell’attuale formulazione, l’art. 3-bis risulta inintelligibile (essendo venuto meno il comma 1, non si comprende a cosa si riferiscono i commi successivi) e contraddittorio (il comma 2, che rinvia alla normativa nazionale per l’erogazione della borsa di studio, si pone in contrasto con il comma 3, che attribuisce il finanziamento regionale direttamente alle università). Di conseguenza, la normativa regionale appare di impossibile applicazione, poiché non è stabilito l’oggetto del finanziamento regionale e poiché le modalità di erogazione sono contraddittorie.
Neppure una lettura sistematica della disposizione nel contesto della legge regionale n. 6 del 2020 aiuta a sciogliere i nodi relativi alla portata applicativa dell’art. 3-bis. La legge regionale n. 6 del 2020 è stata modificata dalla legge regionale n. 9 del 2023 in più parti (nel titolo e negli articoli 1, 2, 3-bis) allo scopo di estendere gli interventi regionali a sostegno della formazione di altre figure professionali di area sanitaria non medica (in favore di: biologi, chimici, farmacisti, fisici, odontoiatri, psicologi e veterinari). L’abrogazione del comma 1 dell’art. 3-bis, che istituiva le borse di studio regionali per la frequenza delle scuole di specializzazione di area sanitaria non medica, fa venire meno la ratio delle modifiche apportate al titolo della legge e agli articoli 1 e 2.
Per le ragioni esposte, la normativa regionale si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione.
A sostegno di questa lettura si pone la sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 2023, in cui la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo un art. della legge della Regione Molise, costituito da un enunciato affetto da radicale oscurità, per violazione dell’art. 3 della Costituzione. In tale occasione, la Corte ha affermato, in via generale:
“deve più in generale ritenersi che disposizioni irrimediabilmente oscure, e pertanto foriere di intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta, si pongano in contrasto con il canone di ragionevolezza della legge di cui all’art. 3 Cost.
L’esigenza di rispetto di standard minimi di intelligibilità del significato delle proposizioni normative, e conseguentemente di ragionevole prevedibilità della loro applicazione, va certo assicurata con particolare rigore nella materia penale, dove è in gioco la libertà personale del consociato, nonché più in generale allorché la legge conferisca all’autorità pubblica il potere di limitare i suoi diritti fondamentali, come nella materia delle misure di prevenzione. Ma sarebbe errato ritenere che tale esigenza non sussista affatto rispetto alle norme che regolano la generalità dei rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini, ovvero i rapporti reciproci tra questi ultimi. Anche in questi ambiti, ciascun consociato ha un’ovvia aspettativa a che la legge definisca ex ante, e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti entro i quali i suoi diritti e interessi legittimi potranno trovare tutela, sì da poter compiere su quelle basi le proprie libere scelte d’azione.
Una norma radicalmente oscura, d’altra parte, vincola in maniera soltanto apparente il potere amministrativo e giudiziario, in violazione del principio di legalità e della stessa separazione dei poteri; e crea inevitabilmente le condizioni per un’applicazione diseguale della legge, in violazione di quel principio di parità di trattamento tra i consociati, che costituisce il cuore della garanzia consacrata nell’art. 3 Cost.
4.3.4. – Ogni enunciato normativo, beninteso, presenta margini più o meno ampi di incertezza circa il suo ambito di applicazione, senza che ciò comporti la sua illegittimità costituzionale. Compito essenziale della giurisprudenza è quello di dipanare gradualmente, attraverso gli strumenti dell’esegesi normativa, i dubbi interpretativi che ciascuna disposizione inevitabilmente solleva, nel costante confronto con la concretezza dei casi in cui essa è suscettibile di trovare applicazione; ciò che contribuisce a rendere più uniforme e prevedibile la legge per i consociati.
Né certamente potrebbe ritenersi contrario all’art. 3 Cost. il ricorso da parte della legge a clausole generali, programmaticamente aperte a «processi di specificazione e di concretizzazione giurisprudenziale» (sentenza n. 8 del 2023, punto 12.1. del Considerato in diritto, con riferimento alla clausola di buona fede di cui all’art. 1337 cod. civ.).
Né, ancora, potrebbe ritenersi precluso alla legge utilizzare concetti tecnici o di difficile comprensione per chi non possieda speciali competenze tecniche: la complessità delle materie che il legislatore si trova a regolare spesso esige una disciplina normativa a sua volta complessa. Sempre più frequentemente, del resto, le leggi fanno uso di definizioni normative, collocate in disposizioni di carattere generale, che consentono all’interprete di attribuire significati precisi alle espressioni tecniche, a volte lontane dal linguaggio comune, utilizzate in un dato corpus normativo.
Diverso è, però, il caso in cui il significato delle espressioni utilizzate in una disposizione – nonostante ogni sforzo interpretativo, compiuto sulla base di tutti i comuni canoni ermeneutici – rimanga del tutto oscuro, con il risultato di rendere impossibile all’interprete identificare anche solo un nucleo centrale di ipotesi riconducibili con ragionevole certezza alla fattispecie normativa astratta. Una tale disposizione non potrà che ritenersi in contrasto con quei «requisiti minimi di razionalità dell’azione legislativa» che la poc’anzi menzionata sentenza n. 185 del 1992 ha, in via generale, evocato in funzione della tutela della «libertà e della sicurezza dei cittadini» (punti 4.3.3 e 4.3.4 del Considerato in diritto).
Applicando tali ragionamenti al caso specifico della legge molisana, la Corte ha concluso:
“4.3.6.– La disposizione in questa sede all’esame costituisce esempio paradigmatico di un enunciato normativo affetto da radicale oscurità: un enunciato che, da un lato, condiziona l’ammissibilità di non meglio precisati «interventi» all’interno di altrettanto vaghe «fasce di rispetto» a una procedura identificata con un acronimo incomprensibile, e in effetti oggetto di due diverse letture da parte della stessa difesa regionale; e che, dall’altro, non si collega ad alcun corpo normativo preesistente e rimane, per così dire, sospeso nel vuoto, precludendo così la possibilità di utilizzare il prezioso strumento dell’interpretazione sistematica, che presuppone l’inserimento della singola disposizione in un contesto normativo che si assume connotato da interna coerenza.
Una disposizione siffatta, in ragione dell’indeterminatezza dei suoi presupposti applicativi, non rimediabile tramite gli strumenti dell’interpretazione, non fornisce alcun affidabile criterio guida alla pubblica amministrazione nella valutazione se assentire o meno un dato intervento richiesto dal privato, in contrasto con il principio di legalità dell’azione amministrativa e con esigenze minime di eguaglianza di trattamento tra i consociati; e rende arduo al privato lo stesso esercizio del proprio diritto di difesa in giudizio contro l’eventuale provvedimento negativo della pubblica amministrazione, proprio in ragione dell’indeterminatezza dei presupposti della legge che dovrebbe assicurargli tutela contro l’uso arbitrario della discrezionalità amministrativa.
4.4.– La disposizione impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente illegittima per contrasto con l’art. 3 Cost.
Restano assorbite le questioni formulate in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., il vaglio della cui fondatezza presupporrebbe d’altronde un chiarimento interpretativo circa la portata della disposizione, che è però impossibile per le ragioni sin qui enunziate.” (punti 4.3.6 e 4.4 del Considerato in diritto).
b) Violazione dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, per contrasto con la normativa statale in materia di tutela della salute.
La normativa regionale viola anche l’art. 117, comma 3, della Costituzione poiché si pone in contrasto con la normativa nazionale in materia di sistema formativo delle professioni sanitarie, che rientra nelle attribuzioni statali (riconosciute in capo al Ministero dell’Università e della ricerca) ascrivibile all’ambito materiale della tutela della salute.
Il comma 2 dell’art. 3-bis, infatti, richiama in modo errato la normativa nazionale prevista per l’erogazione delle borse di studio di area medica e si pone in contrasto con quanto previsto nell’art. 2 bis del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42, che prevede una deroga per le scuole di specializzazione non mediche: “1. Nelle more di una definizione organica della materia, le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, riservate alle categorie dei veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi sono attivate in deroga alle disposizioni di cui al comma 1 dell'art. 8 della legge 29 dicembre 2000, n. 401”.
La permanente vigenza del riferimento alla normativa nazionale espone al rischio di una successiva pretesa nei confronti dell’amministrazione statale ad attivare le procedure per l’erogazione di borse di studio di area sanitaria non medica, laddove tale argomento è attualmente in fase di definizione organica a livello nazionale.
c) violazione dell’art. 120, comma 2, della Costituzione, per contrasto con il principio di leale collaborazione.
Come richiamato in premessa, la Regione era stata invitata a modificare l’art. 54, comma 1, lett. d) al fine di eliminare il contrasto con la normativa statale.
La Regione si era impegnata a modificare la normativa regionale, senza tuttavia portare a termine l’impegno preso, come emerge dalla legge regionale n. 17 del 2023, nel corso della cui istruttoria la Regione è stata nuovamente invitata a modificare la normativa regionale, senza alcun riscontro.
Per le ragioni esposte, la normativa regionale si pone in contrasto con il principio di leale collaborazione e, di conseguenza, viola l’art. 120, comma 2, della Costituzione.
§§§
L'art. 7, comma 16, ha modificato l'art. 37 della legge regionale 13 marzo 2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) mediante l'inserimento del comma 3-bis, che dispone che per i contratti da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV) "costituisce requisito di ammissione dell'offerta tecnica il raggiungimento del punteggio minimo pari al 60 per cento del valore massimo attribuibile all'offerta tecnica stessa ".
Si richiama preliminarmente il consolidato orientamento della Corte costituzionale (cfr. ex multis, sentenza n. 23 del 28 gennaio 2022) in ordine al riparto di competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni a statuto speciale e le Province autonome riferito, in particolare, alla disciplina dettata dal codice dei contratti pubblici in relazione alle procedure di gara. Al riguardo, ad avviso della Consulta, tali ultime disposizioni attengono alla materia di pacifico tenore trasversale della concorrenza e sono ascritte all'area delle norme fondamentali di riforma economico-sociale (ex multis, sentenze n. 166 del 2019, n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 74 del 2012, n. 328, n. 184 e n. 114 del 2011, n. 221 e n. 45 del 2010), che limitano anche la competenza primaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.
Premesso quanto sopra, la disposizione, nella parte in cui prevede uno specifico punteggio minimo dell'offerta tecnica come requisito di ammissione, non trova alcuna corrispondenza nel vigente codice dei contratti pubblici. Ed infatti l'art. 108 (Criteri di aggiudicazione degli appalti di lavori, servizi e forniture), comma 4, del decreto legislativo 36 del 2023, prevede che i criteri di aggiudicazione dell'offerta, pertinenti alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto siano stabiliti dalla stazione appaltante nei documenti di gara.
Ne consegue che la norma regionale, introducendo previsioni in contrasto con la citata disposizione del codice dei contratti pubblici, determina un'indebita invasione della sfera di competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Per completezza di esame giova rammentare che il comma 3-bis dell'articolo 37 della legge n. 8 del 2018, come introdotto dall'articolo 7, comma 16 della legge in esame, richiama il comma 1 del medesimo articolo 37, già dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale, con sentenza 21 maggio - 9 luglio 2019, n. 166. In via consequenziale, anche i commi 2 e 3 del citato articolo sono stati travolti dalla censura di illegittimità costituzionale con la predetta sentenza. Ciò comporta in questo caso specifico anche la violazione dell'art. 136, primo comma, Cost. per violazione del giudicato costituzionale.

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